Malavoglia riassunto
Malavoglia riassunto
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Malavoglia di Giovanni Verga riassunto
I MALAVOGLIA DI GIOVANNI VERGA - RIASSUNTO
Il romanzo narra le vicende della famiglia Toscano, detta i Malavoglia, che abita il piccolo paese di Acitrezza da diverse generazioni. Il nucleo familiare di tipo patriarcale è composto, prima dal nonno, Padron ‘Ntoni, poi dal figlio Bastianazzo e dalla moglie Maruzza, detta la Longa ed infine dai nipoti: ‘Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia. Le uniche ricchezze della famiglia sono, la “casa del nespolo” , da loro abitata, e la barca chiamata “Provvidenza”, unica fonte di reddito. Le disgrazie dei Malavoglia, cominciano con la partenza alle armi di ‘Ntoni, che determina la mancanza di due forti braccia per il lavoro della “Provvidenza” . Per colmare le difficoltà economiche, Padron ‘Ntoni si convince ad acquistare a credito un carico di lupini che, mediante la Provvidenza, deve far giungere a Riposto. Ma, a causa di una violenta tempesta, la Provvidenza naufraga, va perduto il carico di lupini e con esso anche la vita di Bastianazzo. La famiglia Malavoglia è sconvolta dal dolore, ma non si rassegna e per far fronte al debito dei lupini decide di lavorare per Padron Cipolla. Dopo il rientro di ‘Ntoni, questa volta è Luca a intraprendere il servizio di leva, ma con risvolti tragici, poiché morirà nella battaglia di Lissa. La famiglia è di nuovo in ginocchio , anche perché gli viene sottratta a causa dei debiti la casa del nespolo e per porre rimedio alle precarie condizioni economiche, è costretta a vendere la barca, da poco pronta per il mare. Nonostante il dolore enorme di Padron ‘Ntoni, è ‘Ntoni ad incrementarlo ancora di più. Egli, infatti, mira a ben altra vita da quella che per lui, invece, riserva la tradizione di famiglia. Ma le sue ambizioni vengono presto vanificate , poiché frequentando cattive compagnie si da al contrabbando e finisce in galera ed in più sua madre, Maruzza la Longa, muore di colera. Ma le disgrazie dei Malavoglia non sono ancora giunte al termine, infatti Lia, travolta da uno scandalo, fugge di casa e finisce col diventare una prostituta. Anche Mena a causa delle vicende familiari è costretta a rinunciare al matrimonio con l’amato “compare” Alfio. Infine l’agonia della famiglia Trizzota termina con la morte per malattia di Padron ‘Ntoni. Sarà Alessi a riscattare la casa del nespolo, gesto che non servirà a nulla poiché la famiglia Malavoglia è ormai distrutta.
COMMENTO
E’ il romanzo maggiormente conosciuto di Giovanni Verga e va inserito nel più ampio e articolato progetto del Ciclo dei Vinti insieme a Mastro Don Gesualdo, La Duchessa di Leyra, L’Onorevole Scipioni e L’uomo di lusso. In essi Verga, considerato il più grande dei nostri scrittori veristi, vuole rappresentare i desideri che spingono gli uomini a cambiare stato sociale, a migliorare le proprie condizioni di vita e dunque in generale il problema del progresso. Due i temi principali de I Malavoglia: l’attaccamento alla famiglia, al focolare domestico e l’importanza della roba intesa come beni, possedimenti e ricchezze.
La storia si svolge alla fine del 1800 nel piccolo paese siciliano di Aci Trezza, all’indomani dell’unità d’Italia. Il paese, con le sue attività agricole o marittime, è proprio lo sfondo ideale per rappresentare la condizione dei personaggi imprigionati in una fascia economica da cui è impossibile uscire. Le classi più umili sono travolte dal progresso e soccombono perdendo le antiche usanze, i valori tradizionali e senza riuscire ad adeguarsi alla società moderna.
La famiglia Toscano, conosciuta come i Malavoglia, erano tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo. Quando il giovane ‘Ntoni parte per la leva militare, il nonno padron ‘Ntoni, tenta un affare acquistando a credito un carico di lupini da trasportare sulla Provvidenza, la loro barca. Ma un naufragio provoca la morte di Bastianazzo, figlio di padron ‘Ntoni, e la perdita dei lupini. Alla famiglia rimane perciò il debito della merce perduta. Questo l’inizio di una catena di disgrazie che coinvolgerà tutti i componenti della famiglia.
Verga, nella prefazione del libro, parla proprio della rottura di un equilibrio dato dalla tradizione immobile e abitudinaria di una famiglia semplice a causa dell’irrompere della fiumana del progresso. Quando il giovane ‘Ntoni lascia il focolare domestico perché disgustato dalle condizioni estreme di un’esistenza il cui peso non riesce a sopportare, getta l’intera famiglia nel tormento, lasciando la sensazione che valori come la casa, la famiglia, l’onestà e l’onore, da sempre perseguiti, non abbiano più ragion d’essere.
Tra il romanzo e l’autore non si percepisce alcun filo; Verga non si intromette nella narrazione e lascia spazio alla tecnica impersonale e al suo pessimismo di ateo considerando i privilegi dello spirito religioso senza alcun valore consolatorio. Il linguaggio schietto, diretto e colorito delle persone umili è efficacissimo. Il mondo arcaico, irrimediabilmente sconfitto dall’avvento dell’era moderna, ha una voce udibile ancora oggi attraverso i simboli della saggezza di una generazione passata e attraverso una storia che è regionale e universale allo stesso tempo.
Fonte: http://studiando.wikispaces.com/file/view/I+MALAVOGLIA+DI+GIOVANNI+VERGA.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Parola chiave google : Malavoglia riassunto tipo file : doc
I Malavoglia
Giovanni Verga,"I Malavoglia", Bologna, Zanichelli, 1991
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NARRATORE
¬ il narratore non coincide con l'autore.
¬ la narrazione avviene in 3° persona.
¬ il narratore è estraneo alla vicenda e non esprime giudizi sui fatti.
- PUNTO DI VISTA
¬ Il punto di vista dalla storia è variabile, alcune volte è di un narratore spesso onnisciente, altre volte si immedesima nei vari personaggi.
¬La voce narrante è più frequentemente interna ma anche esterna.
- STRUTTURA DEL TESTO
a) Personaggi
¬Le descrizioni si basano sulle caratteristiche fisiche e psicologiche.
¬Le caratteristiche dei personaggi ,in gran parte, ci giungono dai pettegolezzi e dai commenti popolari, in piccola parte invece, ci vengono presentati direttamente dal narratore con piccole descrizioni, che si completano, poi, grazie ai commenti della popolazione.
¬ La protagonista è l'intera famiglia Malavoglia, il resto dei personaggi sono di minore importanza.
¬ I MALAVOGLIA sono una famiglia molto unita che ha sempre cercato di tirare avanti.
- PADRON 'NTONI vuole bene a tutta la famiglia e cerca di tenerla saldamente unita; cerca inoltre, di prendere decisioni favorevoli che non compromettano la loro sopravvivenza.
- MENA,LUCA,ALESSI, e LIA, nipoti di Padron 'Ntoni, si vogliono bene e hanno cercato di aiutarsi nei momenti belli e brutti. Da parte di alcuni fratelli nascerà un piccolo odio verso 'Ntoni quando diventerà fannullone.
- MARUZZA ha fatto di tutto per i propri figli e c'è un buon rapporto con tutti loro.
- 'NTONI smettendo di lavorare e allontanandosi sempre di più dalla famiglia, si distacca dalle cose più importanti e dalla persone che gli sono state sempre vicino.
- Tra MENA e ALFIO MOSCA era sorto un grande amore che però non poté fiorire, l'occasione ci sarà più tardi, ma ormai Maruzza si riterrà troppo vecchia da "maritare".
- Nel PAESE ci sono tantissime relazioni, rapporti e sentimenti… d'odio,d'amore,di gelosia ecc. che mutano in continuazione.
¬DESCRIZIONI PERSONAGGI
Padron 'Ntoni
Padre di Bastianazzo sposato con Maruzza.
E' colui che ha più autorità, essendo il più anziano,ha sempre preso lui la decisioni più importanti.Cerca di tenere unita la famiglia; la sua saggezza nasce dall'esperienza, ma anche dai numerosi proverbi che conosce e utilizza nei momenti giusti. E' un uomo dall'animo semplice, onesto e giusto, è un tipo un po' curioso e pettegolo.
Bastianazzo
Figlio di Padron 'Ntoni. Il suo vero nome è Bastiano, ma i compaesani lo chiamano così perché è grande e grosso. E' il ritratto di suo padre, mite, buono e ubbidiente alle decisioni paterne. Muore affogando con la Provvidenza.
Maruzza detta la Loga
Moglie di Bastianazzo, è una donna semplice e buona, tutta casa e lavoro; non se la prende mai. Muore di colera.
'Ntoni
figlio maggiore di Bastianazzo. All'inizio della storia ha vent'anni; è un giovanotto alto,forte e robusto.Ma è vinto, purtroppo, dall'egoismo individuale e questo lo porterà alla rovina e al carcere; uscito dal carcere sembra avere compreso i suoi errori.
Mena,Luca,Alessi e Lia
Figli di bastianazzo e quindi fratelli di 'Ntoni.
-Luca: è il ritratto di suo padre. Morirà in un incidente navale svolgendo servizio militare.
-Mena: soprannominata Sant'Agata perchè lavorava sempre al telaio. E' una ragazza giovane, laboriosa; è simile a sua madre, ubbidisce e si rassegna facilmente.
-Alessi: è un giovane molto laborioso, si sposerà con Nunziata e riuscirà a risollevare la famiglia.
-Lia: è una ragazzina indolente, si avvilisce per il cattivo esempio del fratello 'Ntoni finendo nel giro della prostituzione.
Zio Crocifisso
E' un usuraio disposto a prestare i sodi agli amici purché gli venga garantita la restituzione.
b) Spazio e tempo
¬I luoghi sono tutti reali, esterni e interni.
- il MARE che spesso viene descritto, dalle persone che lo conoscono bene, come
una persona.
- il VILLAGGIO è posto come sfondo al romanzo, lì avvengono gli incontri tra i vari personaggi e la vita trascorre.
- la SPEZIERIA dove gli uomini spesso si incontrano per commentare il giornale e i fatti del giorno.
- davanti alla CHIESA sugli scalini, si incontrano le persone a spettegolare.
- l'OSTERIA della Santuzza luogo dove si mangia, si beve e si gioca a carte.
- la BOTTEGA di Vanni Pizzuto, il barbiere, dove gli uomini oltre a farsi la barba vanno per chiacchierare.
- la CITTA' , vista come un luogo da cui stare alla larga, perché soltanto nel proprio paese si ha la protezione e la sicurezza.
¬ Le descrizioni sono abbastanza generiche affidate al narratore e ai personaggi.
¬ L'unica data presente evidente nel testo è dicembre 1863, indica il tempo in cui 'Ntoni
è chiamato a prestare servizio militare.
Il periodo storico lo possiamo anche determinare dallo stile di vita che le persone
conducono: le usanze, i loro abiti, i mezzi di trasporto (asini, carretti…), il pudore che
esisteva tra ragazzi e ragazze. Ci troviamo quindi dopo l'unione Italiana (1860), nel
testo si ritrovano anche, tutti i problemi legati a questa.
¬ Il periodo in cui si svolge la vicenda e quello in cui opera l'autore coincidono.
c) Fabula e intreccio
-RIASSUNTO-
La famiglia Malavoglia, guidata da Padron 'Ntoni, vive ad Arci Trezza in Sicilia; sono pescatori e possiedono una barca, la Provvidenza.
'Ntoni, nipote di Padron 'Ntoni, parte perché chiamato alla leva, là scopre un mondo nuovo, da cui rimane affascinato e tornato al paese nativo rivendica i bei tempi e smette di lavorare. La famiglia nel frattempo perde in un naufragio Bastianazzo, figlio di Padron 'Ntoni, con il carico di lupini, poi la casa e la barca a causa dei debiti, Luca muore in un incidente navale, e come se non bastasse , 'Ntoni lascia il paese e va in cerca di fortuna, ma torna più povero di prima e si da al contrabbando finendo in prigione per aver ferito con un coltello una guardia doganale.
Lia, scappa e si da alla prostituzione, Alessi, sposatosi con Nunziata, con l'aiuto della sorella Mena riuscirà a risollevare la famiglia Malavoglia dopo la morte di Padron 'Ntoni.
Dopo 8 anni esce dal carcere 'Ntoni e capisce di aver sbagliato avendo sottovalutato il valore famigliare, ma ormai è troppo tardi per rimediare.
¬ la fabula coincide quasi totalmente con l'intreccio, talvolta ci sono piccoli flash-back e anticipazioni.
d) Lingua e stile
¬ Il libro " I Malavoglia" è un romanzo.
¬Nelle tecniche narrative adottate del Verga, prevale il discorso diretto e il
discorso diretto libero, in minor parte c'è il discorso indiretto.
Ci sono flash-back e anticipazioni. Altra tecnica adottata è lo straniamento.
¬ Il registro stilistico è basso.
¬La sintassi è talvolta complessa.
¬ Il lessico è dialettale accompagnato da frequentissimi proverbi.
¬Parole chiave: debito, disgrazia.
¬ Ci sono moltissime similitudini.
- MESSAGGIO
¬ Il messaggio è implicito e ci viene presentato come un giudizio definitivo e
immodificabile.
Il Verga vuole presentarci la sua cognizione di vita, ovvero non fare come la famiglia
Malavoglia, che ha cercato di modificare la propria condizione sociale, altrimenti
andremmo, come loro, incontro alla rovina; dovremmo, quindi, cercare di
rassegnarci e adeguarci alla nostra posizione sociale ed economica.
- TESTO E CONTESTO
Giovanni Verga (1840\1922)
Nato a Catania il 2 settembre 1840 da una famiglia di proprietari terrieri benestante. Lascia gli studi tecnici per dedicarsi alla sua vocazione letteraria e giornalistica. A 16 anni comincia a scrivere i primi romanzi storici. Partecipa nel 1860 alle vicende politiche arruolandosi come guardia nazionale. Nel 1865 lascia Catania e si reca per la prima volta a Firenze, a quel tempo punto d'incontro per artisti e intellettuali. Là comincia a frequentare i salotti mondani e stringe amicizia con Luigi Capuana.
Nel 1874, si trasferisce a Milano ed entra in contatto con ambienti della Scapigliatura. Escono le prime novelle con caratteristiche che accennano l'adesione dell'autore alla verismo.
Dal 1877 seguono altri romanzi e racconti veristi, tra cui nel 1881 "I Malavoglia", oggi considerato il capolavoro del verismo italiano. Inizialmente, questo romanzo non ebbe successo, la critica accolse il romanzo con grande indifferenza, Verga rimase amareggiato da questo, in quanto si aspettava ben altra accoglienza. Solo parecchi anni dopo la sua, morte, ottenne il riconoscimento che meritava. Nel 1893 lascia Milano e si dedica alla sua proprietà terriera,viene pubblicata l'ultima opera.
PENSIERI E IDEOLOGIE DEL VERGA
Verga condivide la concezione dell'evoluzione naturale e la lotta per la vita, introdotti dal Positivismo, ma li interpreta in maniera pessimistica, in quanto, secondo lui, le strutture delle società sono immodificabili e ogni uomo è destinato, obbedendo alle leggi dell'esistere e del divenire, alla sofferenza e alla sconfitta. Quindi, noi uomini dovremmo rassegnarci, in quanto incapaci di ottenere un cambiamento positivo. Le persone che tentano di abbandonare la propria condizione sono destinate al fallimento.(IDEALE DELL'OSTRICA)
Nella letteratura,Verga, si pone sulla scia Naturalistica, infatti utilizza e condivide l'oggettività e l'impersonalità per rappresentare la realtà. L'autore deve comportarsi come uno scienziato, descrivere oggettivamente la realtà perché, comunque, i suoi commenti e giudizi non modificano e migliorano essa.
Utilizza tecniche come L'ARTIFICIO DELLA REGRESSIONE, dove il narratore assume il punto di vista dei personaggi, immedesimandosi, regredendo dentro di loro, e LO STRANIAMENTO: è quel metodo per cui le azioni o fatti normalissimi vengono presentati come strani e anormali mentre quelli strani e anormali come realistici e comprensibili.
Queste tecniche vengono utilizzate anche per altri romanzi e racconti del Verga come "Rosso Malpelo", "La Roba"…
Il romanzo "I Malavoglia" è il primo che avrebbe dovuto fare parte del ciclo "I VINTI", questo progetto doveva comprendere altri romanzi che riguardavano storie e vicende di altri gruppi sociali, dalla più bassa (I Malavoglia) alla più alta, per dimostrare che in tutte le classi sociali c'è la voglia di cambiare per favorire le proprie condizioni economiche, ottenendo però, sempre risultati negativi.
Fonte: http://web.tiscalinet.it/ads/archivio/Imalavoglia.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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"I Malavoglia" |
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Giancarlo Feltrinelli Editore - Milano LA COSTRUZIONE DEL TESTO:
· SPAZIO - Il racconto è ambientato intorno ai paesi di Aci-Trezza, Vizzini, nella provincia di Catania, sulla costa orientale della Sicilia, già ambientazione per molte novelle del Verga.
E’ il capostipite della famiglia. Uomo molto saggio, di una saggezza pratica. Dimostra in più occasioni di essere un esperto marinaio e un esperto pescatore. Soffre molto a causa delle morti precoci dei parenti e anche quando ‘Ntoni decide di partire, dopo la morte della madre. Ma si rallegra quando, venduta "la Provvidenza" vede tornare ‘Ntoni, anche se senza soldi, ma convinto che non avrebbe più lasciato la famiglia e quindi i più giovani avrebbero avuto una guida. Ma soffre moltissimo, quando capisce che ‘Ntoni era tornato, sì, ma era cambiato, diverso, senza gli stessi ideali in cui il vecchio credeva. L’unica sua consolazione erano Alessi e la Mena, poiché anche la Lia gli darà un grosso dispiacere dopo la sua fuga. Dopo il processo di ‘Ntoni, per la cui difesa aveva speso un sacco di soldi in avvocati, il povero padron ‘Ntoni perde quella voglia di fare, di continuare a sperare in qualcosa, che lo aveva sempre contraddistinto in questi anni. Non parla più, non vuole più la casa dl Nespolo o una barca per tornare pescatori: si lascia morire. Ma per non essere un peso per i nipoti, chiede alla Nunziata di portarlo all’ospedale.
Unico figlio di padron ‘Ntoni, viene descritto all’inizio come grande e grosso come quanto il S.Cristoforo che c’era dipinto sotto l’arco della peschiera della città. Mi ha dato l’idea di essere un uomo che non si faceva tanti problemi e che lavorava senza lamentarsi troppo. Non abbiamo altre notizie in quanto muore quasi subito, naufragando con "la Provvidenza" e con i lupini.
Moglie di Bastianazzo e madre di cinque figli. Il soprannome era tipico della famiglia, ma non caratterizzava la donna, piccina dal punto di vista fisico. E’ una donna che lavora con umiltà e senza tirarsi indietro nonostante le innumerevoli disgrazie capitatele, prima fra tutte la morte del marito e poi di un figlio. E’ una tessitrice, ma sapeva anche lavorare con il pesce, salare le acciughe. Cerca di convincere suo figlio ‘Ntoni a non partire in cerca di fortune, come questi voleva, promessa che poi verrà mantenuta solo fino alla morte di questa, a causa del colera di ritorno dal lavatoio.
E’ il figlio maggiore della Longa e di Bastianazzo. All’inizio del racconto va a fare il soldato, ma torna in fretta a causa della morte del padre, in modo da poter dare una mano. Non è soddisfatto della vita così condotta, pensa che la loro famiglia sia solo destinata a vivere nella miseria, senza speranza di una via d’uscita. Vorrebbe partire in cerca di nuovi posti dove andare e fare fortuna, ma viene convinto dalla madre a non farlo: ma alla morte di quest’ultima, decide di andarsene convinto di non essere più utile lì. Ma tornò dopo qualche tempo: ed invece di portare ricchezze e denaro, come aveva promesso, tornò tanto misero e pezzente, che si vergognava ad uscire di casa, e non lo fece per otto giorni. Ma da questo momento capì che non avrebbe più lasciato la famiglia. Purtroppo questo rinato sentimento verso la famiglia è durato a destinare ben poco. ‘Ntoni, tornato dal viaggio, è cambiato, è convinto che ormai la sorte gli abbia perseguitati e che per quanto lavorassero, non avrebbero cambiato di un virgola la situazione: così pensa che andare all’osteria sia l’unico metodo per alleviarsi tutte queste sofferenze. Inizia a litigare con i famigliari, torna a casa sempre ubriaco e dà molti dispiaceri a suo nonno, che sperava potesse lavorare ed essere la guida e facesse un po’ da padre per i suoi fratelli.
Fratello minore di ‘Ntoni, secondo nipote di padron ‘Ntoni. Come dice il nonno ha più giudizio del grande. Da come ci viene descritto, credo che sia un po’ come Bastianazzo, lavorava e accettava quello che gi dicevano di fare convinto che quello fosse bene per la famiglia. Così quando gli dissero di andare a fare il soldato al posto di suo fratello, accettò senza discutere, e si avviò senza più discutere verso la stazione, da cui non sarebbe più tornato. Muore infatti in battaglia.
Soprannominata da tutti la "Sant’Agata", per la sua dedizione al telaio, come la martire catanese, è la figlia maggiore della Longa e di Bastianazzo. E’ la prima che avrebbe dovuto sposarsi, e il prescelto fu Brasi Cipolla. Ma durante la cerimonia di fidanzamento, arrivò la notizia della morte di Luca, che gettò un’aria di tristezza su una cerimonia così gioiosa. Ma di lì a poco un altro fatto avrebbe rovinato questo fidanzamento: lo sfratto dalla casa del nespolo mandò all’aria tutto: e anche quando con la vendita della acciughe si sarebbe potuto darle una dote, il colera rovinò i loro piani. Ma a mio giudizio, la Mena ha accettato tutto questo senza lamentarsi, ma capendo la difficoltà della situazione. Dopo il ritorno i ‘Ntoni ed il suo cambiamento radicale, Mena si trova ad essere un po’ come la madre del fratello maggiore, apsettandolo ubriaco dietro la porta di casa. E’ forse uno dei personaggi più umili dei Malavoglia, ancor di più della madre, poiché anche quando torna in paese quell’Alfio Mosca di cui si era innamorata a suo tempo, e questi le propone di sposarlo, lei rifiuta, convinta com’era che sposare una Malavoglia sarebbe stata solo una disgrazia, dopo tutto quello che era successo.
Nipote più piccolo di padron ‘Ntoni, unico che rimarrà dopo la partenza di ‘Ntoni. Già da piccolo si dava da fare per aiutare la famiglia e, cresciuto un po’, andò ad aiutare suo fratello maggiore ed il nonno nella pesca. E’ molto laborioso e utile, proprio come suo padre e suo fratello Luca: è l’unico che aiuta il nonno prima e dopo il ritorno di ‘Ntoni e riesce a mettere su del denaro, sufficiente a sposarsi con la Nunziata, con la quale avrebbe voluto fin da piccolo sposarsi e a ricomperare la casa del nespolo è molto legato al nonno e segue molto bene i suoi insegnamenti.
Ultima figlia di Bastianazzo e della Longa. Assomiglia molto alla sorella, Mena, dal punto di vista fisico, ma è una ribelle come suo fratello ‘Ntoni. Infatti, dopo che la sua relazione con don Michele era stata smascherata al processo, decide di fuggire, forse con il suo amato, e non se ne sa più niente. E’ un personaggio che non viene molto caratterizzato dal Verga.
Il racconto narra della sfortunata vicenda dei Toscano, una povera famiglia siciliana di pescatori di Aci-Trezza, conosciuti, però, da ogni parte come i "Malavoglia". Il più anziano della famiglia era padron ‘Ntoni, il cui figlio, Bastianazzo era sposato con la Longa; questi avevano cinque figli, ‘Ntoni, che era il maggiore, Luca, Mena, Alessi e Lia.
Il racconto tende a seguire il corso cronologico degli avvenimenti, anche se in alcune occasioni troviamo delle anticipazioni (come nel caso della morte di Luca) o delle retrospezioni.
La descrizione dello spazio ha un ruolo importante in quanto rende più caratteristico e rende più comprensibili e più spiegabili certi comportamenti, piuttosto che certe situazioni che essendo tipiche di un piccolo villaggio, siciliano, non riusciremmo ad immaginarci nella società in cui viviamo oggi.
Importantissima è la descrizione dei tantissimi personaggi del racconto, presentati dal Verga in modo molto dettagliato dal punto di vista delle caratteristiche morali. Di ogni personaggio sappiamo un po’ la storia, ma anche il pensiero, le intenzioni, poiché ci vengono raccontate dal Verga come se a parlare fosse il popolo; quindi troviamo tutti i pettegolezzi e quello che i paesani vedono o credono di vedere che ci danno un’idea di come questi personaggi appaiano alla gente.
Verga, come già detto nella domanda precedente, fa un largo uso del discorso indiretto libero, in cui inserisce, soprattutto per i soprannomi di quasi tutti i personaggi, delle parole in dialetto. I TEMI |
Fonte: http://www.lafataverde.altervista.org/I%20Malavoglia.doc
Autore del testo: Del Sarto
I Malavoglia
Presentazione dell’opera
Nel 1874 Verga (allora noto autore di romanzi ‘mondani’) pubblica a Milano Nedda, bozzetto siciliano, il suo primo racconto di ambientazione popolare siciliana, ottenendo un successo superiore alle attese. Incoraggiato dal suo editore, prosegue l’esplorazione di questa nuova tematica, con altri racconti e con un progetto di «bozzetto marinaresco» da intitolarsi Padron ’Ntoni, a cui pensa fin dal 1874 ma che rielaborerà, senza mai esserne soddisfatto, fino al 1878. Ma proprio nel 1878 questo progetto ha assunto una portata ben più ambiziosa: un grande ciclo dal titolo collettivo La marea, composto di cinque romanzi, di cui Padron ’Ntoni sarà il primo; da allora in poi Verga lavora al romanzo fino all’inizio del 1881, quando il libro uscirà col titolo definitivo I Malavoglia, e come primo grande capitolo del ciclo I vinti. Un titolo come I Malavoglia indica già una caratteristica fondamentale di quest’opera: si tratta di un romanzo familiare, incentrato sul declino di una famiglia di pescatori di Trezza nei primi anni dell’Italia unita, in una comunità arcaica e ai margini delle trasformazioni socio-economiche causate dal «progresso»; e tuttavia sarà proprio l’azione del «progresso», insinuatasi a Trezza e nei Malavoglia attraverso l’attrazione del mondo al di fuori del villaggio e attraverso la logica dell’economia, a contaminare i valori tradizionali della famiglia e a traviare il giovane ’Ntoni, intorno al quale (e anche per altre cause) si svolgeranno le vicende tragiche che porteranno la famiglia sull’orlo della rovina e rischieranno di distruggerla.
TESTO N. 1: i Malavoglia (dal cap. 1)
L’inizio del romanzo presenta la famiglia Toscano (Malavoglia, secondo il nomignolo del paese), saldamente centrata attorno al suo uomo più anziano, padron ’Ntoni, e alla sua saggezza, e racconta il primo evento decisivo della trama, un evento che turba la vita e l’economia stabili della famiglia: la partenza del giovane ‘Ntoni per il servizio militare.
Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev'essere. Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all'Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron 'Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch'era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla.
Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lavatoio; e padron 'Ntoni, per spiegare il miracolo, soleva dire, mostrando il pugno chiuso - un pugno che sembrava fatto di legno di noce - Per menare il remo bisogna che le cinque dita s'aiutino l'un l'altro.
Diceva pure: - Gli uomini son fatti come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito piccolo deve far da dito piccolo.
E la famigliuola di padron 'Ntoni era realmente disposta come le dita della mano. Prima veniva lui, il dito grosso, che comandava le feste e le quarant'ore; poi suo figlio Bastiano, Bastianazzo, perché era grande e grosso quanto il San Cristoforo che c'era dipinto sotto l'arco della pescheria della città; e così grande e grosso com'era filava diritto alla manovra comandata, e non si sarebbe soffiato il naso se suo padre non gli avesse detto «soffiati il naso» tanto che s'era tolta in moglie la Longa quando gli avevano detto «pigliatela». Poi veniva la Longa, una piccina che badava a tessere, salare le acciughe, e far figliuoli, da buona massaia; infine i nipoti, in ordine di anzianità: 'Ntoni il maggiore, un bighellone di vent'anni, che si buscava tutt'ora qualche scappellotto dal nonno, e qualche pedata più giù per rimettere l'equilibrio, quando lo scappellotto era stato troppo forte; Luca, «che aveva più giudizio del grande» ripeteva il nonno; Mena (Filomena) soprannominata «Sant'Agata» perché stava sempre al telaio, e si suol dire «donna di telaio, gallina di pollaio, e triglia di gennaio»; Alessi (Alessio) un moccioso tutto suo nonno colui!; e Lia (Rosalia) ancora né carne né pesce. - Alla domenica, quando entravano in chiesa, l'uno dietro l'altro, pareva una processione.
Padron 'Ntoni sapeva anche certi motti e proverbi che aveva sentito dagli antichi: «Perché il motto degli antichi mai mentì»: - «Senza pilota barca non cammina» - «Per far da papa bisogna saper far da sagrestano» - oppure - «Fa il mestiere che sai, che se non arricchisci camperai» - «Contentati di quel che t'ha fatto tuo padre; se non altro non sarai un birbante » ed altre sentenze giudiziose.
Ecco perché la casa del nespolo prosperava, e padron 'Ntoni passava per testa quadra, al punto che a Trezza l'avrebbero fatto consigliere comunale, se don Silvestro, il segretario, il quale la sapeva lunga, non avesse predicato che era un codino marcio, un reazionario di quelli che proteggono i Borboni, e che cospirava pel ritorno di Franceschello, onde poter spadroneggiare nel villaggio, come spadroneggiava in casa propria.
Padron 'Ntoni invece non lo conosceva neanche di vista Franceschello, e badava agli affari suoi, e soleva dire: «Chi ha carico di casa non può dormire quando vuole» perché «chi comanda ha da dar conto» .
Nel dicembre 1863, 'Ntoni, il maggiore dei nipoti, era stato chiamato per la leva di mare. Padron 'Ntoni allora era corso dai pezzi grossi del paese, che son quelli che possono aiutarci. Ma don Giammaria, il vicario, gli avea risposto che gli stava bene, e questo era il frutto di quella rivoluzione di satanasso che avevano fatto collo sciorinare il fazzoletto tricolore dal campanile. Invece don Franco lo speziale si metteva a ridere fra i peli della barbona, e gli giurava fregandosi le mani che se arrivavano a mettere assieme un po' di repubblica, tutti quelli della leva e delle tasse li avrebbero presi a calci nel sedere, ché soldati non ce ne sarebbero stati più, e invece tutti sarebbero andati alla guerra, se bisognava. Allora padron 'Ntoni lo pregava e lo strapregava per l'amor di Dio di fargliela presto la repubblica, prima che suo nipote 'Ntoni andasse soldato, come se don Franco ce l'avesse in tasca; tanto che lo speziale finì coll'andare in collera. Allora don Silvestro il segretario si smascellava dalle risa a quei discorsi, e finalmente disse lui che con un certo gruzzoletto fatto scivolare in tasca a tale e tal altra persona che sapeva lui, avrebbero saputo trovare a suo nipote un difetto da riformarlo. Per disgrazia il ragazzo era fatto con coscienza, come se ne fabbricano ancora ad Aci Trezza, e il dottore della leva, quando si vide dinanzi quel pezzo di giovanotto, gli disse che aveva il difetto di esser piantato come un pilastro su quei piedacci che sembravano pale di ficodindia; ma i piedi fatti a pala di ficodindia ci stanno meglio degli stivalini stretti sul ponte di una corazzata, in certe giornataccie; e perciò si presero 'Ntoni senza dire «permettete». La Longa, mentre i coscritti erano condotti in quartiere, trottando trafelata accanto al passo lungo del figliuolo, gli andava raccomandando di tenersi sempre sul petto l'abitino della Madonna, e di mandare le notizie ogni volta che tornava qualche conoscente dalla città, che poi gli avrebbero mandati i soldi per la carta.
Il nonno, da uomo, non diceva nulla; ma si sentiva un gruppo nella gola anch'esso, ed evitava di guardare in faccia la nuora, quasi ce l'avesse con lei. Così se ne tornarono ad Aci Trezza zitti zitti e a capo chino. Bastianazzo, che si era sbrigato in fretta dal disarmare la Provvidenza, per andare ad aspettarli in capo alla via, come li vide comparire a quel modo, mogi mogi e colle scarpe in mano, non ebbe animo di aprir bocca, e se ne tornò a casa con loro. La Longa corse subito a cacciarsi in cucina, quasi avesse furia di trovarsi a quattr'occhi colle vecchie stoviglie, e padron 'Ntoni disse al figliuolo:
- Va a dirle qualche cosa, a quella poveretta; non ne può più.
Il giorno dopo tornarono tutti alla stazione di Aci Castello per veder passare il convoglio dei coscritti che andavano a Messina, e aspettarono più di un'ora, pigiati dalla folla, dietro lo stecconato. Finalmente giunse il treno, e si videro tutti quei ragazzi che annaspavano, col capo fuori dagli sportelli, come fanno i buoi quando sono condotti alla fiera. I canti, le risate e il baccano erano tali che sembrava la festa di Trecastagni, e nella ressa e nel frastuono ci si dimenticava perfino quello stringimento di cuore che si aveva prima.
- Addio 'Ntoni! - Addio mamma! - Addio! ricordati! ricordati! - Lì presso, sull'argine della via, c'era la Sara di comare Tudda, a mietere l'erba pel vitello; ma comare Venera la Zuppidda andava soffiando che c'era venuta per salutare 'Ntoni di padron 'Ntoni, col quale si parlavano dal muro dell'orto, li aveva visti lei, con quegli occhi che dovevano mangiarseli i vermi. Certo è che 'Ntoni salutò la Sara colla mano, ed ella rimase colla falce in pugno a guardare finché il treno non si mosse. Alla Longa, l'era parso rubato a lei quel saluto; e molto tempo dopo, ogni volta che incontrava la Sara di comare Tudda, nella piazza o al lavatoio, le voltava le spalle.
Poi il treno era partito fischiando e strepitando in modo da mangiarsi i canti e gli addii. E dopo che i curiosi si furono dileguati, non rimasero che alcune donnicciuole, e qualche povero diavolo, che si tenevano ancora stretti ai pali dello stecconato, senza saper perché. Quindi a poco a poco si sbrancarono anch'essi, e padron 'Ntoni, indovinando che la nuora dovesse avere la bocca amara, le pagò due centesimi di acqua col limone.
Comare Venera la Zuppidda, per confortare comare la Longa, le andava dicendo: - Ora mettetevi il cuore in pace, che per cinque anni bisogna fare come se vostro figlio fosse morto, e non pensarci più.
Ma pure ci pensavano sempre, nella casa del nespolo, o per certa scodella che le veniva tutti i giorni sotto mano alla Longa nell'apparecchiare il deschetto, o a proposito di certa ganza che 'Ntoni sapeva fare meglio di ogni altro alla funicella della vela, e quando si trattava di serrare una scotta tesa come una corda di violino, o di alare una parommella che ci sarebbe voluto l'argano. Il nonno ansimando cogli ohi! ooohi! intercalava - Qui ci vorrebbe 'Ntoni - oppure - Vi pare che io abbia il polso di quel ragazzo? La madre, mentre ribatteva il pettine sul telaio - uno! due! tre! - pensava a quel bum bum della macchina che le aveva portato via il figliuolo, e le era rimasto sul cuore, in quel gran sbalordimento, e le picchiava ancora dentro il petto, - uno! due! tre!
Il nonno poi aveva certi singolari argomenti per confortarsi, e per confortare gli altri: - Del resto volete che vel dica? Un po' di soldato gli farà bene a quel ragazzo; ché il suo paio di braccia gli piaceva meglio di portarsele a spasso la domenica, anziché servirsene a buscarsi il pane.
Oppure: - Quando avrà provato il pane salato che si mangia altrove, non si lagnerà più della minestra di casa sua.
(da Giovanni Verga, I Malavoglia, a cura di Ferruccio Cecco, Torino, Einaudi 1997, pp. 9-16)
Leggiamo insieme: rappresentazione e celebrazione di un mondo tradizionale
La tecnica narrativa: la ‘regressione’ del narratore e il narratore collettivo.
L’inizio dei Malavoglia svolge le funzioni tipiche di un inizio di romanzo realista (la presentazione dell’ambientazione spazio-temporale e dei personaggi, l’avvio della trama), ma il modo in cui le svolge produce nel lettore un effetto di sorpresa e potremmo dire di choc: tale effetto consiste (riassumendolo) nell’immergere senza preavvisi il lettore nel mondo narrato, cioè in un villaggio di pescatori sulla costa siciliana, un mondo che è lontanissimo dall’esperienza di quasi tutti i lettori dei Malavoglia, e certamente di quelli ottocenteschi. Per valutare tale effetto è molto istruttivo il confronto con il predecessore obbligato di ogni romanzo ottocentesco italiano, I promessi sposi: alla presentazione ‘oggettiva’, graduale e dettagliata, del «ramo del lago di Como» e dell’epoca in cui si svolge la vicenda, qui corrisponde, per il lettore, una sorta di presentazione rapida, quasi confusa perché non graduale; il lettore dei Malavoglia è cioè immerso da subito in una serie di coordinate e di riferimenti culturali (i nomi dei paesi e i riferimenti locali, a cominciare da quello alla «strada vecchia di Trezza», i nomi e i nomignoli dei personaggi, le infilate di proverbi siciliani) a lui del tutto estranei, e che lo disorientano perché non gli vengono presentati attraverso la mediazione del narratore, ma vengono dati per scontati dal narratore stesso, perciò il lettore non è messo davanti, per così dire, al quadro della vicenda narrata, ma vi è immerso.
Tale effetto di disorientamento è il frutto della profonda originalità della tecnica narrativa dei Malavoglia, che è caratteristica di questo romanzo (almeno nell’opera romanzesca di Verga): la scomparsa del narratore-autore e la ‘regressione’ (com’è stata definita) del narratore al medesimo livello del mondo narrato. La voce narrante di quest’inizio non è (a differenza di quella dei Promessi sposi) la voce dell’autore che si identifica con quella del narratore, ma possiede alcune caratteristiche rivoluzionarie rispetto al romanzo realista ‘classico’: 1) si tratta di un narratore anonimo (perché appunto non ha un nome, e non è la voce dell’autore) e collettivo (perché non si identifica con nessun personaggio, ma esprime una sorta di voce della comunità intorno ai personaggi stessi); 2) dal punto di vista culturale e linguistico è un narratore interno al mondo narrato e non è omogeneo al mondo del lettore, poiché utilizza i riferimenti e il linguaggio specifici del mondo narrato (i nomignoli, le similitudini dei personaggi con dei luoghi noti solo ai pescatori di Trezza e dintorni), e li utilizza presupponendoli, senza sentire alcun bisogno di spiegarli, proprio come se si trattasse di un paesano che racconta ai suoi paesani (ad un pubblico omogeneo) la storia dei Malavoglia. Dunque, la ‘regressione’ del narratore è la creazione di una voce narrante che non ha un’identificazione precisa ma che di certo si allontana dall’autore e quindi dal pubblico omogeneo all’autore e, distanziandosi da entrambi, diventa una voce collettiva, un narratore corale (come pure è stato definito), voce della comunità paesana di cui fanno parte anche i personaggi del romanzo. Questa tecnica sperimentale (che non ha riscontri nella narrativa italiana, se non nel Verga stesso) permette a Verga di realizzare le esigenze di impersonalità e di oggettività narrative tipiche del naturalismo: viene eliminata la mediazione esplicita di un autore-narratore che si pone tra il lettore e il mondo narrato, e quest’ultimo viene presentato, per così dire, con la sua stessa voce.
La voce del mondo narrato: il “colore locale” linguistico.
Una della manifestazioni più sperimentali e virtuosistiche di questa tecnica narrativa profondamente originale è quello che Verga definiva (con una metafora tratta dalla pittura) il “colore locale” nel linguaggio della narrazione, cioè il linguaggio adeguato al mondo rappresentato, e che perciò deve essere ben diverso da quello dell’autore e dei suoi lettori, entrambi borghesi cólti. Verga ricrea perciò un linguaggio popolare come lo sono non solo i personaggi, ma anche il narratore anonimo e collettivo, un linguaggio che perciò si esprime non solo nella citazione diretta dei discorsi dei personaggi, ma anche nello stile della narrazione. Tale linguaggio non può essere quello che una riproduzione letteralmente oggettiva avrebbe richiesto, cioè il dialetto siciliano locale (che sarebbe risultato incomprensibile per quasi tutti i lettori), ma è una sorta di italiano popolare, ben lontano dalla lingua letteraria e dalla lingua della prosa cólta, che riecheggia continuamente il linguaggio parlato e dialettale, in particolare nel lessico (attraverso ad es. i citati riferimenti e similitudini di àmbito locale, oppure attraverso i nomignoli dei personaggi, i proverbi esplicitamente citati e le espressioni proverbiali) e nella sintassi, che è colloquiale e libera e ‘scorretta’ rispetto alla grammatica dell’italiano scritto, proprio per imitare il più possibile il parlato. In particolare uno dei procedimenti più utilizzati per rendere le movenze del linguaggio parlato è il cosiddetto discorso indiretto libero, cioè una sorta di compromesso tra il discorso diretto (che riporta letteralmente, tra virgolette, le parole o i pensieri dei personaggi) e il discorso indiretto (che riporta parole e pensieri in forma di proposizioni dichiarative – introdotte dalla congiunzione che – e dal punto di vista del narratore esterno alla vicenda), una sorta di soluzione intermedia che, pur utilizzando il racconto alla terza persona e senza citare direttamente le parole dei personaggi, introduce nel racconto elementi tipici del discorso parlato (e quindi della voce dei personaggi stessi), come un lessico o una sintassi colloquiali, popolari (ad es. in «Padron ’Ntoni invece non lo conosceva neanche di vista Franceschiello», l’anticipazione del complemento oggetto Franceschiello nel pronome lo, sgrammaticatura per la lingua scritta ma fenomeno tipico della sintassi parlata; oppure il cosiddetto che polivalente, cioè ambiguo dal punto di vista del significato, e quindi scorretto anch’esso nella sintassi scritta, in «La Longa [...] gli andava raccomandando [...] di mandare le notizie ogni volta che tornava qualche conoscente dalla città, che poi gli avrebbero mandati i soldi per la carta»); il discorso indiretto libero è soprattutto uno strumento per riportare i discorsi dei personaggi, e per questo non è dominante in questo brano, ma è significativo che elementi tipici di questa struttura sintattica compaiano anche inframmezzati nel discorso del narratore anonimo (ad es. nella presentazione del giovane Alessi: «Alessi (Alessio) un moccioso tutto suo nonno colui!», dove la messa in rilievo del pronome colui, inutilmente ripetitivo nella lingua scritta, e la sua posizione dopo l’espressione colloquiale tutto suo nonno e infine il punto esclamativo, formano una vera e propria citazione di una frase del linguaggio parlato).
Insomma, innanzitutto al livello linguistico I Malavoglia rivelano la loro originalità e la loro distanza dal modello di romanzo italiano per eccellenza, cioè I promessi sposi: la grande novità consista in uno sforzo di rappresentazione oggettiva e quindi di adeguamento espressivo della narrazione alla mentalità e al linguaggio dei personaggi, uno sforzo il cui risultato è la scomparsa del narratore-autore, cioè della voce narrante (che è un’altra voce dell’autore) che svolge funzioni di filtraggio tra le vicende narrate e il lettore. Sottolineare tale differenza ovviamente non serve a esprimere giudizi di preferenza o a ritenere Manzoni ‘arretrato’: la novità linguistica dei Malavoglia è certamente frutto di un narratore di genio degno di essere paragonato a Manzoni, ma dal punto di vista storico essa si spiega con l’esigenza di rappresentazione oggettiva in una misura sconosciuta al romanzo del primo Ottocento, dove la figura e la voce del narratore dovevano essere ben riconoscibili per il lettore in base a una convenzione narrativa; le tecniche narrative di Flaubert e del naturalismo (che discende da lui) vogliono appunto eliminare tale convenzione.
Padron ’Ntoni e i valori tradizionali della comunità.
La presentazione dei fatti e dei personaggi, per quanto ‘oggettiva’ nei modi che si sono visti (cioè non affidata direttamente a una voce dell’autore) non è però neutrale dal punto di vista ideologico: è evidente infatti, in questo inizio, una caratteristica di tutto il romanzo, e cioè il ritratto sempre interamente positivo di alcuni Malavoglia, e in particolare di padron ’Ntoni, un vero patriarca, il capofamiglia indiscusso e pienamente meritevole di esserlo, perché è il depositario di una saggezza impersonale e indiscutibile, la saggezza degli «antichi», e che non a caso si esprime prevalentemente attraverso i proverbi, cioè l’espressione impersonale per eccellenza, la voce collettiva della cultura popolare. Quei proverbi si concretizzano nell’agire di padron ’Ntoni, sono la regola della sua vita e vengono applicati, e per questo, come riconosce il narratore, la situazione economica della famiglia guidata da lui è stabile e prospera. Padron ’Ntoni, quindi (che non a caso, nell’idea originaria del romanzo, avrebbe dovuto dare il titolo al libro), è un personaggio integralmente positivo perché è l’incarnazione individuale di valori collettivi e tradizionali che sono quelli di una comunità popolare arcaica come un villaggio di pescatori: l’etica della famiglia patriarcale (fondata su una gerarchia solida e indiscutibile), del lavoro e del sacrificio personale, ma anche l’etica della moderazione, che pone dei limiti all’ambizione personale (padron ’Ntoni è indifferente ai rivolgimenti storici e alle ambizioni della politica locale), e che quindi potrebbe definirsi immobilistica, statica, ma non in senso negativo, non certo per il narratore, che la approva; e anche gli altri personaggi della famiglia sono positivi nella misura in cui partecipano senza discutere di quell’etica, svolgono il ruolo previsto nella famiglia arcaica, dove l’individuo non deve emergere per i suoi desideri personali ma deve lavorare in funzione del bene della comunità familiare (Bastianazzo obbedisce senza discutere all’uomo più anziano di lui, la Longa e Mena che adempiono pienamente ai doveri previsti per la donna). La situazione di partenza del romanzo – la famiglia che prospera sotto la guida di padron ’Ntoni – è quindi statica come l’etica arcaica e la saggezza popolare senza tempo che padron ’Ntoni incarna e mette in pratica; non a caso i cambiamenti e i pericoli esterni («Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia») non hanno danneggiato i Malavoglia di Trezza.
Tempo statico della comunità arcaica e storia collettiva.
Quanto si è appena detto viene confermato dal fatto che la trama vera e propria, cioè una catena di eventi imprevisti, viene prodotta da un mondo esterno e sconosciuto all’orizzonte storico e mentale di cui fanno parte i Malavoglia, cioè la storia collettiva, che passa sconosciuta alle classi povere ma è ugualmente decisiva per la loro sorte. In questo caso, la recentissima Unità d’Italia ha prodotto un risultato, il servizio di leva obbligatorio, che provoca uno sconvolgimento nella vita della famiglia, cioè l’assenza del giovane ’Ntoni per cinque anni previsti. Non a caso quest’evento è il primo evento vero, puntuale, del racconto, perché è il primo al passato remoto (il tempo degli avvenimenti puntuali, accaduti una sola volta) dopo una lunga serie di imperfetti, che ritmavano la vita ciclica e profondamente statica della famiglia (l’imperfetto è il tempo della continuità degli avvenimenti); e non a caso quest’evento è anche l’unico ad essere indicato da una data precisa, il dicembre 1863, l’unica data in tutto il romanzo: la vicenda raccontata nasce da un’interferenza di un mondo esterno, cioè del tempo e dei rivolgimenti della ‘grande’ storia (la rivoluzione politica, il passaggio della Sicilia da provincia del Regno delle due Sicilie a provincia del Regno d’Italia), nel mondo e nello stile di vita di una comunità lontana da quei rivolgimenti, e ancora più in una famiglia che aveva vissuto separata dal mondo della politica (padron ’Ntoni è indifferente ai vecchi quanto ai nuovi governanti) e anche dal mondo minuscolo della politica di paese. La storia costituisce quindi un mondo esterno al mondo della comunità arcaica rappresentata dal villaggio e soprattutto dalla famiglia Malavoglia, un mondo che interferisce con gli orizzonti chiusi della vita di villaggio per portare disordine e dolore, quel dolore su cui insiste il narratore nel descrivere le reazioni dei familiari alla partenza di ’Ntoni. Da quel mondo esterno, contro cui la saggezza e le massime di padron ’Ntoni non possono niente, proviene quindi un impulso estraneo alla cultura e alla vita della comunità familiare che trasformerà in maniera decisiva la vita della famiglia: dalla mancanza di un giovane valido come ’Ntoni nasceranno le difficoltà per tutta la famiglia, e da queste difficoltà le conseguenze e le fatalità che vedremo; ma, per quanto riguarda il giovane ’Ntoni, il contatto con quel mondo (quello della grande città, della società e dell’economia borghesi) avrà conseguenze altrettanto decisive e distruttive.
La trama
L’assenza di ’Ntoni mette in difficoltà l’economia di tutta la famiglia, perciò qualche tempo dopo padron ’Ntoni tenta una mossa nuova, cioè un affare commerciale: acquista a credito (ricorrendo a un prestito dello zio Crocifisso, l’usuraio del paese) un carico di lupini da rivendere in un altro paese sulla costa. Ma durante il viaggio per andare a effettuare la vendita la Provvidenza scompare in una notte di tempesta, il carico di lupini va perduto e Bastianazzo muore annegato: quest’avvenimento getta non solo la famiglia nel lutto, ma compromette in modo irreparabile la sua situazione economica, lasciandola priva dei due uomini più forti e pesantemente indebitata. |
Testo n. 2: i funerali di Bastianazzo (dal cap. 4).
Affondata la Provvidenza, perduto il carico di lupini e morto Bastianazzo, ora i Malavoglia, come sa padron ’Ntoni, sono rovinati, e al loro strazio per Bastianazzo scomparso lontano da loro (del quale si celebra il funerale con una bara vuota) si oppongono i sentimenti ben diversi di zio Crocifisso, il loro creditore, apparentemente solidale con il dolore della famiglia ma avido di recuperare il denaro che gli spetta e disposto a tutto per farlo.
Il peggio era che i lupini li avevano presi a credenza, e lo zio Crocifisso non si contentava di «buone parole e mele fradicie», per questo lo chiamavano Campana di legno, perché non ci sentiva di quell'orecchio, quando lo volevano pagare con delle chiacchiere, e' diceva che «alla credenza ci si pensa». Egli era un buon diavolaccio, e viveva imprestando agli amici, non faceva altro mestiere, che per questo stava in piazza tutto il giorno, colle mani nelle tasche, o addossato al muro della chiesa, con quel giubbone tutto lacero che non gli avreste dato un baiocco; ma aveva denari sin che ne volevano, e se qualcheduno andava a chiedergli dodici tarì glieli prestava subito, col pegno, perché «chi fa credenza senza pegno, perde l'amico, la roba e l'ingegno» a patto di averli restituiti la domenica, d'argento e colle colonne, che ci era un carlino dippiù, com'era giusto, perché «coll'interesse non c'è amicizia». Comprava anche la pesca tutta in una volta, con ribasso, e quando il povero diavolo che l'aveva fatta aveva bisogno subito di denari, ma dovevano pesargliela colle sue bilancie, le quali erano false come Giuda, dicevano quelli che non erano mai contenti, ed hanno un braccio lungo e l'altro corto, come san Francesco; e anticipava anche la spesa per la ciurma, se volevano, e prendeva soltanto il denaro anticipato, e un rotolo di pane a testa, e mezzo quartuccio di vino, e non voleva altro, ché era cristiano e di quel che faceva in questo mondo avrebbe dovuto dar conto a Dio. Insomma era la provvidenza per quelli che erano in angustie, e aveva anche inventato cento modi di render servigio al prossimo, e senza essere uomo di mare aveva barche, e attrezzi, e ogni cosa, per quelli che non ne avevano, e li prestava, contentandosi di prendere un terzo della pesca, più la parte della barca, che contava come un uomo della ciurma, e quella degli attrezzi, se volevano prestati anche gli attrezzi, e finiva che la barca si mangiava tutto il guadagno, tanto che la chiamavano la barca del diavolo - e quando gli dicevano perché non ci andasse lui a rischiare la pelle come tutti gli altri, che si pappava il meglio della pesca senza pericolo, rispondeva: - Bravo! e se in mare mi capita una disgrazia, Dio liberi, che ci lascio le ossa, chi me li fa gli affari miei? - Egli badava agli affari suoi, ed avrebbe prestato anche la camicia; ma poi voleva esser pagato, senza tanti cristi; ed era inutile stargli a contare ragioni, perché era sordo, e per di più era scarso di cervello, e non sapeva dir altro che «Quel che è di patto non è d'inganno», oppure «Al giorno che promise si conosce il buon pagatore».
Ora i suoi nemici gli ridevano sotto il naso, a motivo di quei lupini che se l'era mangiati il diavolo; e gli toccava anche recitare il deprofundis per l'anima di Bastianazzo, quando si facevano le esequie, insieme con gli altri confratelli della Buona Morte, colla testa nel sacco .
I vetri della chiesetta scintillavano, e il mare era liscio e lucente, talché non pareva più quello che gli aveva rubato il marito alla Longa; perciò i confratelli avevano fretta di spicciarsi, e di andarsene ognuno pei propri affari, ora che il tempo s'era rimesso al buono.
Stavolta i Malavoglia erano là, seduti sulle calcagna, davanti al cataletto, e lavavano il pavimento dal gran piangere, come se il morto fosse davvero fra quelle quattro tavole, coi suoi lupini al collo, che lo zio Crocifisso gli aveva dati a credenza, perché aveva sempre conosciuto padron 'Ntoni per galantuomo; ma se volevano truffargli la sua roba, col pretesto che Bastianazzo s'era annegato, la truffavano a Cristo, com'è vero Dio! ché quello era un credito sacrosanto come l'ostia consacrata, e quelle cinquecento lire ei l'appendeva ai piedi di Gesù crocifisso; ma santo diavolone! padron 'Ntoni sarebbe andato in galera! La legge c'era anche a Trezza!
Intanto don Giammaria buttava in fretta quattro colpi d'aspersorio sul cataletto, e mastro Cirino cominciava ad andare attorno per spegnere i lumi colla canna. I confratelli si affrettavano a scavalcare i banchi colle braccia in aria, per cavarsi il cappuccio, e lo zio Crocifisso andò a dare una presa di tabacco a padron 'Ntoni, per fargli animo, che infine quando uno è galantuomo lascia buon nome e si guadagna il paradiso, - questo aveva detto a coloro che gli domandavano dei suoi lupini: - Coi Malavoglia sto tranquillo perché son galantuomini e non vorranno lasciar compare Bastianazzo a casa del diavolo; padron 'Ntoni poteva vedere coi suoi propri occhi se si erano fatte le cose senza risparmio, in onore del morto; e tanto costava la messa, tanto i ceri, e tanto il mortorio; - ei faceva il conto sulle grosse dita ficcate nei guanti di cotone, e i ragazzi guardavano a bocca aperta tutte quelle cose che costavano caro, ed erano lì pel babbo: il cataletto, i ceri, i fiori di carta; e la bambina, vedendo la luminaria, e udendo suonar l'organo, si mise a galloriare.
La casa del nespolo era piena di gente; e il proverbio dice: «triste quella casa dove ci è la visita pel marito!» Ognuno che passava, al vedere sull'uscio quei piccoli Malavoglia col viso sudicio e le mani nelle tasche, scrollava il capo e diceva:
- Povera comare Maruzza! ora cominciano i guai per la sua casa!
Gli amici portavano qualche cosa, com'è l'uso, pasta, ova, vino e ogni ben di Dio, che ci avrebbe voluto il cuor contento per mangiarsi tutto, e perfino compar Alfio Mosca era venuto con una gallina per mano. - Prendete queste qua, gnà Mena, diceva, che avrei voluto trovarmici io al posto di vostro padre, vi giuro. Almeno non avrei fatto danno a nessuno, e nessuno avrebbe pianto.
La Mena, appoggiata alla porta della cucina, colla faccia nel grembiale, si sentiva il cuore che gli sbatteva e gli voleva scappare dal petto, come quelle povere bestie che teneva in mano. La dote di Sant'Agata se n'era andata colla Provvidenza, e quelli che erano a visita nella casa del nespolo, pensavano che lo zio Crocifisso ci avrebbe messo le unghie addosso.
Alcuni se ne stavano appollaiati sulle scranne, e ripartivano senza aver aperto bocca, da veri baccalà che erano; ma chi sapeva dir quattro parole, cercava di tenere uno scampolo di conversazione, per scacciare la malinconia, e distrarre un po' quei poveri Malavoglia i quali piangevano da due giorni come fontane. Compare Cipolla raccontava che sulle acciughe c'era un aumento di due tarì per barile, questo poteva interessargli a padron 'Ntoni, se ci aveva ancora delle acciughe da vendere; lui a buon conto se n'era riserbati un centinaio di barili; e parlavano pure di compare Bastianazzo, buon'anima, che nessuno se lo sarebbe aspettato, un uomo nel fiore dell'età, e che crepava di salute, poveretto!
(da Giovanni Verga, I Malavoglia, a cura di Ferruccio Cecco, Torino, Einaudi 1997, pp. 62-67)
Trezza: l’attuale Aci Trezza, allora un villaggio di pescatori a pochi chilometri a nord di Catania.
Ognina... Aci Castello: rispettivamente un borgo a pochi chilometri da Catania (oggi un quartiere della città) e un villaggio tra Catania e Aci Trezza.
nomignolo: ‘soprannome’, che, secondo l’uso siciliano, indica un difetto (in questo caso ‘gli svogliati’) opposto alla qualità della persona.
libro della parrocchia: registro parrocchiale (che conteneva la registrazione di nascite, matrimoni e funerali).
zio Cola: ‘zio Nicola’, ma zio è un titolo generico di rispetto con cui ci si rivolge a persone del popolo anziane.
comandava... quarant’ore: ‘era il capo indiscusso della famiglia’ (espressione proverbiale); le quarant’ore: l’esposizione e l’adorazione in chiesa del Santissimo Sacramento per quaranta ore di séguito.
donna... gennaio: ‘la donna che sta in casa a lavorare al telaio, la gallina allevata in pollaio e la triglia pescata di gennaio sono le migliori’ (proverbio siciliano).
don... segretario: il segretario comunale di Trezza (don: titolo di rispetto premesso ai nobili e in genere agli uomini di classe o di condizione economica superiori).
codino marcio: ‘un monarchico, un reazionario’ (codino: dall’acconciatura dei sostenitori del re durante la Rivoluzione francese).
i Borboni: la dinastia dei sovrani che regnava in Sicilia e nel Sud peninsulare (Regno delle Due Sicilie) prima dell’Unità d’Italia.
Franceschiello: nome popolare per Francesco I, l’ultimo re dei Borboni, cacciato da Garibaldi nel 1860.
di quella...campanile: ‘di quella rivoluzione diabolica che avevano scatenato sventolando dal campanile il fazzoletto con i colori della bandiera italiana’: era il giudizio più diffuso tra le gerarchie ecclesiastiche sul compimento dell’Unità d’Italia.
abitino della Madonna: una striscia di panno che pende sul petto e sulle spalle, con l’immagine e il nome di Maria; nella devozione popolare, doveva proteggere chi lo portava.
d’argento... colonne: ‘senza alterazioni nel metallo (l’argento, metallo del tarì) e nel conio delle monete (il tarì recava delle colonne incise).
ed hanno... San Francesco: forse si riferisce alle bilance truccate di zio Crocifisso (secondo il punto di vista dei suoi debitori), oppure, più probabilmente, ai debitori stessi (dal punto di vista dello zio Crocifisso), che sono pronti a prendere il denaro ma lenti nel restituirlo (avere un braccio lungo e uno corto è un’espressione proverbiale siciliana); secondo la leggenda San Francesco di Paola, patrono dei marinai, aveva un braccio più lungo per le molte benedizioni che dava.
se... prestati: ‘se volevano che prestasse loro, che fossero loro prestati’ (costruzione dei dialetti meridionali).
deprofundis: il De profundis (‘Dagli abissi’, in latino), il salmo recitato durante le messe funebri (che comincia con queste parole).
confratelli... sacco: zio Crocifisso fa parte di una confraternita religiosa (composta di laici) che si occupa anche della cura dei funerali; il sacco è il cappuccio portato dai confratelli durante le cerimonie.
a... diavolo: all’inferno (come se l’anima di Bastianazzo fosse dannata finché i suoi parenti non avessero pagato il debito per lui).
galloriare: ‘manifestare la propria gioia con vivacità’ (perché crede che si tratti di un’occasione festiva).
Fonte:
http://www.liceo-carducci.it/templates/downloads/derosa/APPUNTI_3O.zip
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