Il decameron Boccaccio riassunto
Il decameron Boccaccio riassunto
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Il decameron Boccaccio riassunto
Giovanni Boccaccio, Il decameron
Il Decameron fu composto da Boccaccio tra il 1349 e il 1351, gli anni centrali della sua vita e gli anni della maturità artistica, a Firenze, sua città d'origine.
L'opera, il cui titolo deriva dal greco e significa "dieci giorni", è una raccolta di cento novelle, raccontate in dieci giornate, appunto, tutte inquadrate in una complessa cornice narrativa. L'autore si immagina che durante la peste del 1348 si incontrino nella chiesa di Santa Maria Novella sette giovani donne e tre giovani i quali, per sfuggire ai rischi di contagio della terribile pestilenza oltre che all'atmosfera di morte che regna a Firenze, decidano di trovare rifugio in una villa in campagna. Qui trascorrono due settimane tra canti, balli e racconti: infatti per meglio far trascorrere il tempo a disposizione i dieci decidono di raccontare delle novelle, dieci ogni giorno (tranne il venerdì e il sabato, per riguardo alla religione), una ciascuno. Ogni giorno viene eletto una regina o un re che sceglie il tema al quale bisognerà attenersi nei racconti, da questo vincolo sono escluse la prima e la nona giornata che sono a tema libero e l'ultima novella di ogni giornata sempre raccontata da uno dei tre giovani, Dioneo, il quale ha la facoltà di scegliere l'argomento che preferisce. Le giornate si concludono con il canto di una ballata. I temi scelti riguardano nella seconda e nella terza giornata i casi della fortuna; nella quarta e la quinta avventure amorose con lieto fine oppure dall'esito infelice; poi si passa a «motti» e beffe attraverso i quali si esprime l'ingegno umano fino all'ultima giornata dedicata a celebrare la «cortesia», suprema virtù cavalleresca valida per il Boccaccio anche nella nuova realtà mercantile, subentrata alle corti medievali, che le novelle nel loro complesso illustrano.
La presenza di questo tipo di cornice che ingloba le cento novelle dà vita ad una notevole complessità strutturale: innanzitutto la presenza di due distinti livelli di narrazione: da un lato il narratore della cornice, autore del Proemio, del prologo alla prima giornata con la descrizione della peste, dell'incontro dei giovani, delle rubriche (il riassunto posto all'inizio di ogni novella), dell'introduzione alla quarta giornata dove si difende dalle accuse di licenziosità, e dell'epilogo. All'interno della cornice si collocano poi i dieci giovani ai quali è delegato il compito di raccontare le novelle. Dei dieci novellatori solo alcuni spiccano per tratti individuali ben marcati, per lo più sono figure di maniera la cui importanza sta proprio nella loro omogeneità: esso rappresentano il pubblico ideale al quale si rivolgono le novelle del Boccaccio: un pubblico colto, raffinato, ricco, signorile, capace di «ridere e divertirsi dei mille casi della vita, incapaci di andare al di là dei limiti che fissano la decenza e il pudore». Una brigata di giovani che rappresenta idealmente le linee di comportamento e i gusti della nuova aristocrazia mercantile emersa durante l'età comunale.
Il tratto saliente del Decameron è senz'altro la varietà tematica: il gran numero di situazioni diverse, di personaggi appartenenti a tutte le classi sociali, di ambientazioni geografiche. Boccaccio descrive una realtà a tutto tondo, non trascurando nessun aspetto della vita, ma anzi includendo in un'opera letteraria temi che precedentemente erano stati considerati materia non poetabile. Questa registrazione della realtà "in presa diretta" è il vero filo conduttore dell'opera: un'osservazione empirica della realtà, atteggiamento inedito per i tempi, alla quale non è associata nessuna preoccupazione morale. Non c'è la volontà di dimostrare una tesi o di edificare il lettore, ma soltanto il desiderio di rendere sulla pagina scritta il più fedelmente possibile tutti gli aspetti della vita reale, una vita che si caratterizza come una serie ininterrotta di cambiamenti, di imprevisti dettati dalla buona o dalla cattiva "fortuna" cui però è possibile dare un indirizzo a sé favorevole grazie all'ingegno e alla prontezza di spirito frutto non solo di capacità personali, ma anche risultato acquisito grazie all'esperienza accumulata nei vari casi della vita.
Poiché pur nella varietà della materia trattata è possibile individuare dei temi ricorrenti, non solo in base agli argomenti scelti via via dai vari re e regine delle giornate, nelle novelle: prima di tutto l'amore, anche qui però inteso nella più ampia casistica possibile e quindi sia l'amore come nobile sentimento sia il puro desiderio fisico (va notato come il Boccaccio superi anche le discriminazioni di classe della tradizione letteraria a lui precedente descrivendo autentici amori cortesi, prima privilegio esclusivo di dame e cavalieri, con come protagonisti semplici filatori di lana [novella IV, 7] ); poi l'intelligenza, cioè la capacità di valutare una situazione e di adottare di conseguenza il comportamento più utile ai propri scopi e anche qui poco contano le differenze sociali (da Cisti fornaio [VI, 2] al poeta Guido Cavalcanti [VI, 9] ), ma va sottolineato invece il valore assegnato a quelle qualità indispensabili per emergere in una società come quella mercantile contemporanea al Boccaccio; il proprio ingegno comunque da solo non basta a schivare i colpi della fortuna, altro elemento fondamentale nell'economia narrativa del Boccaccio, una forza incontrollabile che attraverso avvenimenti casuali può mettere in moto una serie di conseguenze. Nel contrastare questa casualità si dispiega al meglio l'intelletto umano.
Va anche notato come questa concezione della realtà come continua lotta di forze tra loro in opposizione e di continui cambiamenti di situazione generi novelle dalle vicende complesse e dal ritmo incalzante, il che naturalmente contribuisce non poco alla riuscita dei racconti. Ogni aspetto per così dire "ideologico" o tematico dell'opera trova un immediato rispecchiamento a livello stilistico: per rendere in modo veritiero la realtà a lui contemporanea e la miriade di personaggi che popolano le sue novelle Boccaccio abbraccia un'infinità di stili e di linguaggi, una molteplicità che è un altro dei punti di forza del Decameron.
La ricchezza e la varietà sia tematica che stilistica di questa raccolta di novelle ne hanno fatto quasi un unicum nella storia letteraria occidentale che ha avuto un'influenza enorme sia nel panorama italiano che estero dove non sono mancati i tentativi più o meno riusciti di imitazione e che merita ancora oggi tutta la nostra attenzione e curiosità di lettori.
Fonte: http://www.myskarlet.altervista.org/Scuola/Giovanni%20Boccaccio.doc
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“Decameron” di Giovani Boccaccio (1313-1375)
Proemio
Nel proemio c’è la dedica del Decameron ad un pubblico particolare: le donne che amano e che hanno tempo libero. Questo pubblico però è una metafora di un pubblico moralmente colto e nobile, infatti l’amore nobilita l’animo e lo rende tale da poter comprendere i contenuti trattati.
Ser Ciappelletto
Musciatto Franzesi, un ricco uomo fiorentino, decise di ingaggiare ser Cepparello, un cinico notaio, come usuraio a riscuotere delle tasse a dei debitori. La fama di ser Ciappelletto, com’era soprannominato dai Francesi, era pessima: egli non avrebbe pensato due volte di uccidere o minacciare qualcuno, eppure la faceva sempre alla corte. Andatosene in Borgogna dove nessuno lo conosceva, alloggiò nella casa di due fratelli usurai dove, per sfortuna, si ammalò. I fratelli in pensiero per la loro condizione e immagine, erano indecisi sul lasciarlo per strada o sul curarlo; tuttavia avendo sentito, ser Ciappelletto disse loro di non preoccuparsi e di chiamare subito un santo frate. Venuto quest’uomo, il moribondo chiese una confessione generale dei peccati di tutta la sua vita, ovviamente era una falsa e improvvisata. Fingendo su tutto, capovolgendo la frase a suo favore e facendosi credere un fedele cristiano, riuscì ad ottenere l’estrema unzione e, il vero obiettivo, ad apparire come un sant’uomo senza peccato. Il frate, una volta morto ser Ciappelletto, decise di farlo seppellire addirittura nel convento e, nella celebrazione del funerale, ne esaltò le doti e venne addirittura baciato e ritenuto santo. Si ritiene che ancora tutt’oggi che chi gli si raccomanda ottiene dei miracoli.
Landolfo Rufolo - Tema: (s)fortuna
Landolfo Rufolo era un uomo molto ricco che, per raddoppiare il suo patrimonio, decise di comprare tutto quello che poteva e di venderlo a Cipri.
Purtroppo trovò la concorrenza e, oltre ad abbassare i prezzi, dovette gettare molta merce in mare; allora decise di darsi alla pirateria e così, con un sacco di ruberie, riuscì a raddoppiare il suo patrimonio. Timoroso di poter perdere tutto, decise di tornarsene a casa, ma, colto da una tempesta, si fermò in un golfo di un’isoletta dove vene attaccato, derubato e fatto schiavo da dei Genovesi. Colti anch’essi da una tempesta naufragarono e Landolfo riuscì a rimanere attaccato prima ad una trave galleggiante e poi ad una cassa che lo aveva disarcionato dalla prima trave; vagante per il mare, venne avvistato da una signora che lo accolse e lo curò. Una volta guarito, si ricordò della cassa e vi trovò tanti gioielli da raddoppiare il suo patrimonio iniziale, tornò così a casa e ringraziò con un dono la gentile signora.
Andreuccio da Perugia - Tema: (s)fortuna contrastata dalla virtù umana (malizia)
Andreuccio si recò a Napoli con 500 fiorini d’oro per dei cavalli, qui incontrò una vecchia signora che conosceva la sua famiglia e anche una “ciciliana” che però aveva adocchiato solamente i suoi soldi. La prostituta siciliana, avendo chiesto alla vecchietta delle informazioni riguardanti Andreuccio, accolse questi in casa sua e si finse sua sorella, riuscendo così a farlo pernottare da lei. Con astuzia però riuscì a prendergli i soldi e di mandarlo fuori casa. Vagante e disperato Andreuccio trovò due briganti che volevano spogliare la tomba di un vescovo che se lo portarono con loro; dopo essere caduto in un pozzo, arrivò con i briganti alla tomba in cui c’erano molti tesori tra cui un anello dal valore di 500 fiorini. Fatto entrare nel sarcofago pensò bene di tenersi l’anello e, una volta gettati fuori gli ori e i gioielli, avendo assodato che non c’era più niente, venne chiuso all’interno e lasciato lì. Fortunatamente un altro gruppo di ladri stava tentando lo stesso colpo e avendoli spaventati fingendo di essere il morto e avendoli fatto lasciare aperta la lastra, riuscì ad uscire. Se ne tornò così a casa non più ricco, non con i cavalli, me sicuramente più cresciuto e con esperienza.
Tancredi e Ghismunda - Tema: amore fedele fino alla morte
Tancredi era il principe di Salerno ed era molto affezionato a sua figlia Ghismunda tanto da non volerla neppure maritare; tuttavia ella si era innamorata di un ragazzo di umile origine e valletto del padre: Guiscardo, essi si vedevano spesso di nascosto e il loro amore era grande. Venutolo a sapere il padre lo fece uccidere e diede il suo cuore ala figlia, la quale, disperata, lo baciò e lo cosparse di lacrime, lo mise in una coppa contenente un infuso velenoso fattoselo preparare in precedenza, bevve il contenuto e morì.
Lisabetta da Messina - Tema: amore
Lisabetta era la sorella di tre giovani mercanti di Messina, rimasti tutti senza padre ma con una buona eredità; ella era innamorata di un operaio tuttofare in casa loro, Lorenzo, con cui si vedeva spesso di nascosto. Venutolo a sapere i fratelli, temendo che s’infamasse il loro nome, lo portarono in un luogo isolato e lo uccisero senza dir niente alla sorella. I fratelli le raccontarono che lo ebbero mandato via per sbrigare delle faccende, ma, non vedendolo più tornare, chiese ripetutamente dove fosse senza ottenere però alcuna risposta e addirittura rischiando che venisse scoperto il loro rapporto. Apparsole in sogno, Lorenzo disse a Lisabetta dov’era sotterrato, così con una scusa andò a cercarlo e, trovatolo, se ne prese la testa e la sotterrò in un vaso in casa. Vedendola sempre piangere su quella pianta di basilico, i fratelli gliela tolsero di nascosto; allora Lisabetta, poiché essi non volevano dirle dove fosse il vaso, si ammalò e morì. I fratelli, avendo scoperto la testa e temendo che si sapesse in giro dell’omicidio, se ne andarono a Napoli.
Nastagio degli Onesti - Tema: amore
Nastagio amava la figlia dei Traversari, una potente famiglia, tanto che spese tutte le sue ricchezze in banchetti e regali senza venir ricambiato. Se ne andò allora dai suoi a Chiassi e in un bosco vide un cavaliere che inseguiva una fanciulla nuda con dei cani, che la amò in vita, ma che non fu ricambiato; questa visione si ripeté ogni venerdì e così decise di invitare ad in banchetto i suoi parenti e anche la donna amata per far vedere loro la scena. Tutto si svolse come previsto e l’amata, temendo che ciò potesse capitare a lei, decise di amare Nastagio e di sposarsi.
Federigo degli Alberighi - Tema: amore
Federigo amava senza essere ricambiato una nobildonna, Giovanna, per la quale, spendendo tutte le sue ricchezze per lei, rimase povero possedendo solo un falcone e una casetta in campagna in cui si ritirò. Al figlio di Giovanna piaceva molto il falcone di Federigo e così, una volta che si ammalò, quella era l’unica cosa che avrebbe desiderato di più. Giovanna volendo rispettare la volontà del figlio si recò da Federigo per chiederglielo, ma quegli, volendo che l’amata si fermasse a pranzo pur non avendo più niente, decise di cucinarle proprio l’unica cosa più cara che avesse: il falcone. Essendo venuto a sapere il motivo della sua visita, si mise a piangere perché non era riuscito ad accontentarla. La donna toccata dal gesto, se ne andò e poco dopo il figlio morì; i suoi fratelli allora la spinsero a risposarsi e, sentendosi costretta, scelse Federigo, l’unico uomo che le ha voluto veramente bene.
Madonna Oretta - Tema: bel parlare.
Un cavaliere durante una passeggiata a cavallo tra amici, chiese a madonna Oretta di allietarla con una novella a cavallo. Egli essendo cavaliere, non portava meglio la spada di quanto sapesse raccontare le novelle, infatti si bloccava, riniziava a raccontare, tornava indietro, insomma non era capace. Ella con un motto disse che il trotto del suo cavallo era troppo duro e che avrebbe preferito proseguire a piedi; il cavaliere capì e la depose
Cisti fornaio - Tema: virtù borghesi e cortesi, bel parlare.
Cisti era un fornaio di Firenze che aveva fatto fortuna col suo lavoro, ma la natura lo aveva dotato di animo nobile capace di rispettare le regole cortesi e le differenze sociali, possedendo però l’arguzia e l’intelletto di raggiungere i suoi scopi; la raffinatezza si rispecchia nell’abbigliamento e negli oggetti usati. Cisti possedeva un forno in una via fiorentina dove passavano spesso degli ambasciatori di pace accompagnati dal banchiere Geri Spina; possedendo i migliori vini di Firenze, Cisti decise di offrirne loro, tuttavia secondo le regole della borghesia offrire qualcosa a qualcuno di un rango superiore sarebbe stato ritenuto sconveniente. Argutamente però trovò il modo che fosse lo stesso Geri ad invitarsi attraendolo col suo sorseggiare il fresco vino in una calda giornata d’estate in splendidi bicchieri d’argento e ciò avvenne. Per festeggiare il termine dell’ambasciata Geri diede un convito in cui volle offrire il pregiato vino di Cisti e mandò così un servo con un fiasco dal fornaio. Volendone assaggiare un po’, il servo prese un fiasco più grande; Cisti, conoscendo Geri e le norme della buona cortesia, per due volte si rifiutò di riempire quel fiasco, a sua volta Geri, dalle parole riferitegli dal servo, intuì lo scambio dei fiaschi e così riuscì ad ottenere il vino. Cisti, molto liberalmente gli offrì tutto il vino e nacque così una grande amicizia.
Chicchibìo cuoco - Tema: bel parlare
Chicchibìo, il cuoco di Currado Gianfigliazzi, mentre stava cucinando una gru catturata dal falcone di Currado, vide arrivare in cucina una ragazza, Brunetta, della quale era innamorato; ella gli chiese se potesse avere da mangiare una coscia della gru e, ammaliato, Chicchibìo cedette. Quando la gru fu servita, Currado chiese a Chicchibìo dove fosse l’altra coscia e questi prontamente rispose che le gru ne hanno una sola e ciò gliel’avrebbe fatto vedere il giorno successivo; Currado, che aveva ospiti a cena, disse solo che se non fosse stato vero l’avrebbe ucciso. L’indomani partirono alla ricerca di gru e, trovatone un gruppo di dodici gru che stavano su una zampa sola, Chicchibìo prestamente disse che aveva avuto ragione la sera precedente; allora Currado gridò e le gru, posate entrambe le zampe a terra, volarono via. Sbigottito Chicchibìo improvvisò dicendo che la sera precedente il signore non aveva gridato e così la gru sul piatto non aveva posato l’altra zampa; questa risposta piacque molto a Currado e Chicchibìo fu assolto da ogni colpa.
Frate Cipolla - Tema: bel parlare
A Certaldo, frate Cipolla, appartenente all’ordine degli antoniani, era solito andare per raccogliere le offerte del popolo; tuttavia questo frate del pelo rosso, era molto furbo e amante della bella vita e cercava così di speculare sulle offerte a discapito della gente ignorante. Frate cipolla dunque promise che alla festa di sant'Antonio avrebbe fatto vedere la penna dell’arcangelo Gabriele persa durante l’Annunciazione a cui si sarebbero dovute fare molte offerte; avendo sentito ciò, due furbi giovani, Giovanni del Bragoniera e Biagio Pizzini, decisero di sottrargliela con un astuto piano: mentre il servo Guccio del frate era intento a parlare con una donna molto poco attraente, scambiarono in contenuto della cassetta. Dopo la sua predica, frate Cipolla prese la cassetta e si accorse che dentro non c’era più una piuma, bensì dei carboni e, imperterrito, continuò improvvisando raccontando il viaggio dove ottenne la reliquia. Alla fine del racconto disse che aveva due reliquie con sé: la penna e i carboni del fuoco in cui era stato bruciato san Tommaso, che però erano contenuti entrambi in due cassette molto simili e così si è sbagliato, avendo scambiato le due cassette. Tuttavia disse che ciò era un miracolo perché significava che Dio volesse ricordar loro la festa di san Tommaso che sarebbe stata due giorni dopo. Con questo espediente riuscì ad ottenere più offerte che mai.
Calandrino e l’elitropia - Tema: le virtù sono distribuite non in base alla classe sociale, ma per i proprie capacità.
Calandrino era un pittore fiorentino molto amico di Bruno e Buffalmacco, uomo di semplici costumi. Un giorno un astuto uomo, Maso del Saggio, decise di tendergli una beffa: prima gli fece credere che c’era una città piena di cibo gratis e ovunque e poi che c’era un posto dove c’erano delle pietre (elitropie) che ti avrebbero fatto diventare invisibile. Avendoci creduto, Calandrino volle rendere partecipi della sua “fortuna” anche i suoi amici, i quali però lo canzonarono solo facendogli credere che tutto fosse vero: infatti andati sul fiume Mugnone e avendo raccolto un sacco di pietre, gli fecero credere di essere diventato invisibile semplicemente chiedendosi tra loro dove fosse finito. Calandrino convinto di essere invisibile se ne tornò a casa dove c’era la moglie che lo aspettava, ella infatti lo rimproverò per il ritardo ed egli, credendo che quella diabolica donna avesse il potere di togliere le proprietà alla sua pietra, la picchiò duramente. Tornati i due amici ridendo continuarono nel loro scherzo e acconsentivano tutto quello che Calandrino diceva.
Griselda - Tema: Amore e sottomissione
A Gualtieri, marchese di Sanluzzo, non essendo ancora sposato, venne obbligato dai suoi familiari di prendere moglie, cosa che si conveniva ad un uomo ricco e potente; così egli scelse una donna plebea, Griselda, una ragazza molto bella che, dopo l’approvazione del padre, sposò. Tuttavia, Gualtieri decise di mettere alla prova la sua pazienza con diverse prove: finse di aver ucciso la loro primogenita figlia e il secondogenito maschio, che invece vennero mandati a Bologna da dei parenti per essere educati; poi decise di voler cambiar moglie e, dopo aver ottenuto una finta dispensa papale, organizzò le nozze. Griselda sopportò tutto paziente e mesta, mentre Gualtieri piangeva tra sé e sé per il dispiacere che stava arrecando alla sua amata. La finta sposa era proprio sua figlia che, seppur anch’essa inconsapevole di ciò, venne al palazzo per le nozze; qui era stato chiesto a Griselda da fungere da governante per la sua esperienza nei tredici anni di matrimonio; anche a questa prova acconsentì. Nel bel mezzo delle nozze Gualtieri svela tutto e proclama il suo amore grande per Griselda e, abbracciati i figli, vissero felicemente la loro vita.
Conclusione dell’autore - Nella conclusione Boccaccio ne approfitta per rispondere a delle accuse avanzategli sull’opera:
- La prima accusa è quella di licenziosità:
- La materia trattata è di carattere erotico e a quel tempo si trovava opposizione in queste materie, l’autore risponde di aver trattato ciò con termini “onesti” senza aver offeso nessuno.
- La forma usata è richiesta dalla qualità delle novelle, altrimenti sarebbero state sminuite.
- Le espressioni più libere sono metafore quotidiane.
- I luoghi in cui vengono lette queste novelle non sono le chiese o le scuole filosofiche, bensì in luoghi di sollazzo, di piacere, in giardini.
- La dannosità delle novelle dipende solo dall’ascoltatore cosiccome i vantaggi che si possono trarre; l’opera non è né morale né immorale, siamo noi che lo stabiliamo al momento della fruizione, della forma in cui è scritta.
- La seconda accusa è quella della bellezza:
- Non tutte le novelle possono essere belle, ce ne sono anche di brutte, e comunque siamo noi che lo stabiliamo.
- La terza accusa è quella della lunghezza:
- Le novelle sono dedicate ad un pubblico che dispone di tutto il tempo che vuole per riempire l’ozio.
- La gente acculturata parla in modo più disteso nei discorsi rispetto a coloro che non hanno studiato.
- La quarta accusa è quella in cui si dice che l’opera è piena di motti e ciance:
- Anche se sconvenevoli ad un uomo come lui, si ricorda la finalità delle opere, quella del divertimento.
- L’accusa dovrebbe andare invece alle prediche dei frati che dovrebbero essere serie e non piene di spiritosaggini.
- La quinta e ultima accusa è quella di aver detto il “ver dei frati”:
- Finge di lodare le imprese dei frati, invece ribadisce i loro vizi (avidità, lussurias)
Fonte: http://cescoscap.altervista.org/files/Decameron-riassunto.doc
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Decameron - Lisabetta da Messina (riassunto)
Questa novella narrata da Filomena sotto il reggimento di Filostrato ha come tema dominante l'amore senza esito felice. Vivevano a Messina tre fratelli mercanti assai ricchi poiché avevano ereditato tutte le fortune del padre. Hanno anche una sorella, Lisabetta ,che nonostante la sua bellezza e il suo fascino non è ancora marita. Per i tre fratelli lavorava un ragazzo,Lorenzo,bello e aggraziato. Lorenzo e Lisabetta si innamorano,ma una notte mentre la ragazza entra furtivamente nella camera del ragazzo uno dei fratelli di lei si scopre. La mattina racconta la scoperta agli altri due fratelli e insieme decidono per mantenere alto l’onore della famiglia di far finta di niente e di agire quando se ne presenterà l’occasione. Questa si verifica quando i ragazzi dovendo uscire dalla città portano con loro Lorenzo e arrivati in un luogo isolato lo uccidono e lo seppelliscono:lisabetta preoccupata per l’assenza dell’ amante chiede ai due fratelli dove egli sia e questi gli rispondono che era in viaggio per una loro commissione:La ragazza piange in continuazione per il suo amore e una sera dopo essersi addormentata gli appare in sogno il giovane,pallido,con i capelli arruffati e i vestiti in brandelli,dicendo a Lisabetta di essere stato ucciso dai suoi fratelli e rivagliandoli il posto della propria sepoltura. Alla mattina Lisabetta raccontando di andare con una amica esce di città e si reca al luogo mostratele in sogno. Visto una zona in cui la terra era meno dura inizia a scavare riportando alla luce il cadavere dell’amato. Senza piangere stacca con un coltello la testa dal corpo e nascondendola la porta con se a casa e la mette tra la terra in un vaso di basilico. Questo per la concimazione dovuta alla testa in putrefazione e l’acqua provenente dalle lacrime della fanciulla cresce rigoglioso. I tre fratelli venendo a sapere da vicini che Lisabetta passa intere giornate curando il basilico consumando la propria bellezza,glielo sottraggono di nascosto. La povera Lisabetta per la disperazione si ammala,i fratelli vedendo che Lisabetta continuavano a chiedere il vaso,incuriositi lo svuotano per vederne il contenuto. Riconosciuto il capo di Lorenzo putrefatto,i fratelli traslocano da Messina a Napoli per tenere nascosto il loro reato. Dopo breve Lisabetta senza nemmeno più la sua reliquia da poter piangere muore.
LA PROTAGONISTA
Lisabetta rappresenta l’amore irregolare e segreto,contrasto dall’istituzione familiare,che va incontro ad una sorte tragica,ma resta saldo fino alla morte. La protagonista di fronte al suo amore non compie gesti eroici di rivolta:la sua risposta all’oppressione familiare è quella dell’accettazione silenziosa e delle lacrime,attraverso le quali ella dimostra la sua fedeltà incrollabile all’amato.si può notare che la protagonista non prende mai la parola,,questo silenzio è usato da Boccaccia per indicare la sua soggezione,la sua condizione di vittima .Alla fine per il dolore causatogli dall’ultimo prepotente gesto dei fratelli-padroni,ella muore.
COMMENTO
La novella ricalca la struttura di Ghismunda. Le differenze sono evidenti. 1)l’ambiente in Lisabetta è modesto borghese mercantile,mentre l’altro è elevato aristocratico e elevato. 2) il carattere, Ghismunda e più libertina rispetto a Lisabetta,infatti la prima sceglie la morte volontariamente,nell’altra invece è una diretta conseguenza.
Nella novella si trovano due mentalità,i fratelli che badano al nome della famiglia che in questo modo potrebbe essere danneggiato,Lisabetta e guidata dalla forza irresistibile dell’amore. Queste due logiche contrastanti tra loro non potranno mai raggiungere un accordo,questo è lo scontro principale del racconto. Il “Messaggio” del Boccaccio è la necessita di un’apertura laica della morale familiare e sociale,che attenui la forza repressiva dei codici dominanti sulle forze spontanee e irrefrenabili della natura. In altre parole una morale più libera quanto riguarda sia i rapporti tra i sessi,sia i rapporti tra ceti sociali.
Fonte: http://utenti.multimania.it/adry9986/Lisabetta%20da%20Messina%202.doc
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Riassunto “Chichibio e la gru”, (Decameron, Giovanni Boccaccio)
Currado Gianfigliazzi, avendo ucciso una gru a Peretola, la mandò a un suo bravo cuoco veneziano, di nome Chichibio, il quale la cominciò a cuocerla bene bene. Dalla cottura veniva un buon odore, e successe che una ragazza del paese, chiamata Fiammetta e della quale Chichibio era molto innamorato, entrò nella cucina e pregò il cuoco di darle una coscia della gru ma Chichibio non lo fece. Allora la donna gli disse che se non l’avesse fatto, lui non avrebbe avuto da lei nessuna cosa che desiderava. Alla fine Chichibio le diede una coscia dopo averla staccata dalla gru.
Il cuoco, messa la gru senza coscia sul tavolo di Currado e di alcuni suoi ospiti, fu chiamato dal padrone, che gli chiese cosa ne fosse stato dell’altra coscia. Chichibio gli rispose mentendo che tutte le gru hanno solo una coscia ma Currado non ci volle credere. Così il veneziano gli disse che glielo avrebbe dimostrato nelle gru vive e il suo padrone acconsentì e se ne andò a dormire irato.
La mattina seguente Currado si alzò, si fece portare i cavalli, e messo Chichibio in sella si diresse verso una fiumana alla riva della quale era solito vedere delle gru. Chichibio doveva trovare una prova per dimostrare ciò che aveva sostenuto con la sua bugia, ma non sapendo come riuscire a cavarsela, cavalcava dietro Currado con paura. Proprio quando arrivarono al fiume, il cuoco vide dodici gru che stavano ferme su una zampa, come fanno quando dormono, e subito le mostrò al suo padrone. Allora Currado, per dimostrargli che si stava sbagliando, si avvicinò alle gru e gridò ho ho, per questo motivo esse mandarono l’altro piede giù e cominciarono a fuggire. Chichibio, stupefatto, disse a Currado che se lui avesse gridato anche alla gru di ieri sera, anch’essa avrebbe avuto l’altra coscia. A Currado piacquero così tanto quelle parole, che tutta la sua ira si convertì in sorriso.
Così dunque con la sua battuta pronta e divertente Chichibio si pacificò con il suo signore.
Riassunto di “Calandrino lapidato”- (Decameron, VIII, tre.)
Nella città di Firenze, viveva un pittore di nome Calandrino, conosciuto per la sua semplicità di mente, il quale frequentava due altri pittori, Bruno e Buffalmacco, che lo prendevano spesso in giro.
Un giorno, Maso, anche lui un grande scherzone, avendo visto Calandrino entrare in chiesa, lo seguì con un suo amico e, sedutosi su un banco, cominciò a parlare con l’amico delle magiche virtù di alcune pietre.
Allora Calandrino, incuriosito, si unì alla conversazione e chiese dove si trovavano. Maso gli rispose che erano poste nella terra dei Baschi, un posto dove c’erano cibo e vino in abbondanza. Calandrino volle sapere se si trovavano anche vicino a Firenze e Maso gli rispose che vicino alla loro città c’erano due pietre magiche: i macini di Settignano e l’Elitropia. Calandrino s’informò riguardo a quest’ultima da Maso, e seppe che si trovavano in un fiumicello a poca distanza dalle mura fiorentine e che erano tutte più o meno nere.
Così il pittore volle andare ad informare della sua scoperta anche i suoi due amici Bruno e Buffalmacco, con i quali si diedero appuntamento per raccogliere le pietre la domenica mattina a Porta San Gallo, sperando che da quel giorno sia diventato ricco e i suoi problemi sarebbero scomparsi.
Arrivato il giorno stabilito, i tre amici s’incamminarono e, arrivati al fiumicello, Calandrino cominciò a raccogliere volenterosamente ogni tipo di pietra nera che incontrava. A un certo punto Bruno e Buffalmacco, i quali anche loro stavano raccogliendo alcune pietre, cominciarono a chiedere dove fosse sparito Calandrino, per prenderlo in giro. Alla fine i due arrivarono alla conclusione che il loro amico fosse diventato invisibile e che li avesse lasciati da solo. Così iniziarono a tirare delle pietre in aria mentre maledicevano il loro amico, ma in realtà lo vedevano benissimo davanti a loro e le pietre erano mirate tutte su di lui. Perciò il povero Calandrino fu costretto ad essere lapidato fino a Porta San Gallo senza emettere alcun gemito, perché non si voleva far scoprire dagli amici che però lo vedevano benissimo. Arrivato a Porta San Gallo, anche le guardie fecero finta di non vederlo, essendo state in precedenza avvisate da Bruno e Buffalmacco.
Calandrino proseguì il suo cammino fino a casa, e durante il cammino non fu visto da nessuno poiché erano tutti a casa a mangiare. Arrivato nella sua abitazione, la moglie lo vide e lo rimproverò di essere tornato tardi. Il pittore, essendo stato visto dalla moglie, si convinse che le donne avessero il potere di cancellare l’effetto della pietra magica e così la picchiò. Bruno e Buffalmacco, che da tempo lo seguivano sotto la casa, sentendo tutto quello schiamazzo, entrarono a casa di Calandrino, il quale si scusò con loro per averli lasciati da solo dopo essere diventato invisibile. Poi i due convinsero Calandrino a non picchiare la moglie, perché la colpa era sua che si era fatto vedere da una femmina, pur sapendo bene che esse hanno la capacità di annullare l’effetto magico delle pietre. Poi se ne andarono in giro a raccontare lo scherzo, lasciando Calandrino a consolare la moglie.
Fonte:
http://tuttoscuola.oneminutesite.it/files/32-Currado%20Gianfigliazzi.docx
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Decameron - Federico degli Alberghi
La novelletta e narrata da Fiammetta sotto il suo stesso reggimento. Federico degli Alberighi, un ricchissimo nobile di Firenze si innamorò di monna Giovanna, una delle donne più belle della Toscana. Per sedurla organizzò feste in suo onore e le fece doni fino a sperperare tutti i suoi averi e senza suscitare in lei nessuna attrazione. Si ridusse così a possedere solo un piccolo podere ed un falcone, uno dei migliori del mondo che gli permettevano di sopravvivere. Avvenne però che il marito di monna Giovanna morì e questa andò a trascorrere l'estate con il figlio in una tenuta vicino a quella di Federico. Questo e il ragazzo fecero presto la conoscenza, grazie al grande interesse del giovane per il falcone. Il figlio di Giovanna si ammalò e quando gli chiese cosa lui desiderasse, quello rispose che se avesse avuto l'uccello di Federico sarebbe sicuramente guarito. Il giorno dopo la madre si recò da Federico con una altra donna, non senza vergogna di andare a chiedere a lui che a causa sua si era ridotto in miseria una cosa così preziosa. L'accoglienza fu calda, le donne dissero che si sarebbero fermate per la colazione, ma l'uomo non trovando niente da cucinare tirò il collo al falcone e lo servì a tavola. Il pasto trascorre piacevolmente, fino a quando monna Giovanna, raccolto il coraggio, chiede il falcone per il figlio moribondo. Federico scoppia a piangere davanti a lei e le spiega che glielo avrebbe donato volentieri se non lo avesse usato come vivanda per la colazione uccidendolo proprio perché non aveva niente altro di adatto ad una donna come lei. Giovanna torna a casa commossa per il gesto dell'uomo ma sconsolata e nel giro di pochi giorni il suo unico figlio muore, forse per la malattia, forse per il mancato desiderio dell'uccello. Essendo però ancora giovane viene spinta dai fratelli a rimaritarsi per dare un erede ai beni acquisiti dal defunto marito. La donna non vorrebbe altre bozze, ma essendo obbligata sceglie come sposo Federico per la sua generosità, facendolo finalmente ricco, felice e più accorto nelle questioni finanziarie.
Fonte: http://utenti.multimania.it/adry9986/Decameron%20-%20Federigo%20degli%20Alberighi.doc
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