Infinito di Giacomo Leopardi analisi del testo
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Infinito di Giacomo Leopardi analisi del testo
COMMENTO ALLA POESIA “ L’INFINITO”
“L’infinito” è uno dei più noti idilli di Giacomo Leopardi , che lo compose nel 1819 a soli 21 anni. La lirica indica nel suo stesso titolo il tema che verrà sviluppato;un colle solitario, una siepe e il vento non costituiscono solo gli elementi di un sereno paesaggio,ma diventano lo spunto di un’incredibile esperienza:il poeta percepisce nella mente,attraverso l’immaginazione, il vertiginoso concetto dell’infinità del tempo e dello spazio. E’ questa una prova della grandezza della mente umana, la quale, pur così limitata, può intuire l’intero universo,senza dimensioni né confini.
Il testo,composto da un’unica strofa di 15 versi, si sviluppa in due parti. La prima,costituita da sette versi e mezzo, si apre con la descrizione di una siepe che costituisce un ostacolo alla visione dell’orizzonte;tuttavia è proprio questo ostacolo a mettere in atto l’immaginazione, che,varcato il limite materiale,crea spazi interminati e silenzi al di là dell’umano. Dunque la percezione di un elemento concreto (la siepe), suscita un moto dell’animo,l’immaginazione dell’infinito spaziale,cui segue un senso di smarrimento. Prevalgono in questa parte i dati visivi.
La seconda parte, pure costituita da sette versi e mezzo, è simmetrica alla prima, ma centrata sui dati uditivi: è presentato un elemento concreto (il rumore del vento) che suscita un nuovo slancio verso l’infinito ,questa volta temporale, e un nuovo moto dell’anima,cioè la dolcezza dell’abbandonarsi completamente nell’infinito (naufragare nel mare è dolce).
L’oscillazione continua fra la realtà e l’infinito è sottolineata anche da un sapiente uso dei dimostrativi: “questa siepe” indica che il poeta è nella realtà, ma poi nel verso 5 compare
“quella siepe” per indicare che la mente è ormai nell’infinito,lontana dalla siepe. Il ritorno del poeta nella realtà è indicato nei versi 9 e 10 :”queste piante/”questa voce”, mentre l’infinito è lontano (“quello infinito silenzio”);infine il poeta è completamente immerso nell’infinito (“questa immensità/questo mare”).
Per rendere poeticamente questa sua avventura spirituale, Leopardi utilizza altre tecniche molto raffinate. L’uso degli enjambement (ben 10 su 15 versi) ha una duplice funzione: da una parte modifica il ritmo dei versi dilatandoli e assecondando così la proiezione verso l’infinito dell’animo del poeta;dall’altra pone in evidenza parole-chiave ,come interminati/spazi,sovrumani/silenzi ecc , tutti termini che rimandano di nuovo al concetto di infinito.
Simile è l’obiettivo delle scelte lessicali (cioè la scelta delle parole) effettuate da Leopardi. La maggior parte dei vocaboli che appartengono all’area semantica dell’infinito sono almeno di tre sillabe (“orizzonti,interminati, sovrumani ,profondissima, immensità,infinito”).Le parole che invece fanno riferimento alla realtà, quella percepibile con i sensi, sono brevi-per lo più di due sillabe- e producono quasi una contrazione del ritmo (“caro,colle, siepe,vento, guardo”).
Particolarmente significativo è l’ ultimo verso in cui compaiono ben due figure retoriche di significato:”naufragar m’è dolce in questo mare” contiene una metafora che paragona l’infinito al mare, e un ossimoro (naufragare è dolce) per indicare che l’esperienza dell’annullamento di sé, apparentemente negativa, si rivela in realtà dolcissima.
Altre scelte contribuiscono in modo efficace a sottolineare il tema: l’uso prevalente del modo gerundio (che è uno dei modi indefiniti), le allitterazioni di suoni aperti (vi sono molte “a” –“o”)
Dunque tutte le scelte stilistiche e formali concorrono a sottolineare efficacemente il tema.
Fonte: http://www.istitutoturoldo.it/il-portale/area-docenti/commentoinfinito.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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L’Infinito
parafrasi - Sempre cari mi furono questo colle solitario(ermo) e questa siepe, che impedisce la vista di tanta parte dell’estremo(ultimo) orizzonte. -// Ma stando seduto e contemplando(mirando) io mi figuro (nel pensier mi fingo) al di là della siepe(di là quella)spazi infiniti, e un silenzio sovrumano e una pace profondissima; dove per poco il cuore non si smarrisce(si spaura). -// E appena (come) odo lo stormire del vento tra queste fronde, io paragono(vo comparando) quell’infinito silenzio al rumore del vento(a questa voce): e nasce nella mia mente(mi sovvien) il pensiero dell’eterno, delle epoche passate(morte stagioni) e di quella presente ancora viva e il suono delle sue imprese (e il suon di lei). - // Così in quest’immensità il mio pensiero si smarrisce e per me è dolce perdersi nel mare dell’infinito (in questo mare).
commento - La breve lirica, di quindici endecasillabi sciolti, risulta formata da quattro periodi sintattici (vv.1-3; vv.4-8; vv.8-13; vv.13-15), di lunghezza varia, delimitati ognuno dal punto fermo.
A livello metrico Leopardi non segue le regole tradizionali, ma si lascia guidare dallo svolgimento del pensiero e del cuore. La lirica induce a pensare al sonetto, al quale, però, il poeta fu decisamente avverso per la sua forma chiusa e compiuta.
Egli infatti pur rispettando, almeno in parte certi equilibri interni - i quattro periodi potrebbero corrispondere alle quattro strofe del sonetto - rifiuta la netta scansione delle strofe e la regolarità delle rime, del tutto assenti, e aggiunge un verso (15 sono le unità metriche, anziché 14), proprio quello del naufragare nel mare dell’infinito, creando un andamento libero e variato.
Nella lirica è possibile individuare due percorsi:
- Il primo della sensazione visiva che procede dall’immaginazione dell’infinito spaziale, dove il poeta si immerge con un senso di sgomento;
- Il secondo della sensazione uditiva procede all’immaginazione dell’eternità che, nella sua doppia valenza – infinito spaziale e temporale – annulla la coscienza individuale, lasciando solo un sentimento di pacata felicità.
La lirica sembra avere un andamento circolare, chiuso, sottolineato dalla simmetria della struttura dei primi e ultimi tre versi, che presentano una sintassi semplice e paratattica. In particolare il primo e l’ultimo sono gli unici isolabili dell’intero idillio e corrispondono a sentimenti di segno positivo che esprimono affetto e la dolcezza.
I periodi mediani mostrano, invece, una sintassi più mossa, a struttura ipotattica, infranta a livello ritmico dall’uso frequente dell’enjambement.
figure retoriche:
enjambement:
vv. 4-5: interminati / spazi;
vv.5-6: sovrumani / silenzi
vv.9-10: quello / infinito;
vv.12-13: presente / e viva.
ossimoro:
v.15: naufragar m’è dolce
anastrofi:
v.3: il guardo esclude
vv.8-9: il vento odo stormir
vv.14 :s’annega il pensier mio
Fonte: http://www.liceoodierna.it/default,htm/LETTERATURA%20ITALIANA/leopardi/L'infinito.doc
Autore del testo: Amato
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L'INFINITO
L'analisi dell'idillio non può prescindere dalle considerazioni espresse nello Zibaldone nel 1820 circa la "teoria del piacere". Leopardi si interroga sulla "tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo" e ne trova l'origine in una "cagione semplicissima, e più materiale che spirituale": l'osservazione non è di poco conto, se consideriamo che, trascurandola, si corre il rischio di interpretare l'esperienza descritta nell'Infinito in chiave mistica, come propose il De Sanctis. Al contrario "l'avventura dell'animo" si configura come la conquista di una dimensione prelogica attivata da un limite materiale.
Leopardi, dunque, nel passo dello Zibaldone sottolinea l'uguaglianza dei termini "felicità" e "piacere", ricorrendo però piuttosto a quest'ultimo perché tipico del Sensismo. L'uomo, egli dice, aspira ad un piacere che non abbia limiti "né per durata né per estensione", ma nella realtà i piaceri sono tutti "circoscritti" ("il fatto è che quando l'anima desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione di un suo desiderio infinito, desidera veramente il piacere, e non un tal piacere"). "...esiste nell'uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono": dunque il piacere infinito "in numero, in durata, in estensione" che l'uomo non trova nella realtà può trovarlo nell'immaginazione. Essa è caratteristica dei fanciulli, e "non può regnare senza l'ignoranza, almeno una certa ignoranza come quella degli antichi ": fanciullezza e stato primitivo significano una condizione che precede l'uso della Ragione (si è detto prima prelogica) e dunque una conoscenza basata sui sensi.
Questo abbandono dell'attività razionale è necessario perché "la cognizione del vero, cioè dei limiti e definizioni delle cose, circoscrive l'immaginazione": in sostanza se il piacere è frutto dei sogni partoriti dall'immaginazione, il logos è distruttivo perché rivela la triste condizione dell'uomo costretto ad agognare ciò che nella realtà non può conseguire.
Se il reale svelato dalla Ragione è male, dolore, noia, non resta che la fuga nel passato (la "rimembranza" dello stato giovanile pieno di sogni e aspettative) e nel futuro (le speranze create dall'immaginazione). L'Infinito è l'espressione poetica di questa tensione, un'esperienza di fuga dalla razionalità alla ricerca del piacere che solo all'attività immaginativa è consentito raggiungere. Un ostacolo materiale (la "siepe") impedisce lo sguardo ed attiva l'immaginazione che altrettanto materialmente disegna nella mente del poeta ("mi fingo") "interminati/ spazi... sovrumani/ silenzi e profondissima quiete".: la reazione non può che essere quella del primitivo o del fanciullo di fronte all'ignoto, ed è reazione, la paura, che prescinde dall'attività razionale. La scoperta dell'infinito è conquista dei sensi (si considerino la visione ostacolata, i riferimenti all'udito, gli aggettivi dimostrativi "questo/ quello"), non del logos, anzi l'excessus mentis, la morte della ragione, espressa nello spaurirsi del cuore, è condizione imprescindibile.
Il pensiero si "annega" completamente nel "mare" delle sensazioni, il fantasticare consente allora di conseguire il piacere ("m'è dolce") e ogniqualvolta il poeta potrà perdere se stesso ("naufragare") di fronte a un limite materiale (la "siepe") ripeterà l'esperienza piacevole ("sempre caro").
Fonte: http://www.liceogrigoletti.it/docenti/doc07/files/infinito.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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Giacomo Leopardi nacque a Recanati, una piccola città di provincia dell'entroterra marchigiano, il 29 giugno 1798. Cresciuto con una rigida educazione religiosa, Giacomo Leopardi trovò presto la strada dell'accogliente biblioteca paterna che occupò il posto dei giochi dell'infanzia. A 15 anni Giacomo Leopardi conosceva già diverse lingue e aveva letto quasi tutto: lingue classiche, ebraico, lingue moderne, storia, filosofia e filologia. Gli insegnanti che avrebbero dovuto prepararlo al sacerdozio dovettero presto ammettere di non avere molto da insegnargli. Nei sette anni che seguirono, Leopardi si buttò in uno studio «matto e disperatissimo», in cui tradusse i classici, praticò sette lingue, scrisse un dotto testo di astronomia e scrisse un falso poema in greco antico, sufficientemente convincente da ingannare un esperto.
Tra il 1818 ed il 1821 Leopardi scrisse L’infinito. Quest'opera appartiene alla serie di scritti pubblicati nel 1826 con il titolo di Idilli. Oltre all'Infinito, in questa serie sono presenti anche opere come Alla luna e La sera del dì di festa. Nell’Infinito il poeta ha come obiettivo l'espressione dei suoi stati d'animo più profondi. Attraverso questa poesia egli nasconde dal ricordo delle solitarie passeggiate su di un colle presso Recanati. Ma in essi, c’è già gran parte del pensiero di Leopardi.
«Sempre caro mi fu quest'ermo colle, |
Questo solitario colle mi è stato sempre caro, |
Fonte: http://ciaociaobyby.wikispaces.com/file/view/Giacomo+Leopardi.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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INFINITO
CONTESTULIZZAZIONE
L'Infinito è una poesia di Giacomo Leopardi scritta durante il suo giovanile soggiorno a Recanati, nelle Marche. Quest'opera fu scritta tra il 1818 ed il 1821. Quest'opera appartiene alla serie di scritti pubblicati nel 1826 con il titolo di Idilli. Oltre all'Infinito, in questa serie sono presenti anche opere come Alla luna e La sera del dì di festa. Nonostante l'utilizzo di un termine greco che solitamente era utilizzato per descrivere scene di vita campestre, l'autore non ha come obiettivo la descrizione della natura: pur partendo dalla natura, il poeta ha come obiettivo l'espressione dei suoi stati d'animo più profondi.
COMPOSIZIONE DELLA POESIA E SIGNIFICATO DEI TERMINI
Questa poesia si compone di quindici versi endecasillabi, interrotti da numerosi enjambements, che idealmente ampliano il significato di un periodo annullando la pausa del ritmo. L'Infinito, infatti, si compone di quattro lunghi periodi, di cui solo il primo e l'ultimo terminano alla fine di un verso. Il gioco di allitterazioni ed assonanze, poi, regala alla composizione una musicalità interiore, in tema con l'argomento trattato. L'uso di termini vaghi serve a dare una sensazione di indefinito spazio-temporale che è necessaria a concentrarsi sull'io, e che sollecita l'immaginazione del lettore. È da notare l'impiego di dimostrativi come "questo" o "quello", tesi a descrivere la lontananza dell'oggetto sul piano soggettivo e non su quello oggettivo. L'autore si serve anche di numerose figure retoriche per sottolineare la musicalità del componimento: iperbati, similitudini e metafore danno al componimento un'espressività unica.
L' idillio si configura come uno studio visivo-prospettico degli elementi del paesaggio per produrre nel lettore la suggestione "dell' Infinito". La vaghezza del linguaggio, basata sull' uso di parole di significato indeterminato, le quali, più che precisare le cose secondo le categorie di spazio e di tempo, ne sfumano i contorni, e con il caratteristico vocabolario leopardiano (ermo, interminati, sovrumano, ecc..) producono quella poesia dell' indefinito che è spesso funzionale a quella dell' infinito.
RIASSUNTO
Nell'Infinito Leopardi si concentra decisamente sull'interiorità, sul proprio io, e lo rapporta ad una realtà spaziale e fisica, in modo da arrivare a ricercare l'Infinito. L'esercizio poetico, dunque, si pone come superamento di ogni capacità percettiva, di cui la natura è il limite (rappresentato dalla siepe). Tra la minaccia del silenzio (e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo, ove per poco / il cor non si spaura versi dal 5 all'8) e la sonorità della natura (E come il vento / odo stormir tra queste piante, versi 8 e 9), il pensiero afferra l'inafferrabile universalità dell'Infinito, superando la contingenza di ciò che ci circonda, che è l'esperienza fortemente voluta dall'autore.
Il poeta, seduto davanti ad una siepe, immagina oltre questa spazi interminabili, che vanno oltre anche la linea dell'orizzonte che la siepe in realtà nascondeva. Richiamato alla realtà da un rumore, da una sensazione uditiva, estende il suo fantasticare anche nell'immensità del tempo. L'Infinito, dunque, ha una duplice valenza: spaziale e temporale.
SPIEGAZIONE DELLA POESIA
L'Infinito, nella visione leopardiana, non è un infinito reale, ma è frutto dell'immaginazione dell'uomo e, quindi, da trattare in senso metafisico. Esso rappresenta quello slancio vitale e quella tensione verso la felicità connaturati ad ogni uomo, diventando in questo modo il principio stesso del piacere. L'esperienza dell'Infinito è un'esperienza duplice, che porta chi la compie ad essere in bilico tra la perdità di sé stesso (Così tra questa / immensità s'annega il pensier mio versi 13 e 14) e il piacere che da ciò deriva (e il naufragar m'è dolce in questo mare verso 15).
Per l'autore il desiderio di piacere è destinato a rinnovarsi sempre, ricercando sempre nuove sensazioni, scontrandosi inevitabilmente con il carattere provvisorio della realtà, per terminare al momento della morte. Secondo questa teoria (teoria del piacere), espressa nello Zibaldone, l'uomo non si può appagare di piaceri finiti, ma ha necessità di piaceri infiniti nel numero, nella durata e nell'estensione: tali piaceri, però, non sono possibili nell'esperienza umana. Questo limite, tuttavia, non persiste nel campo dell'immaginazione, che diventa una via d'accesso ad un sentimento di piacere (espresso nell'ultimo verso) nella fusione con l'infinità del mare dell'essere. È importante notare, tuttavia, che l'infinito leopardiano non è simile a quello di altri poeti romantici, in cui esso era straniamento dalla realtà per mezzo della semplice fuga nell'irrazionalità e nel sogno: la scoperta e l'esperienza dell'Infinito sono processi immaginativi sottoposti al controllo razionale. Il soggetto, cioè, crea consapevolmente il contrasto tra ciò che è limitato e ciò che è illimitato (l'ostacolo e l'infinito spaziale), e tra ciò che è contingente e ciò che è eterno. Tale considerazione ci porta a contemplare quello che è il pessimismo dell'autore: egli è consapevole della vanità del suo tendere, sa che tutto è frutto della sua immaginazione, per quanto questa situazione sia dolce.
PARAFRASI
Mi è stato sempre caro questo colle solitario e questa siepe che l'orizzonte esclude. Ma quando mi siedo e osservo spazi interminati e silenzi, in tutta quella quiete, mi nascondo nei pensieri, e il cuore si spaventa. E come il vento soffia tra gli alberi, io penso a questo silenzio infinito, e ricordo il tempo passato e quello presente e vivo e il suo rumore; Così, in questa immensità il mio pensiero affonda: e naufragare in questo mare sterminato è dolce.
Fonte: http://freiheitfreedom.altervista.org/files/Infinito.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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