Comunismo in Russia

 


 

Comunismo in Russia

 

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Comunismo in Russia

 

Il comunismo in Russia

 

L’arretratezza della Russia

In campo politico l’Impero russo era ancora fermo alla monarchia assoluta, guidata dallo zar, che riteneva di aver ricevuto direttamente da Dio il suo potere. Nel 1905, dopo la rivoluzione seguita alla sconfitta della Russia con il Giappone, era stata istituita una Camera dei deputati, detta Duma, con poteri di controllo sull’operato del sovrano e del governo. Tuttavia questo organo veniva sistematicamente scavalcato dall’imperatore, che quindi governava in modo autocratico (senza limitazioni).
Dal punto di vista economico, l’attività prevalente in Russia era l’agricoltura, che tuttavia versava in condizioni di arretratezza. L’industria si stava sviluppando, nei primi del Novecento, solo in poche città, come San Pietroburgo, che all’inizio della Prima guerra mondiale mutò nome in Pietrogrado.

 

La rivoluzione del febbraio 1917

A seguito delle numerose sconfitte (e diserzioni) subite durante il conflitto mondiale, la fragile economia russa crollò definitivamente. La popolazione era ridotta alla fame e soffrire il freddo, per mancanza dei più elementari generi di prima necessità. A Pietrogrado, il 23 febbraio 1917 (8 marzo secondo il calendario russo), vi furono le prime manifestazioni di protesta. L’iniziativa partì dalle operaie tessili, a cui si unirono 30000 lavoratori delle grandi officine metallurgiche Putilov. Il 24 e 25 febbraio tutta la città fu bloccata da un gigantesco sciopero generale, e gli stessi soldati mandati dalle autorità per reprimerlo, finirono per unirsi alla folla e solidarizzare con gli operai. Lo zar Nicola II Romanov tentò di far affluire sulla capitale truppe fedeli. Il progetto tuttavia fallì a causa della non collaborazione dei ferrovieri, così il 14 marzo nacque a Pietrogrado un governo provvisorio, che ottenne, il giorno seguente, l’abdicazione dello zar.

 

I Soviet

Il governo provvisorio era stato espresso dalla Duma, nella quale il gruppo politico prevalente era rappresentato dai liberali moderati (il partito “cadetto”). Fuori dalla Duma, fra gli operai e i soldati erano sorti degli organi di autogoverno detti soviet (consigli). Per ogni fabbrica e ogni reggimento, veniva eletto un certo numero di delegati; essi poi concorrevano a formare il soviet cittadino, cioè un consiglio che poteva essere considerato come l’effettiva espressione della volontà popolare ed era dotato di poteri decisionali. Si era pertanto venuta a creare una situazione di dualismo di poteri: all’autorità ufficiale del governo provvisorio, si contrapponeva quella, non meno reale, dei soviet.

 

Menscevichi e bolscevichi

Il Partito socialdemocratico russo, di ispirazione marxista e membro della Seconda Internazionale, era diviso in due correnti: quella minoritaria, detta menscevica, e quella maggioritaria, detta bolscevica. I menscevichi propendevano per un partito ramificato, di massa, ed erano fedeli alla concezione ortodossa del marxismo secondo cui non si può passare direttamente dall’assolutismo e dal feudalesimo al socialismo, pertanto essi appoggiavano il governo provvisorio con lo scopo di stabilizzare la fase borghese, rimandando ad un tempo futuro l’instaurazione del socialismo. I Bolscevichi, invece, erano favorevoli a un partito elitario, gestito da pochi dirigenti, rivoluzionari di professione, e ritenevano maturi i tempi per una rivoluzione socialista.

 

Lenin e le tesi di aprile

A capo della corrente bolscevica c’era dal 1902 Lenin (pseudonimo di Vladimir Il’ic Ul’janov). Al momento della rivoluzione di febbraio, Lenin, che si trovava in esilio a Zurigo, si accordò con le autorità tedesche, che gli permisero di attraversare in treno il proprio territorio, per raggiungere la Russia (la sua presenza in Russia ne avrebbe accresciuto il disordine e diminuito l’efficienza bellica). Lenin arrivò a Pietrogrado il 3 aprile 1917; il giorno seguente scandalizzò tutti i marxisti proclamando la sua intenzione di forzare i tempi e dare inizio alla rivoluzione proletaria. Le sue convinzioni politiche vennero condensate in un breve documento, noto come tesi di aprile. Lenin sosteneva che occorresse una pace separata della Russia con la Germania (al contrario, il governo provvisorio si era impegnato con le potenze dell’Intesa a non uscire dal conflitto. Nello scritto L’imperialismo fase suprema del capitalismo, egli sosteneva che la guerra mondiale altro non fosse che lo sforzo disperato, una volta compiuta la ripartizione dell’intera Terra tra le grandi potenze capitalistiche, di strappare con la forza ai rivali nuove regioni da trasformare in campi d’investimento per i capitali in eccesso. L’imperialismo quindi per Lenin è la fase suprema del capitalismo. Pertanto egli riteneva che le condizioni per la realizzazione del socialismo si fossero ormai verificate. Certo, la Russia era ancora arretrata; la guerra mondiale imperialista però avrebbe permesso la realizzazione della rivoluzione in tutti i paesi dell’Europa industrializzata. Una rivoluzione socialista in Russia, dunque, non sarebbe affatto stata prematura, bensì perfettamente in sintonia con i grandi eventi che stavano scuotendo la scena europea e mondiale. Inoltre, occorreva risolvere il dualismo di poteri in modo che tutta l’autorità passasse nelle mani del proletariato. Alla linea dei menscevichi che, in nome del marxismo ortodosso, proponevano il sostegno al governo affinché la fase borghese della storia russa potesse consolidarsi, Lenin opponeva le due parole d’ordine: “pace immediata” e “tutto il potere ai soviet”.

 

La rivoluzione di ottobre

Nell’agosto 1917, i bolscevichi diedero un contributo decisivo alla sconfitta di un tentativo di colpo di stato, organizzato dal generale Kornilov e questo aumentò molto la loro popolarità, tanto che in settembre ebbero la maggioranza all’interno dei soviet di Pietrogrado e Mosca e riuscirono a controllare  il Congresso Panrusso dei soviet.
A Pietrogrado, la notte del 25 ottobre 1917 (7 novembre), reparti armati bolscevichi assaltarono il Palazzo d’Inverno, sede del governo, e arrestarono numerosi ministri. Il giorno dopo il Congresso Panrusso dei soviet ratificò il colpo di stato, assunse il potere ed emanò i primi decreti rivoluzionari. Fu creato il Consiglio dei commissari del popolo, con a capo Lenin, con funzioni di governo sino alla convocazione di un’Assemblea Costituente.
Lenin rivolse un appello ai governi di tutte le nazioni belligeranti per porre fine alle ostilità e per iniziare trattative per una pace “giusta e democratica”.
Lenin, preoccupato di avere l’appoggio dei contadini (che erano la maggioranza della popolazione) sottopose al Congresso dei soviet il decreto sulla terra: “Ogni proprietà privata è abolita immediatamente e senza compenso”. Tutti i terreni diventavano proprietà nazionale ed erano messi a disposizione di tutti i contadini che desiderassero coltivarli. Erano vietati l’acquisto, la vendita e l’affitto dei terreni, nonché l’utilizzo di manodopera salariata.
Nei mesi successivi furono nazionalizzate le banche e decretato il controllo operaio su tutte le imprese commerciali e industriali.
In tal modo, venivano gettate le basi per la costruzione del socialismo.

 

La dittatura del proletariato

Il 26 ottobre il Congresso Panrusso dei soviet designò a guida dello stato un Consiglio dei Commissari del popolo, dotato di pieni poteri, presieduto da Lenin e composto dai principali esponenti del partito bolscevico.
Lenin, nello scritto Stato e rivoluzione del 1917, ispirandosi al concetto di dittatura del proletariato di Marx ed Engels, riteneva che il proletariato dovesse conquistare lo stato, solo così sarebbe stato possibile respingere gli assalti della borghesia. Solo una volta che il proletariato avesse conquistato il potere si sarebbe potuto attuare il socialismo (abolizione della proprietà privata) e finalmente passare alla società senza classi, in cui lo stesso stato si sarebbe dissolto.


La concezione politica di Lenin

Società borghese

Proprietà privata e divisione in classi sociali

Lo stato è uno strumento repressivo al servizio della borghesia

Rivoluzione e dittatura del proletariato

Abolizione della proprietà privata

Lo stato proletario impedisce alla borghesia di riprendere il potere

Società comunista

Uguaglianza assoluta di tutti gli uomini e loro spontanea adesione alle norme morali

Estinzione dello stato

 

La dittatura del partito

Il 7 dicembre 1917 venne istituita la CEKA (Commissione straordinaria per la lotta contro la controrivoluzione e il sabotaggio), incaricata di schiacciare tutti i nemici del proletariato e del socialismo. Nel 1918 fu attuato il cosiddetto Terrore rosso: vennero uccisi gli esponenti del vecchio regime politico e i capitalisti che erano già stati incarcerati in precedenza.
La dittatura del proletariato, di fatto, era la dittatura del partito. Il 12 novembre 1917 si tennero le prime elezioni a suffragio universale della storia russa. Le votazioni furono un insuccesso per il bolscevichi: essendo gran parte della popolazione formata da contadini, la maggioranza dei suffragi non andò ai bolscevichi (appoggiati soprattutto dai soldati e dagli operai delle grandi industrie urbane), bensì al partito dei social-rivoluzionari, che, a dispetto del nome, erano schierati su posizioni moderate, difendevano la piccola proprietà e avevano condannato il colpo di stato del 25 ottobre 1917 (7 novembre). Lenin decise di lasciar riunire l’assemblea, ma dopo la prima seduta inaugurale la fece disperdere, con la giustificazione che il proletariato non aveva votato liberamente, perché ancora condizionato dall’ideologia che la classe dominante gli aveva trasmesso per tenerlo soggiogato. Solo la linea politica dei bolscevichi poteva essere considerata rispondente agli interessi del proletariato.


Fasi della dittatura del partito comunista

8 novembre 1917

Nascita del Consiglio dei Commissari del popolo

7 dicembre 1917

Istituzione della CEKA

19 gennaio 1918

Scioglimento dell’Assemblea Costituente

5 settembre 1918

Istituzione del Terrore rosso

17 febbraio 1918

Decreto secondo cui gli elementi estranei alla classe operaia possono essere rinchiusi in campo di concentramento

15 aprile 1919

Decreto secondo cui gli elementi nemici della classe operaia possono essere rinchiusi in campi di lavoro coatto

 

La guerra civile

Uno dei motivi per cui il partito di Lenin aumentò i suoi consensi fu la decisione di giungere al più presto possibile ad una pace separata con la Germania. Il 3 marzo 1918, infatti, fu stipulato il trattato di Brest-Litovsk: esso era quanto mai oneroso per la Russia, che perdeva molti importanti territori (fra i quali l’Ucraina), ma Lenin lo accettò ugualmente per poter avere quella tranquillità senza la quale sarebbe stato impossibile consolidare il nuovo regime.
Tuttavia, Lenin dovette affrontare subito un’altra guerra, questa volta civile. Reparti legati allo zar non riconobbero il governo bolscevico ed iniziarono a lottare contro di esso. Alla fine del 1919 l’esercito comunista – la cosiddetta Armata rossa, completamente riorganizzata dal leader bolscevico Lev Trockij – riuscì a sconfiggere gli eserciti controrivoluzionari (sostenuti economicamente e militarmente anche da Francia e Inghilterra).
Uno dei tratti più tragici che caratterizzò questa guerra civile, fu il feroce antisemitismo, adottato dai nemici dei comunisti, i quali sulla base di un falso documento (creato dalla polizia dello zar alla fine del XIX secolo) intitolato Protocolli dei Savi Anziani di Sion, pensavano che gli ebrei avessero messo in atto un piano per conquistare il mondo. Nell’Ottocento l’Impero russo ospitava la più grande colonia ebraica del mondo e tra il 1917 e il 1919 le truppe bianche (controrivoluzionari), compirono numerosi pogrom (massacri) di ebrei (solo in Ucraina si contarono 75000 vittime).

 

Il comunismo di guerra

Il problema principale negli anni 1917-1921 fu quello dell’approvvigionamento delle città, in cui si moriva di fame e di freddo. Il governo attuò il cosiddetto comunismo di guerra, cioè organizzò su vasta scala la requisizione dei raccolti. Ciò provocò rivolte tra i contadini a cui le autorità risposero con il sistematico uso del campo di concentramento nei confronti delle famiglie dei contadini ribelli.
Nell’aprile 1920, pensando di poter approfittare della debolezza del neonato stato sovietico, la Polonia ne invase le regioni occidentali, ma l’Armata Rossa riuscì a contrattaccare, fino a giungere alle porte di Varsavia. A questo punto Lenin sperava che i lavoratori polacchi vedessero nella Russia il loro liberatore dal giogo capitalistico e ne sostenessero l’esercito. Invece, non fu così: gli operai polacchi furono più sensibili al sentimento nazionale, con il risultato che i sovietici dovettero ritirarsi. Ciò convinse Lenin della impossibilità di scatenare nell’immediato una generale rivoluzione europea e che, invece, fosse necessario dedicarsi al rafforzamento interno del regime. Ciò implicava però una svolta nella politica tenuta fino ad ora nei confronti dei contadini, ridotti alla fame a causa delle requisizioni.

 

La Nuova Politica Economica

Nel marzo 1921, mentre le campagne russe soffrivano una micidiale carestia (che provocò la morte di 5 milioni di contadini), venne varata la cosiddetta NEP (Nuova Politica Economica), che lo stesso Lenin definì come una “ritirata” nel cammino verso il socialismo. In pratica, si introduceva di nuovo nelle campagne un’economia di mercato: i contadini dovevano versare una percentuale fissa della loro produzione allo stato, però il resto del raccolto restava nelle loro mani e potevano commercializzarlo. In tal modo venne finalmente garantito il regolare afflusso di alimenti nelle città e nei centri industriali. Di contro, la produzione dovette orientarsi soprattutto verso i beni di consumo, che gli agricoltori acquistavano con il denaro ricavato dalla vendita dei loro prodotti (soprattutto cereali). La NEP favorì soprattutto i contadini che avevano a propria disposizione poderi sufficientemente ampi da poter immettere una parte del raccolto sul mercato. Questi agricoltori si trasformarono di fatto in imprenditori e, in deroga al decreto sulla terra del 1917, impiegarono molti lavoratori salariati.
Dal 1922 la Russia e i territori ad essa sottomessi si federarono in un’unica compagine statale che prese il nome di URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche).

 

Lo stalinismo

Lenin morì il 24 gennaio 1924, all’età di 54 anni. Nel 1927 risultò padrone assoluto del governo della Russia Stalin (Iosif Vissarionovic Dzugasvili), che già dal 1922 ricopriva la carica di segretario del partito.
Stalin, in nome della lotto contro il frazionismo (già iniziata da Lenin), proibì ogni discussione interna al partito e arrivò fino a mettere sotto accusa, processare e condannare a morte, alcuni fra i maggiori dirigenti bolscevichi e fautori della rivoluzione, come Trockij, Zinov’ev, Kamenev, Bucharin. In tutti questi processi ci fu un elemento di spettacolarità: l’imputato era costretto ad autoaccusarsi pubblicamente dei peggiori crimini. La repressione, oltre all’ambito politico, coinvolse anche altri settori, come la burocrazia statale e la cultura. Si stima che tra il 1936 e 1939, da 4 a 5 milioni di persone subirono la repressione: quattrocento o cinquecentomila furono fucilati, gli altri spediti nei campi di concentramento per molti anni.

 

L’industrializzazione della Russia

L’obiettivo principale di Stalin era quello di giungere in tempi brevi ad un livello di industrializzazione pari a quello degli altri paesi europei. Bisognava però passare da una produzione di beni di consumo all’industria pesante. Per far ciò nel 1929 fu varato il primo piano quinquennale, che prevedeva una rigida pianificazione statale dell’economia e della politica industriale. Era l’antitesi del liberismo economico, che ricordava quanto accadde in Germania durante la prima guerra mondiale, quando sotto la guida del ministro Rathenau la produzione industriale necessaria allo sforzo bellico venne minuziosamente organizzata dall’alto (anche se in realtà in Germania il libero scambio non fu mai del tutto abolito, al contrario di quanto avvenne in URSS). Tale politica economica statalista ottenne in effetti eccezionali risultati (dal 1929 al 1940 la produzione industriale sovietica triplicò).

 

La collettivizzazione delle campagne

Nel giro di dieci anni l’URSS divenne la seconda potenza industriale del mondo. I costi umani di tale impresa però vennero pagati soprattutto dai contadini. A partire dai primi mesi del 1928 si fece di nuovo ricorso alle requisizioni forzate, come al tempo del comunismo di guerra. Nel gennaio 1930 Stalin decise di procedere alla liquidazione dei kulaki (contadini benestanti, che si erano arricchiti soprattutto ai tempi della NEP) come classe ed alla collettivizzazione delle campagne. Nel 1931, vennero deportati circa 1 800 000 individui (bollati come sfruttatori agricoli) in zone periferiche e semidesertiche, ove la maggior parte morì per stenti. Nel contempo, tutti gli altri contadini vennero obbligati a riunirsi in grandi aziende agricole collettive (kolchoz), unità produttive di vaste dimensioni, completamente controllate dallo stato. Migliaia furono i contadini che si rifiutarono, ma vennero arrestati e finirono in campo di concentramento. Oltre a ciò molti morirono per una seconda disastrosa carestia nel 1932-33.
In definitiva, a costo di far partire la fame ai contadini, le città e i grandi centri industriali poterono essere regolarmente riforniti (solo nel 1933 vennero venduti all’estero 18 milioni di quintali di grando).

 

I campi di lavoro

Negli anni Trenta, giunse a piena maturazione anche il sistema dei campi di lavoro sovietici, ovvero strumenti di repressione e di reclusione degli avversari politici. Nel 1929, tutti i campi di concentramento sovietici furono raccolti sotto la sigla GULag e da luoghi deputati al terrore passano a centri finalizzati allo sfruttamento dei prigionieri (ad es. per la costruzione di grandi canali, come quello tra il Mar Baltico e il Mar Bianco, dove lavorarono 120 000 detenuti; o nelle miniere d’oro della Siberia orientale, dove ne lavoravano 138 000).
Per la maggior parte, non si trattava di detenuti politici, ma di individui normali che per qualche ragione, anche banale, si erano posti contro il regime: ad es. per essersi spostati dalle campagne alle città senza permesso, o per aver tenuto per sé una porzione di troppo di raccolto, o per non essere abbastanza zelanti in fabbrica.

 

Fonte: http://doceo.pbworks.com/w/file/fetch/59660388/comunismo_russia.doc

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Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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