Globalizzazione
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Globalizzazione
INTRODUZIONE
Dall'età feudale fino ai giorni nostri si è avuto un progressivo passaggio da spazi prevalentemente chiusi a spazi sempre più aperti, fino ad arrivare ad un "mondo-villaggio", caratterizzato da una sorprendente integrazione di tutte le sue parti fino ad ora sconosciuta.
La mobilità territoriale degli uomini, delle merci, delle idee, delle informazione, che ha assunto dimensioni mondiali, è il risultato più evidente di questo processo: è come se il mondo fosse diventato un unico grande villaggio.
I processi di integrazione hanno raggiunto un tale livello che è impossibile muoversi in qualsiasi campo senza tenere conto della presenza di tutti gli altri paesi e della scala ormai planetaria dei principali problemi: questioni come la pace, la guerra, la difesa dei diritti umani non sono più solo dei singoli popoli, ma devono essere affrontati a livello globale.
Le conseguenze delle congiunture economiche, delle crisi finanziarie, delle innovazione tecnologiche , del traffico della droga, del terrorismo internazionale, coinvolgono ormai ogni continente, anche se in misura differente.
Basta anche solo pensare alle dimensioni assunte dal turismo internazionale, all'omologazione dei gusti, alla diffusione delle mode, alla compenetrazione tra culture e valori diversi, per cogliere da altri punti di vista la dimensione dei livelli di integrazione raggiunti.
In seguito a ciò si è aperta una nuova fase nei rapporti internazionali - economici, politici. militari o culturali - definita globalizzazione.
Con questo termine si intende appunto l'integrazione di tutte le regioni del mondo, attraverso interdipendenze che coinvolgono ogni aspetto della vita: dalla produzione di beni materiali e di servizi al progresso scientifico e tecnologico, dai movimenti di capitale alla mobilità delle persone, alla diffusione delle informazioni.
Come conseguenza della globalizzazione le grandi problematiche del nostro tempo assumono un carattere transnazionale e gli uomini, di qualsiasi società facciano parte, prendono coscienza del destino che accomuna ogni abitante del pianeta.
MA COSA E' LA GLOBALIZZAZIONE?
Per globalizzazione si intende un processo finalizzato alla costituzione di uno stato mondiale e di una nazione umana. Oggi nel mondo ci sono circa duecento Stati e più di duemila nazioni, e quindi, per riuscire a portare a termine questo progetto, occorre realizzare diverse fasi, riuscendo a creare:
- una rete globale di trasporti e comunicazioni
- un mercato unificato, che garantisca la possibilità di vendere e comprare in
tutti i territori nazionali
- una mobilità culturale che favorisca la condivisione del mito all’interno
degli Stati
- un'organizzazione politica con una certa centralizzazione del potere
- un'organizzazione militare
- una cittadinanza mondiale
Si può dire che attualmente solo di alcune di queste fasi è stata iniziata l'attuazione. Non è infatti semplice accordare tutti i partecipanti al progetto, essendo essi molto numerosi ed avendo spesso interessi diversificati; anche se, come è noto, sono soprattutto gli Stati capitalisti, cioè gli Stati più ricchi, a prendere le decisioni e quindi a indirizzare le politiche da attuare. Infatti pur cercando di unificare le varie parti del mondo, rimarrà sempre un divario fra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo (definiti rispettivamente NORD e SUD del mondo). Oggi nessun Paese è autosufficiente, ed è costretto a ricorrere, in modo più o meno rilevante, alla collaborazione con gli altri Stati, il problema è che però questa cooperazione non è equilibrata: i Paesi più ricchi utilizzano il loro potere per sfruttare quelli più deboli, creando rapporti di vera e propria dipendenza, che accentuano sempre più il preesistente divario. Si costituiscono soprattutto grandi imprese multinazionali che hanno sedi in diversi Stati, ogni filiale ha un diverso compito nella realizzazione del prodotto finale, in base alle risorse offerte dal Paese in cui è posta.
Quindi globalizzazione è la crescente interdipendenza economica di tutti i Paesi del mondo, dovuta a diversi fattori: notevole aumento delle transazioni finanziarie e degli scambi internazionali di beni e servizi; diffusione generalizzata delle telecomunicazioni e della tecnologia; accresciuta mobilità delle persone su scala planetaria. Ciò ha come conseguenza il fatto che alcune decisioni, alcuni eventi e alcune attività, ovunque essi si manifestino, hanno conseguenze che a volte si ripercuotono sul resto del mondo. Questo processo non coinvolge però solo la sfera economica, ma anche quella politica e quella culturale, e questo sia perché il fenomeno ha una dimensione di scala spaziale planetaria, sia perché le interconnessioni e le interdipendenze tra i vari stati e le varie società ha raggiunto una notevole intensità.
Non siamo ancora giunti a un unico villaggio globale, ma già si possono riconoscere tre poli trainanti, costituiti da Stati Uniti e Canada, Unione Europea, Giappone, che hanno formato intorno a sé le rispettive macroregioni: le Americhe, l'Eurafrica, l'Asia orientale e il Sud-Est asiatco, che costituiscono il fulcro del sistema e che sono in competizione fra loro. Ed è proprio analizzando gli scambi interni ed esterni di queste aree che emerge una situazione economica mondiale che non è proprio uniforme:
Ripartizione % dei flussi commerciali sul valore globale
Inizialmente infatti la globalizzazione si è affermata maggiormente nel campo economico-finanziario. La mondializzazione dell'economia impedisce alle imprese di chiudersi entro le proprie frontiere rinunciando al protezionismo presente in alcune nazioni in passato, così ogni operatore è costretto a confrontarsi col mondo intero e la sua gestione è condizionata dalla competizione sul mercato internazionale.
Da questa prima fase di collegamento economico deriva però la necessità di instaurare relazioni anche politiche, fra i vari governi, per agevolare i sistemi economico-finanziari. Questa collaborazione può essere vista come la base per una futura situazione di pace internazionale, perché gli Stati ricercano rapporti amichevoli e forme di cooperazione. Sembra che a una situazione di autarchia e protezionismo corrispondano tensioni e guerre, invece quando c'è libero scambio generalmente c'è pace tra i popoli.
Fondamentale per l'avanzata di questo processo sono stati lo sviluppo e la diffusione dei mezzi di trasporto e delle telecomunicazioni: il trasporto delle merci è diventato oggi molto veloce, per non parlare poi della velocità con cui si riescono a trasmettere le informazioni. Questa facilità di comunicazione ha agevolato non poco le relazioni tra i vari popoli, rendendo normale conoscere in tempo reale avvenimenti che accadono dall'altra parte del mondo.
Si è innescata però una "pericolosa" tendenza all'omologazione: si cerca di omologare i modi di produzione (normative fiscali, normative, preparazione dei lavoratori, condizioni infrastrutturali), i modelli di consumo, i gusti dei consumatori, e questo perché l'armonizzazione dei singoli sistemi comporta il superamento delle maggiori divergenze. In un prossimo futuro questo potrebbe portare alla perdita di elementi culturali, di valori e di culture propri di un popolo, per lasciare il posto a nuovi aspetti comuni in tutto il resto delle mondo, si avrebbe quindi una perdita di identità da parte di alcune civiltà.
QUANDO E' INIZIATA? E COME?
Il primo impulso alla globalizzazione è stato dato dal colonialismo: alla fine dell'800 quando nella politica di governo degli stati era entrata l'idea di assoggettare territori stranieri.
Se inizialmente lo scopo principale era da ricercarsi nel commercio (ricerca di nuovi mercati di sbocco per i prodotti), in seguito ha assunto intenti molto più grandiosi: erano sopraggiunte altre motivazioni economiche, come la ricerca di materie prime a basso costo, e la possibilità di investire i capitali finanziari disponibili, ma anche intenti politici di vero e proprio assoggettamento, che ha le radici in una diffusa ideologia di nazionalismo, razzismo e spirito missionario insieme.
Vasti territori dell'Africa, del Pacifico e dell'Asia furono ridotti allo stato di colonie (se amministrati direttamente) o protettorati (se controllati indirettamente, attraverso i governi locali).
Risultato di ciò fu che, alla fine del processo di espansione, il mondo intero risultò diviso in imperi e zone di influenza fra le maggiori potenze.
L'Europa svolse un ruolo importante come colonizzatrice, in quanto portò in tutto il mondo la sua civiltà, la sua esperienza nell'economia e le sue scoperte, ma commise l'errore di usare sistematicamente la forza contro le popolazioni indigene, quando queste infatti, cercavano di ribellarsi venivano fermate con veri e propri massacri.
Economicamente però i paesi colonizzati ebbero dei benefici: vennero resi coltivabili nuovi appezzamenti di terreni, introdotte nuove tecniche agricole, costruite infrastrutture, avviate attività industriali e commerciali, migliorato l'ordinamento amministrativo e finanziario.
Alto era però il prezzo che questi paesi dovevano pagare per queste innovazioni: i colonizzatori attuavano un depauperamento di risorse materiali e umane incredibile, insomma sfruttavano nel vero senso della parola la colonia.
Le economie dei paesi sottomessi vennero soprattutto indirizzate verso l'esportazione, danneggiando il già debole mercato interno: fu avviato un processo di sviluppo in funzione solo degli interessi dei colonizzatori.
Nuovi paesi entrarono nel vasto mercato mondiale, assumendo però da subito una posizione dipendente: passarono dalla povertà al sottosviluppo.
Purtroppo anche dal punto di vista culturale l'impatto fu violento. I sistemi culturali legati ad una tradizione più forte cercarono di opporre resistenza agli apporti che la presenza europea inseriva nelle loro società, anche se poi finirono per assimilare alcuni di questi apporti. Al contrario i sistemi più deboli furono travolti dalle trasformazioni economiche, tecnologiche, sociali, religiose e linguistiche portate dagli europei, che ruppero tutti i preesistenti equilibri degli universi culturali e non solo. Entrarono in crisi ed andarono persi interi sistemi di vita, di riti, di credenza, di costumi, di valori e di tradizioni.
Parallelamente a ciò però si formò , o meglio si risvegliò, in queste popolazioni l'idea di nazionalismo locale, quindi, involontariamente, l'Europa esportò anche il bisogno di autogovernarsi e di decidere il proprio destino.
L'ITALIA
Per quanto riguarda il ruolo assunto dall'Italianel processo di colonizzazione bisogna risalire agli anni della Sinistra, che segnarono una svolta decisiva nella politica estera.
L'Italia sotto il governo di Depretis aderì, nel 1882, alla Triplice alleanza, determinata soprattutto dal desiderio di uscire dalla situazione di isolamento diplomatico che risultava inaccettabile in un'epoca dominata dalla logica della potenza.
Questa alleanza, che coinvolgeva Italia, Germania e Austria, aveva carattere difensivo, e impegnava i tre stati a garantirsi reciproca assistenza in caso di attacco da parte di altre potenze, e che quindi non dava agli alleati un vantaggio immediato.
Anche se ormai l'Italia poteva contare su un appoggio in caso di bisogno, non era ancora pronta per iniziare una politica di conquiste coloniali, perché le mancavano ancora elementi economici (I capitali) e politici (opinione favorevole dell'opinione pubblica).
Non si era ancora pienamente risollevata dai traumi dell'unificazione, e il divario tra essa e gli altri paesi, sia economicamente che militarmente più avanzati e potenti, era ancora troppo grande.
Nonostante ciò il governo Depretis, subito dopo la stipulazione dell'alleanza, aveva ritenuto opportuno iniziare la preparazione di un'iniziativa coloniale nell'Africa orientale, dove l'espansione appariva meno ardua (vi si trovavano già esploratori e missionari italiani) e la concorrenza meno pericolosa, ma anche dove non si individuavano notevoli interessi economici o strategici per l'Italia.
L'operazione ebbe inizio con l'acquisto, nel giugno 1882, della baia di Assab, sulla costa meridionale del Mar rosso. In seguito a questo primo passo, nel 1885 fu inviato un corpo di spedizione che procedette all'occupazione di una striscia di territorio fra la baia e la città di Massau., zona che confinava con l'impero etiope, che allora era il più potente d'Africa. Inizialmente gli italiani cercarono di stabilire con l'Etiopia dei buoni rapporti, cercando di avviarvi una penetrazione commerciale, ma in seguito cercarono di allargare il loro territorio verso l'interno, andandosi a scontrare con l'impero, e iniziando una guerra contro di esso, che finì con la sconfitta dell'Italia avvenuta nella battaglia di Dogali.
Alla morte di Depretis gli succedette Francesco Crispi, il quale era intenzionato a continuare la politica coloniale intrapresa dal suo predecessore, e, per tanto, rafforzò la Triplice alleanza, sia per tutelarsi maggiormente da un eventuale attacco francese (con la Francia i rapporti si erano ulteriormente inaspriti), sia per aumentare la sua potenza e continuare la conquista dell'Africa settentrionale. Crispi mirava a riaffermare la presenza italiana in Africa orientale, risollevando il prestigio nazionale dopo la sconfitta di Dogali.
Alla fine del 1890 i possedimenti italiani furono ampliati e riorganizzati sotto il nome di Colonia Eritrea, e già si prospettava un'ulteriore prossima espansione verso la Somalia.
La politica di Crispi fu però ritenuta troppo costosa per il bilancio dello Stato in un momento di grave crisi economica, visto che oltre tutto non assicurava immediati vantaggi economici.
Messo in minoranza Crispi si dimise nel 1891 e fu sostituito da Giovanni Giolitti; ma la sua assenza dalla scena politica fu breve, infatti tornò al governo nel 1983.
Tornato al governo non riuscì a riprendere le sue iniziative coloniali.
Già durante il suo primo governo Crispi aveva cercato di stabilire un protettorato sull'Etiopia, e nel 1889 aveva firmato con essa il trattato di Uccialli. Questo concordato però non era molto chiaro essendo stato tradotto in due lingue (italiano e aramaico) non perfettamente corrispondenti. Da ciò la nascita di un malinteso: l'Italia credeva che vi si riconoscesse il suo protettorato sull'altra, mentre per l'Etiopia era un semplice patto di amicizia. Quando questa incomprensione venne alla luce i rapporti fra le due nazioni crollarono: nella primavera del 1895 gli italiani ripresero la penetrazione dall'Eritrea verso l'interno, scontrandosi nuovamente con gli etiopi. In dicembre un distaccamento italiano fu distrutto dai nemici; più tardi i comandi italiani, incitati da Crispi, decisero di vendicarsi e di attaccare l'esercito etiope. Purtroppo l'azione fu mal preparata e si risolse così in un disastro: il 1° marzo 1896, nella conca di Adua, gli italiani furono praticamente annientati.
Questa sconfitta ebbe ripercussioni immediate in Italia, dove si svolsero violente manifestazioni contro la guerra d'Africa e il governo fu costretto a dimettersi.
Il successore di Crispi, Rudini, concluse velocemente una pace con l'Etiopia che garantisse almeno la presenza italiana in Eritrea e Somalia.
La conclusione di questi tentativi di espansione era la prova che la guerra coloniale non era ancora molto sentita dalla popolazione.
Successivamente nessun governo rilanciò più l'iniziativa coloniale, a parte un debole tentativo verso la Somalia realizzato nel 1899, fino al 1911, quando Giolitti decise l'occupazione della Libia (Tripolitania e Cirenaica), spinto soprattutto dalla speranza di trovarvi una risposta al problema dell'aumento della popolazione.
La decisione di dirigersi verso questi territori era stata influenzata dal fatto che erano zone trascurate dalle altre potenze per il loro modesto interesse economico e strategico. Per questo costituivano il bersaglio più facile per l'iniziativa italiana, anche per la loro appartenenza al decadente impero ottomano, che non era più in grado di difenderle. L'Italia aveva già da qualche tempo iniziato una penetrazione commerciale del territorio, sul quale si erano insediate alcune banche italiane.
Giolitti si preoccupò di ottenere l'approvazione di Francia e Inghilterra, e una volta ottenutolo diede il via alle operazioni militari che non diedero eccessivi problemi per la debole resistenza turca. Altrettanto debole non fu però la resistenza libica. In quest'occasione, e per la prima volta nella storia, vennero utilizzati gli aerei per colpire la guerriglia e bombardare la popolazione civile. L'intervento militare italiano si estese poi al Mediterraneo orientale con l'occupazione delle isole del Dodecaneso: alla Turchia non restò altra scelta che firmare la pace, che fu stipulata a Losanna nel 1912.
Dopo questa occupazione la politica coloniale italiana subì di nuovo un arresto fino all'avvento di Mussolini.
Verso la fine degli anni '20 il capo del fascismo decise di estendere la propria influenza su molti paesi dell'Europa centro-orientale e balcanica (Albania, Romania, Bulgaria, Ungheria), con il sostegno della gran Bretagna, che così vedeva contrastati gli interessi francesi e sovietici in tali regioni.
Successivamente, nel 1935-36, questa volta con il consenso francese, Mussolini poté dare il via al suo piano imperialistico: aggredì e occupò l'Etiopia, che fu annessa agli altri possedimenti (Eritrea, Somalia e Libia), uniti tutti sotto il nome di Impero dell'Africa orientale italiana.
Questa fu l'ultima conquista coloniale italiana, infatti pochi anni dopo scoppiò la seconda guerra mondiale, che modificò le situazioni di tutti gli Stati.
PROTEZIONISMO O LIBERO SCAMBIO?
Anticamente quasi tutte le società erano chiuse, non intrattenevano cioè rapporti con altre comunità, c'era un sistema di autoconsumo: si consumava solo ciò che si produceva. Tuttavia, ben presto, si comprese che non si poteva produrre tutto ciò di cui si aveva necessità, perciò era iniziato un primo rapporto di scambio di prodotti, inizialmente solo fra società vicine, ma che in seguito si è sempre più allargato. Solo recentemente comunque questi scambi hanno raggiunto dimensioni così vaste da comprendere l'intero mondo, creando un mercato di livello mondiale.
Oggi si parla di economie aperte, in quanto gli Stati hanno adottato sistemi economici che hanno innumerevoli rapporti con l'estero: importazioni ed esportazioni da e verso gli altri paesi.
Uno Stato può comunque decidere il tipo di rapporto che vuole instaurare con l'estero, infatti è libero di scegliere la sua politica commerciale, che può essere basata sul protezionismo o sul libero scambio.
Nel caso scelga il protezionismo lo Stato cerca di limitare il più possibile le importazioni da altri paesi attraverso l'utilizzo di diversi strumenti. Lo scopo che porta uno Stato ad attuare una tale politica possono essere diverse:
- potrebbe voler proteggere le imprese nazionali dalla concorrenza di quelle straniere, e questo può capitare soprattutto quando l'industria interna è nascente e quindi debole e non competitiva, e se questa appartiene a un paese in via di sviluppo;
- cercare di salvaguardare l'occupazione di manodopera interna, favorendo la produzione e quindi l'impiego di lavoratori nazionali;
- porre un freno ai debiti verso l'estero, evitandone la crescita eliminando le importazioni, ma continuando ad effettuare esportazioni.
Bisogna però dire che la politica protezionistica presenta anche, come si può immaginare, diversi inconvenienti:
- limitando le importazioni gli altri paesi è probabile facciano in modo di non acquistare le esportazioni di questo Stato;
- se il Paese protezionista non ha grandi disponibilità di materie prime interne, non ricorrendo all'importazione sarà costretto a ridurre la produzione;
- diventa difficoltosa anche la diffusione delle novità tecnologiche che potrebbero migliorare la produzione;
- la popolazione deve rinunciare all'utilizzo di quei beni che non possono essere prodotti all'interno.
Gli strumenti che più frequentemente vengono utilizzati per attuare il protezionismo sono i dazi doganali e i contingenti d'importazione. I primi sono imposte che colpiscono la merce straniera nel momento in cui entra nello Stato, facendone quindi aumentare il prezzo di vendita, e questo aumento fa conseguentemente diminuire la domanda dei consumatori, che preferiranno invece acquistare prodotti interni o prodotti succedanei. Invece i contingenti d'importazione rappresentano i quantitativi massimi importabili di certe merci.
Opposta questa situazione è quella in cui si trovano gli Stati che adottano una politica di libero scambio, in cui non viene ostacolata l'importazione delle merci.
I sostenitori di questa politica affermano che essa è vantaggiosa in quanto permette a ogni paese di specializzarsi nella produzione di alcuni beni e servizi per i quali ha più convenienza, e di consumare altri beni di cui non riuscirebbe ad avere la disponibilità se non tramite l'importazione. Ogni pese può così decidere, in base alle risorse interne di cui dispone, a quale attività dedicarsi prevalentemente: primaria, secondaria, terziaria.
Questo principio sembrerebbe vantaggioso per tutti gli Stati produttori, ma in realtà la convenienza, nel caso in cui lo scambio avvenga fra paesi con livelli di sviluppo differenti, ce l'hanno solo i paesi più sviluppati.
Nel tempo questo scambio ineguale ha creato una situazione statica, in cui i paesi sviluppati esportano prodotti finiti e tecnologici importando materie prime, in opposizione ai paesi più arretrati costretti a importare la quasi totalità dei prodotti finiti, esportando i loro prodotti agricoli spesso a condizioni sfavorevoli.
Nel caso in cui però i rapporti commerciali avvengano fra paesi il cui livello di sviluppo è pressoché uguale, allora questa situazione di libero scambio favorisce la crescita economica per entrambe le parti.
Gli scambi internazionali oggi occupano un posto importante nella maggioranza dei sistemi economici.
SUDDIVISIONE DEL COMMERCIO MONDIALE
L'INSANABILE DIVARIO PS - PVS
Abbiamo visto che l'economia mondiale non appare omogenea, ma bensì presenta una notevole disuguaglianza tra paesi ricchi e paesi poveri. Semplificando si può dire che accanto a un gruppo, relativamente ristretto, di paesi ricchi e industrializzati, con un alto tenore di vita e di consumo, c'è un'enorme massa di paesi in cui spesso non è garantita neppure la sopravvivenza.
I paesi ricchi, ad eccezione di Australia e Nuova Zelanda, si trovano nell'emisfero boreale (settentrionale), mentre i paesi poveri si trovano nell'emisfero meridionale (australe), ed è per questo che si parla di NORD e SUD dal mondo.
Tramite il calcolo di specifici indicatori economici, detti indici di sviluppo, si può misurare il livello di sviluppo di un paese; tali indicatori numerici sono:
- il reddito pro-capite
- il consumo di energia pro-capite
- l'occupazione della popolazione attiva nei diversi settori di attività.
Accanto a questi indicatori puramente economici vengono spesso affiancati indicatori sociali e demografici, di cui i più significativi sono:
- la disponibilità di calorie pro-capite
- l'incremento demografico
- la speranza di vita
- la mortalità infantile
- il tasso di alfabetizzazione
- il numero di posti letto ogni 1000 abitanti
- il numero di medici ogni 1000 abitanti.
Ultimamente è stato poi introdotto un nuovo indicatore del progresso umano: l'indice di sviluppo umano (ISU), che mette in relazione tra loro gli indicatori del potere d'acquisto (reddito pro-capite), dell'istruzione (tasso di alfabetizzazione degli adulti e numero medio di anni di scuola frequentati), della salute (speranza di vita). Questo nuovo indice offre una misura più soddisfacente del grado di sviluppo rispetto agli indici puramente economici, poiché considera anche l'aspetto qualitativo della vita e misura il soddisfacimento dei bisogni umani fondamentali.
Inizialmente la situazione economica mondiale veniva generalizzata creando solo due macro categorie, quella dei paesi sviluppati e quella dei paesi in via di sviluppo, detto anche Terzo mondo, ultimamente però si sono riconosciute alcune sotto categorie, essendosi diversificato il grado di arretratezza dei vari paesi. Si sono dunque formati dei nuovi raggruppamenti fra paesi che presentano situazioni economiche abbastanza omogenee:
- paesi esportatori di petrolio, che spesso hanno redditi pro-capite abbastanza elevati, ma che presentano ugualmente elementi di arretratezza, dovuti soprattutto allo squilibrio nella distribuzione della ricchezza: c'è un ristretto gruppo di persone che detiene ricchezza e potere, e una popolazione che vive in condizioni simili a quella dei paesi più arretrati;
- i NIC, ossia i paesi di nuova industrializzazione, che sono riusciti ad avviare un notevole sviluppo industriale, partecipando intensamente al commercio internazionale;
- il Quarto mondo formato dai paesi che hanno raggiunto un grado di sviluppo minimo, il cui reddito pro-capite è il più basso esistente, e la cui struttura produttiva è molto debole; per questo sono anche detti PMA (paesi meno avanzati).
Viene dunque spontaneo a questo punto chiedersi le cause che hanno dato origine a questo divario che ha praticamente diviso in due il mondo, e per comprendere bene ciò che è avvenuto bisogna risalire a precise ragioni storiche: fattore determinante all'origine del sottosviluppo è stata la condizione coloniale a cui sono i paesi sono stati soggetti per lungo tempo. E' quindi inevitabile notare che lo stesso fattore che ha dato il via alla globalizzazione è stato anche la causa degli attuali squilibri.
Il problema principale è dato dal circolo vizioso che si è creato intorno al sottosviluppo e che non sembra presentare vie d'uscita, e in cui causa ed effetto si scambiano i ruoli: la crescita economica viene ostacolata dalle condizioni demografiche, sociali e sanitarie, il cui mancato miglioramento non consente all'economia di crescere.
In questo circolo vizioso il commercio internazionale gioca un ruolo determinante: con la mondializzazione degli scambi sono aumentate le interdipendenze tra gli Stati, e in questo quadro i paesi poveri entrano con scambi poco diversificati: esportano materie prime (prodotti di piantagione e/o risorse minerarie), che è la loro unica fonte della valuta pregiata di cui necessitano per acquistare le merci di cui non dispongono dai paesi sviluppati. Questo scambio risulta però negativo per i paesi arretrati che devono vendere elevate quantità di materie prime per reperire abbastanza valuta da impiegare nell'acquisto di quantità ridotte di manufatti. Per questo si parla della presenza di uno scambio ineguale, che accelera la crescita industriale dei PS, a discapito di quella dei PVS, costretti ad adattarsi alle condizioni imposte dai primi.
Questo commercio impedisce ai paesi poveri di accumulare capitale, obbligandoli a ricorrere ai prestiti politici esterni per potenziare le loro politiche di sviluppo. Inizialmente l'esubero di capitali del nord del mondo aveva agevolato questi investimenti verso il sud, elevando il livello del debito estero di questi ultimi a valori altissimi. In seguito però questa disponibilità finanziaria è venuta meno, contemporaneamente all'abbassamento dei prezzi delle materie prime. Come conseguenza immediata della congiuntura dei due fattori si ebbe l'aumento dei tassi di interesse e il parallelo aumento del valore delle somme da versare, derivato dal fatto che il loro pagamento assorbiva una quota sempre maggiore dei proventi ricavati dalle esportazioni. Si è così innescata una spirale che nel giro di pochi anni ha ingigantito il debito dei paesi del Terzo mondo e i relativi interessi.
I CREDITI DELLE BANCHE SUI MERCATI EMERGENTI
(in miliardi di dollari)
BANCHE |
ASIA |
AMERICA LATINA |
EUROPA |
Germania |
41,7 |
31,3 |
49,3 |
Francia |
38 |
21,1 |
6,4 |
Italia |
4,2 |
10,9 |
6,6 |
TOTALE EUROPA |
83,9 |
63,3 |
62,3 |
|
|||
Gran Bretagna |
26,4 |
16 |
1,8 |
|
|||
Stati Uniti |
34,2 |
66,5 |
9,3 |
|
|||
Giappone |
118,3 |
15,4 |
4 |
L'AUMENTO DEL DEBITO ESTERO DEI PVS
TRA IL 1970 E IL 1997
(espresso in miliardi di dollari)
IL CIRCOLO VIZIOSO DEL SOTTOSVIULUPPO
Un ulteriore fattore che mantiene i paesi interessati in questa situazione di sottosviluppo è dovuto anche alle barriere commerciali che i paesi sviluppati usano per ostacolare l'accesso al loro interno dei prodotti industriali provenienti dal Terzo mondo per difendere la produzione nazionale dalla concorrenza. Questi prodotti infatti hanno prezzi competitivi, in quanto si tratta di produzione specializzate sulle quali il costo della manodopera non incide in maniera consistente, permettendo di effettuare prezzi più bassi.
Sfavorevole al loro sviluppo è anche il fatto che sono molto pochi i capitali che vengono direttamente investiti in questi paesi arretrati, utili per organizzare localmente le attività produttive. Infatti, il rendimento degli investimenti è più alto nei paesi industrializzati, che possono vantare un ambiente più adatto alle attività d'impresa, mentre, le infrastrutture, la manodopera specializzata, la disponibilità di dirigenti competenti sono carenti nelle zone arretrate. Così i capitali necessari per avviare lo sviluppo, sono impiegati altrove; gli stessi abitanti ricchi dei paesi poveri non investono nel proprio paese , ma preferiscono inviare i propri capitali nei paesi industrializzati.
Alla fine della seconda guerra mondiale i paesi del Nord si sono convinti che i paesi arretrati non potevano farcela da soli a raggiungere un'accettabile livello di sviluppo. Così venne avviata a livello internazionale un politica di aiuti allo sviluppo e vennero istituiti alcuni organismi internazionali con il compito di organizzarla. Si pensava che concedendo ai PVS capitali gratuiti o a tasso di interesse agevolato, questi riuscissero a avviare il processo di sviluppo, e che dopo un certo periodo avrebbero raggiunto un'autonomia sufficiente a gestire da soli la loro crescita.
Purtroppo questo progetto è fallito, anche perché spesso i governi dei paesi destinatari dell'aiuto lo hanno gestito male.
Gli aiuti si sono dunque rilevati insufficienti per raggiungere il loro scopo: infatti non erano sufficienti nemmeno per coprire le somme che gli stessi paesi poveri dovevano versare ai paesi ricchi sotto forma di utili, rimborso dei debiti e pagamento dei loro interessi.
Si è concluso che se non vengono modificati alcuni meccanismi di mercato dell'economia capitalistica mondiale questi aiuti sono praticamente inutili.
Nel 1994 l'ONU ha adottato la "Dichiarazione e il Programma d'azione per l'instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale" e la "Carta dei diritti e doveri economici degli Stati", in cui venivano proclamati alcuni principi concreti, tra i quali:
- l'affermazione della piena sovranità dei PVS sulle proprie risorse e il conseguente diritto di controllare le società multinazionali che operano sul loro territorio;
- la possibilità per i paesi produttori di materie prime di associarsi per acquistare maggiore forza contrattuale negli scambi commerciali;
- la decisione di fissare regole internazionali per garantire Il giusto rapporto tra i prezzi;
- I PVS hanno diritto a un trattamento privilegiato nei prestiti, nelle tariffe e nell'accesso ai mercati.
Questa carta non ha però carattere vincolante, per cui l'applicazione concreta delle regole affermate è stata parziale e molto debole.
In questo campo è alto il conflitto di interessi tra i vari paesi, è quindi molto difficile trovare un accordo per riuscire a sanare questo divario.
LE MULTINAZIONALI
L'impresa multinazionali può definirsi come un insieme di mezzi di produzione dipendenti da un unico centro decisionale che controlla varie unità locali distribuite in una pluralità di paesi. In sostanza essa è una grande società, o un insieme di società, che possiede l'alta direzione in un determinato Stato e gli stabilimenti produttivi, invece, sparsi in varie parti del mondo.
Questa è però una definizione piuttosto generica, per cui si è preferito definire in modo più specifico il termine, facendo distinzione tra:
- Multinazionale: l'impresa che possiede all'estero almeno il 25% dei propri investimenti produttivi e dei propri dipendenti, realizzandovi un'aliquota analoga del fatturato complessivo;
- Internazionale: l'impresa che ha un orientamento generale di carattere essenzialmente nazionale, cioè opera soprattutto nell'ambito del paese al quale appartiene, ma è dotata di un'apposita sezione internazionale che gestisce lo sviluppo delle attività estere;
- Transnazionale: l'impresa che appartiene ad operatori di diversi paesi, ma possiede un centro unico non soggetto a vincoli da parte dei paesi cui appartengono i proprietari;
- Sovranazionale: l'imprese che, essendo presente in gran parte del mondo, nelle decisioni si sente vincolata solo da norme introdotte da appositi accordi internazionali.
Ciò che comunque caratterizza l'industria multinazionale è l'investimento diretto all'estero (ide), cioè il trasferimento di capitali per la costruzione di nuove fabbriche o per l'acquisizione di imprese già operanti.
Secondo quanto detto, non rientrano in questa categoria le imprese che esercitano all'estero attività di commercializzazione di beni prodotti nel proprio paese o che operano all'estero attraverso uffici e sedi di rappresentanza.
Si sono così create imprese gigantesche, dette imprese globali, le quali si differenziano dalle tradizionali multinazionali perché le loro attività non si limitano a poche affiliate che operano nello stesso settore produttivo, ma si estendono su tutti i continenti con una fitta rete di filiali e di società consociate che godono di una notevole libertà di azione e possono svolgere attività del tutto diverse da quelle della casa madre coprendo, così, un vasto ventaglio di settori produttivi.
Oggi, grazie al notevole sviluppo dell'informatica e delle telecomunicazioni, coordinare e gestire le diverse filiali, poste a notevole distanza le une dalle altre, è diventato abbastanza semplice e veloce, e può essere svolto in tempo reale.
Un'impresa decide di espandersi al di fuori del quadro nazionale per ricercare il massimo profitto possibile attraverso l'utilizzo di una serie di vantaggi conseguibili all'estero.
La maggior parte delle imprese multinazionali appartengono a USA, Europa occidentale e Giappone, ma sono in crescente aumento anche quelle di alcuni paesi in via di sviluppo, come Corea del Sud, Brasile, Hong Kong, Singapore, Taiwan e Cina, pur essendo queste ultime di dimensioni ridotte ed avendo un'estensione geografica ristretta.
Esempi di importanti società multinazionali sono la Fiat, la General Motors, la Peugeot, l'Ibm, la Philips, la Shell, la Nestlè, la Coca Cola, che appartengo ai settori di produzioni più diversificati.
In molti casi il loro giro d'affari complessivo supera il prodotto lordo di intere economie nazionali.
Si calcola che più della metà della produzione industriale del mondo sia ormai controllata dalle multinazionali e che le sole filiali estere delle società statunitensi detengano il 50% della liquidità monetaria mondiale a breve termine.
La struttura multinazionali di un'impresa ha diversi vantaggi: il controllo del mercato, l'utilizzazione della mano d'opera locale, quasi sempre a basso costo e poco sindacalizzata, la compilazione dei bilanci ai fini fiscali. La dispersione geografica e la molteplicità degli scambi coordinati fra gli stabilimenti dei diversi paesi, permettono infatti di fare apparire il profitto nel paese in cui la pressione fiscale è minore e di controllare le fluttuazioni monetarie giocando sull'accelerazione o sul ritardo dei pagamenti fra le varie filiali.
Queste grandi imprese guidano non solo il mercato economico ma anche l'organizzazione territoriale con la costruzione di infrastrutture di servizio finalizzate alle proprie esigenze. Capita che la pianificazione di un intero paese, soprattutto se arretrato, viene determinata dalla loro strategia di sviluppo.
Se ne può quindi dedurre che il loro peso politico è pari a quello economico: molte vicende politiche del mondo attuale sono spesso il risultato di manovre condotte dalle grandi multinazionali, in particolare da quelle petrolifere.
I giudizi formulati su questo tipo di imprese sono diversificati: c'è chi le approva e chi le contesta. Per alcuni le decisioni prese da esse possono subordinare ai propri interessi l'economia di vaste regioni e influenzare gli orientamenti dei governi nei paesi più deboli. Altri, invece, controbattono dicendo che senza la loro presenza le economie sottosviluppate non avrebbero avuto la possibilità di valorizzare le loro risorse naturali; le considerano in pratica il principale fattore di innovazioni tecnologiche e produttive in modo diretto (attraverso il trasferimento e l'introduzione di sistemi organizzativi e lavorativi che vanno a modificare l'ambiente economico del paese ospite) ed indiretto (le imprese locali tendono ad adattarsi imitando l'impresa estera e generando spesso attività concorrenziali e, a volte, addirittura formando multinazionali locali).
C'è però anche chi ritiene queste società come elementi di destabilizzazione sociale: se viene a mancare l'elemento territoriale favorevole all'installazione della filiale, questa viene semplicemente trasferita in un posto più idoneo, creando però disoccupazione nella sede lasciata.
Per poter continuamente assecondare le mutevoli esigenze del mercato le multinazionali hanno dovuto adottare sistemi organizzativi del lavoro molto flessibili, sia all'interno dell'azienda che tra le aziende, in modo da riuscire a passare rapidamente da un modello di bene ad un altro. La flessibilità interna è indubbiamente facilitata dall'applicazione delle tecnologie informatiche; invece per quanto riguarda quella tra le aziende è realizzata attraverso la esternalizzazione di alcune funzioni prima di competenza della grande impresa, si cerca ciò di affidare alcune fasi produttive ad altre aziende minori. In questo caso il prodotto finale è realizzato assemblando i diversi pezzi prodotti dai vari subfornitori (che producono quindi su commissione), e questo crea vantaggi per tutte le parti che collaborano.
Si è potuto capire che queste nuove forme di organizzazioni molto vantaggiose sono possibili soprattutto grazie allo sviluppo raggiunto in diversi settori: informatica, telematica, comunicazioni, trasporti.
IL MERCATO DEI SERVIZI DELLE MULTINAZIONALI EUROPEE
IMPRESE MULTINAZIONALI |
Mercato interno |
Mercato europeo |
FRANCESI |
69% |
15% |
TEDESCHE |
65% |
13% |
OLANDESI |
47% |
28% |
INGLESI |
62% |
10% |
RAPPORTO TRA IL MERCATO DEI SERVIZI EUROPEO E IL RESTO DEL MONDO
IMPRESE MULTINAZIONALI |
Mercato europeo |
Resto del mondo |
FRANCESI |
84% |
16% |
TEDESCHE |
78% |
22% |
OLANDESI |
75% |
25% |
INGLESI |
72% |
28% |
LE ESPORTAZIONI DALL'EUROPA DELL'OVEST VERSO L'EST
(espressi in quote %)
EUROPA DELL'EST |
GERMANIA |
ITALIA |
FRANCIA |
Repubblica Ceca |
63.2 |
9 |
7.9 |
Slovacchia |
59 |
17.8 |
6 |
Ungheria |
53.9 |
16.1 |
7 |
Polonia |
49.7 |
13.7 |
7.5 |
Romania |
39.4 |
27.7 |
12.9 |
Bulgaria |
32.7 |
15.4 |
7.3 |
TOTALE EUROPA |
52.7 |
14.5 |
7.9 |
LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
Numerose sono le organizzazioni che si occupano, a livello internazionale, di coordinare e gestire i rapporti tra i vari paesi a carattere economico, e quindi anche commerciale.
Vi sono poi altre organizzazioni, questa volta però a carattere regionale che si occupano di ambiti quali, per esempio, quello militare e quello culturale.
Sarebbe impossibile trattare di tutte queste organizzazioni, per cui ne vengono riportate solo alcune:
- WTO: (World Trade Organisation) è nata nel 1995 a conclusione dei negoziati dell'Uruguay Round (1986-1994). E' derivata da una mutazione del preesistente GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) che era nata nel 1948. Sede del WTO è il Centre William Rappard a Ginevra. Dal luglio del1998 la carica di direttore generale è affidata ad un neozelandese, Mike Moore. Preposto al controllo delle regole del commercio mondiale, il WTO è un'organizzazione inter-governamentale con più di cinquecento dipendenti. Il suo organo decisionale è la Conferenza ministeriale che si riunisce solitamente ogni due anni; il Consiglio generale si riunisce invece più frequentemente; attini sono poi i consigli operativi che si occupano di prodotti, servizi, beni culturali e proprietà intellettuali. i paesi membri sono attualmente 135, ma molti sono quelli che vorrebbero entrarvi.
- ONU: l'Organizzazione delle Nazioni Unite è nata dopo la seconda guerra mondiale con lo scopo di mantenere la pace nel mondo, attraverso interventi specifici per la tutela dei diritti umani, per la solidarietà e la cooperazione tra i popoli, per la salvaguardia dell'ambiente. L'adesione a questa organizzazione da parte degli Stati è libera: partiti da un numero di 49, oggi si è raggiunto i 181 Stati membri. Ha sede a New York nel cosiddetto "palazzo di vetro". L'ONU non ha alcun potere sugli Stati aderenti, può solo fare delle raccomandazioni. Il suo obbiettivo principale è quello di realizzare la pace nel mondo senza l'uso delle armi. E' costituito da un'Assemblea generale (formata dai rappresentanti di tutti gli Stati membri); un Consiglio di sicurezza (l'organo più importante a cui è affidato il potere decisionale; è formato da 15 membri di cui 5 permanenti (Cina, USA, Russia, gran Bretagna, Francia); e da un Segretario generale.
- UNIONE EUROPEA: nata dal Trattato di Maastrich (Olanda) firmato il 7 febbraio 1992, nel quale si è deciso di creare, tra gli Stati aderenti, una moneta unica e un Istituto monetario europeo, e inoltre la realizzazione della cittadinanza europea. E' sorta con lo scopo di realizzare un'integrazione economica tra i paesi membri, eliminando le barriere amministrative, doganali e fiscali che ostacolavano la libera circolazione delle merci, e di proteggere i paesi più deboli. Ad essa spetta il compito di occuparsi delle relazioni esterne per la difesa e la sicurezza comune. Dal 1995 sono 15 gli Stati che vi hanno aderito (Italia, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Germania, Lussemburgo, Danimarca, Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo, Austria, Finlandia, Svezia). E' costituita da più organi istituzionali ognuno con funzioni diverse a cui assolvere, ci sono: il Parlamento europeo, che principalmente controlla le attività dell'Unione; il Consiglio dei Ministri al quale spetta il potere legislativo; la Commissione europea (potere esecutivo); la Corte di giustizia, che controlla la legalità degli atti; ed infine il Consiglio europeo che stabilisce gli orientamenti della politica da adottare.
- UNESCO: è L'Organizzazione per l'educazione, la scienza e la cultura, istituita a Londra nel 1945, e che ha sede a Parigi. Essa favorisce e sviluppa tutte le attività educative, scientifiche e culturali. Promuove piani contro l'analfabetismo e programma le sviluppo scolastico, fornendo l'istrusione gratuita nei paesi dell'America Latina, dell'Asia e dell'Africa.
- UNICEF: Fondo internazionale di emergenza per l'infanzia; è un organismo dell'ONU per i problemi dell'infanzia e si propone di aiutare i bambini che soffrono la fame e la malattia nei paesi più poveri. E' presente in 128 paesi.
- OMS: Organizzazione mondiale della sanità, fondata nel 1948 a Ginevra e al quale aderiscono tutti i pesi del mondo, ed ha come fine l'innalzamento del livello di qualità della vita, per far si che l'uomo raggiunga un benessere non solo fisico, ma anche mentale, psichico e sociale, e per far ciò promuove numerose iniziative.
IL CASO SEATTLE
Il 30 novembre 1999 si è tenuto a Seattle il MILLENNIUM ROUND, il negoziato che si prefiggeva di sancire la liberalizzazione del commercio mondiale. Si avevano grandi aspettative da questa conferenza per migliorare il benessere globale.
In questa metropoli nell'estremo Nord degli Stati Uniti, non lontana dal Canada, dove si dimostrano i notevoli benefici apportati dal commercio globale, 134 Paesi si sono riuniti per mettere fuori corso le attuali barriere protezionistiche e dare il via libera all'era della globalizzazione dei mercati.
Questa conferenza è stata definita un vero e proprio momento storico, e, per tanto, aveva creato un clima di attesa e di tensione per le decisioni che sarebbero state prese.
Il WTO in quest'occasione forniva un forum dove negoziare accordi che rimuovano le barriere che impediscono il libero scambio di beni e di servizi, e dove risolvere le controversie commerciali prima che i paesi intraprendano azioni unilaterali che possono mettere a repentaglio il progresso economico globale.
Tra i protagonisti del vertice planetario c'erano l'Unione Europea, il Giappone, la Cina e gli USA, e per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo erano presenti il Brasile, l'Argentina, l'Australia e la grande fascia intercontinentale del sottosviluppo.
Tutti erano consapevoli che non sarebbe stato facile trovare un accordo fra tutti questi Stati, ma si sperava che qualcosa di risolutivo sarebbe stato approvato per cambiare le regole della produzione e della circolazione delle merci, anche se la possibilità di un fallimento non era esclusa.
Attualmente ci sono aree in cui il costo del lavoro è praticamente nullo rispetto a quello praticato in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone. Dal momento che questi dislivelli appaiono insanabili, occorre stabilire fino a che punto si possono rimescolare le economie del mondo, cioè se è meglio indirizzare gli investimenti futuri verso le economie più deboli, o se bisogna invece mettere sulla bilancia degli scambi nel nuovo ordine globale le inevitabili disparità.
Bisognava anche considerare il fatto che l'obbiettivo dei mercati senza frontiere, senza distinzioni tra Paesi ricchi e Paesi poveri potrebbe creare uno sconquasso non indifferente, che si ripercuoterebbe non solo sugli aspetti economici, ma anche su quelli etici, sociali, e istituzionali di ogni società.
Una delle prime conseguenze sicure era data dall'abolizione immediata per l'Unione europea dei sussidi agricoli che erano molto elevati, e questo per un'esplicita richiesta avanzata dagli Stati Uniti, ed osteggiata dalla Cee che non poteva lasciare gli agricoltori soli davanti al mercato globale. Bisogna infatti avanzare con cautela in proposito, anche perché proteggere l'agricoltura è un obbligo per la stabilità economica di molti paesi e per mantenere l'equilibrio idrogeologico del terreno.
In paesi come America e Giappone sono già in vigore regimi protezionistici simili a quelli europei, avvalorati dal fatto che la caratterizzazione e la tipicità dei prodotti hanno un ruolo determinante nei consumi. Molti cibi non si possono standardizzare e tutti quelli che sono particolari, esclusivi di una regione e con marchi prestigiosi, meritano un riconoscimento speciale, devono essere tutelati.
In questo incontro USA e Europa sono uno contro l'altra, anche la popolazione si è sentita partecipe ed ha organizzato manifestazioni di piazza di dimensioni notevoli, e non molto pacifiche, per esprimere la propria opinioni contro le attuali regole del commercio, a loro giudizio troppo favorevoli alle multinazionali e troppo poco attente ai diritti dell'ambiente e dei consumatori.
Numerosi erano gli slogan utilizzati per rendere noto il pensiero della folla, come per esempio: "commercio più giusto, non commercio più libero"; "I popoli vogliono scambiare i loro prodotti ma vogliono conservare le proprie anime" e ancora "la cultura non è una mercanzia".
Inizialmente si doveva trattare sono della liberalizzazione dei prodotti agricoli e dei servizi, ma si sono poi anche affrontati temi come la tutela dell'ambiente, i diritti umani, e la sicurezza alimentare.
I manifestanti che invadevano le piazze si erano dichiarati alleati europei, in quanto condividevano la necessità di preoccuparsi della società civile.
I motivi di scontro tra le due potenze sono da ricercarsi in opinioni diverse sulla gestione della politica economica mondiale Gli USA contestavano la posizione europea sull'agricoltura, chiusa alle importazioni americane, mettendo sotto accusa il sistema di aiuti che i paesi del vecchio continente riservano alle produzioni nazionali. Dal canto suo l'Europa bandisce i cibi "transgenici", cioè manipolati geneticamente prodotti dagli americani, e la loro carne ricavata da bestie alimentate con ormoni.
A loro difesa gli Stati Uniti affermano che le nuove agrotecnologie promettono, se saranno sicure, quei salti di produttività che devono sfamare i sei miliardi di abitanti del pianeta per i quali la fame oggi è più urgente delle angosce del domani. Appare però evidente che dietro la giusta ricerca di nuove coltivazioni più ricche e resistenti ai parassiti, si intravedono i profili dei grandi conglomerati americani dell'agribusiness, non certo associazioni di beneficenza.
Come spesso succede entrambe le parti avevano ragione da un lato e torto dall'altro: i rilievi americani avevano un fondamento se si pensa che in Europa si vuole in questo modo tenere in vita un'agricoltura ormai superata e finanziata dai contribuenti; ma è anche vero che gli USA fanno qualcosa di simile. L'Europa sembra usare le accuse rivolte agli americani solo per attaccare gli avversari, e non tanto perché veramente interessate a garantire la sicurezza dei prodotti.
Un altro motivo di confronto è la produzione culturale: gli europei non vogliono che gli americani esportino il loro modello tecnologico che li rende dominanti nel settore; ma anche qui l'Europa sembra non aver considerato il fatto che i suoi prodotti hanno conquistato in ugual modo il mercato USA.
In realtà l'Europa in questo meeting vuole cercare di frenare l'egemonia di un paese che è padrone dell'economia con la sua moneta (il dollaro) e le sue tecnologie, e della nuova cultura di massa con la sua lingua e i suoi modelli, e del mondo intero con la sua potenza militare, è intimorita dal monopolio che questa ha assunto Gli europei hanno il timore di veder sfumare le diversità europee, a profitto di una cultura dominante americana che condurrebbe al famoso modello unico.
Nel commercio mondiale l'Europa pone dei limiti all'America, la quale dal canto suo, vuole accelerare tutto il sistema.
Gli americani accusano gli europei di essere, con i loro sistemi protezionistici, la causa dell'arretratezza degli Stati appartenenti.
Anche la Chiesa aveva preso al riguardo una posizione, dichiarando fondamentale che le politiche internazionali sul commercio vengano decise ascoltando l'opinione della società civile. Esprime quindi il proprio appoggio alle organizzazioni non governative, che avevano diritto ad una maggiore partecipazione e influenza alle decisioni prese dal WTO. La Chiesa ha riconosciuto l'utilità di un organismo multilaterale che elabori regole per il commercio internazionale.
I PUNTI DEL NEGOZIATO
ARGOMENTO |
CONTENDENTI |
MOTIVO DELLO SCONTRO |
SOLUZIONE PROBABILE |
AGRICOLTURA |
Europa e Giappone |
Gli agricoltori europei e giapponesi sono, secondo gli americani, iperprotetti dai sussidi. USA e Terzo M. vogliono l'accesso a quei mercati. E. e G. si oppongono agli USA per i cibi geneticamente modificati |
Forse i sussidi diminuiranno, ma lo scontro sui cibi geneticamente modificati crescerà |
LAVORO |
USA e UE |
Il basso costo del lavoro nel Terzo Mondo, che minaccia l'occupazione in USA e Europa |
Non bisogna aspettarsi troppi progressi in questo campo |
AMBIENTE |
USA e UE |
Gli USA e l'Europa vogliono rafforzare gli accordi sulle questioni ambientali, ma senza sfidare il WTO |
Qualche progresso potrebbe arrivare su questioni meno controverse, come il sussidio alla pesca |
SERVIZI |
USA |
Gli USA vogliono chiudere le porte a diversi settori chiave, come banche, salute, educazione, assicurazioni, telecomunicazioni |
I membri del WTO sono d'accordo nel negoziare altri servizi, ma si profila un braccio di ferro con gli USA |
TARIFFE |
USA |
Leggi USA impediscono ad altri paesi di abbassare i costi di alcuni prodotti, acciaio, semiconduttori, tessile, sul mercato americano. I paesi del Terzo Mondo dicono che le leggi sono protezionistiche e che gli USA dovrebbero importare di più |
Con le elezioni alle porte gli USA non concederanno molto |
Purtroppo la conferenza è stata un vero insuccesso e pochi sono stati gli accordi raggiunti fra gli Stati, a causa soprattutto del fatto che tutti volevano ottenere qualcosa, ma nessuno era disposto a perdere le proprie posizioni.
Le uniche decisioni prese, oltre a quelle riguardanti l'ammissione di Cina e Giordania nel WTO, hanno riguardato il commercio elettronico (e-commerce): gli USA volevano una maggior liberalizzazione per il settore (esentandolo dalle tasse), mentre l'UE era favorevole ad un crescente protezionismo; alla fine si è giunti a un accordo che prevede un periodo di esenzione da imposte e dazi per un periodo tra i 18 e i 24 mesi.
Per quanto riguarda invece altri punti si è preferito decidere per un rinvio ad una prossima conferenza in data da stabilirsi, in cui si svolgerà la seconda parte del negoziato. Argomenti come l'ambiente e la tutela dei diritti dei lavoratori sono addirittura stati rinviati al 2001.
Nessuno è apparso particolarmente stupito per il fallimento del meeting , come se questa fosse la conclusione più probabile visto le debolezze del WTO. Molti hanno fatto risalire le responsabilità dell'insuccesso proprio a quest'organizzazione, definendola uno strumento inadeguato allo scopo che essa si prefigge.
Quindi tutto è rinviato e per adesso niente è cambiato nel commercio internazionale, e Seattle verrà ricordato più per le violenti manifestazioni che vi sono state, che non per l'importanza delle decisioni che vi sono state prese.
CONCLUSIONE
L'integrazione in un unico "sistema-mondo" si sta realizzando mentre rimangono però forti divari nei livelli di sviluppo fra aree diverse, che fanno temere l'insorgere di pericolose tensioni fra le parti. Infatti se da un lato la globalizzazione avvicina i popoli, moltiplica e intensifica le relazioni affievolendo le tentazioni etnocentriche, dall'altro crea insicurezze che sembrano minacciare le identità locali e quindi può portare all'intolleranza e alla mortificazione di alcune culture, considerate più deboli.
BIBLIOGRAFIA
- Autori: DO. GE.
Titolo: "GEOGRAFIA dei grandi sistemi extraeuropei"
Casa ed.: Markes
- Autori: Manlio Dinucci
Titoli: "Il sistema globale"
Casa ed.: Zanichelli
- Autori: A. Martignano - R. Mistroni
Titoli: "Manuale per la formazione del cittadino"
Casa ed.: Elemond Scuola e Azienda
- Autori: Gianluigi Della Valentina
Titoli: "Terra ed economia del tempo"
Casa ed.: Markes
- Autori: Manlio Dinucci
Titoli: "il Sistema Globale"
Casa ed.: Zanichelli
Fonte: estratto - citazione per uso di critica - didattico http://zappageografia.altervista.org/Tesine%20cartacee/Tesina%20Bertorelli.doc
Sito web: http://zappageografia.altervista.org/
Autore del testo: Bertorelli
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