Giuseppe Ungaretti vita opere riassunti brevi
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Giuseppe Ungaretti vita opere riassunti brevi
GIUSEPPE UNGARETTI
Giuseppe Ungaretti nacque nel 1888 ad Alessandria d'Egitto da genitori lucchesi. L'esperienza africana, che comporta anche contatti con fuoriusciti italiani anarchici e socialisti (tra cui lo scrittore Enrico Pea), fornisce alla poesia ungarettiana soprattutto un repertorio di ricordi (colori, profumi, paesaggi, microeventi) che compaiono ora esplicitamente ora in modo sotterraneo lungo tutto il corso del suo sviluppo. Trasferitosi a Parigi nel 1912, frequenta l'università e stringe contatti con î rappresentanti delle avanguardie: fra gli altri, Apollinaire, Picasso, Braque, De Chirico, poi occasionalmente anche i futuristi, che lo invitano a collaborare a «Lacerba». All'esperienza parigina appartiene anche il suicidio dell'amico Mohammed Sceab, emigrato con lui da Alessandria. Nel 1914, allo scoppio della guerra, si trasferisce a Milano; pubblica le prime poesie su «Lacerba» e fiancheggia gli interventisti. Partecipa alla guerra, combattendo sul Carso. Nel 1916 esce quasi inosservata la raccolta Il porto sepolto, primo nucleo dell'Allegria, che col titolo di Allegria di Naufragi compare a guerra finita, nel 1918. Nel 1918 ritorna a Parigi, dove diventa corrispondente del «Popolo d'Italia». Nel 1920 si impiega presso l'Ufficio stampa dell'Ambasciata italiana e sì sposa con Jeanne Dupoix. L'anno dopo è a Roma, impiegato presso il Ministero degli esteri. Gli anni successivi sono caratterizzati essenzialmente dalla pubblicazione di altre raccolte poetiche, dalla crescita della popolarità del poeta, che viene invitato a tenere cicli di conferenze in vari paesi europei, e dalla morte del figlio Antonietto, che costituirà un'ennesima esperienza dolorosa dell'«Ungaretti uomo di pena». Tra il 1936 e il 1942 ottiene la cattedra di Letteratura italiana all'università di San Paolo in Brasile. Nel 1942, rientrato in patria, è eletto Accademico d'Italia. Ottiene vari premi letterari. Dal 1947 insegna Letteratura moderna e contemporanea, all'Università di Roma. Ottiene altri riconoscimenti nazionali e internazionali. Muore a Milano nel 1970. Oltre all'Allegria il libro suo più importante, sono da ricordare, il Sentimento del tempo (1933), seconda raccolta poetica, cui seguiranno II Dolore (1947), La Terra Promessa (1950), Un grido e Paesaggi (1952), Il Taccuino del Vecchio (1960), II Deserto e dopo (1961). Del 1969 viene pubblicata Vita d'un uomo. Tutte le poesie, che raccoglie la precedente produzione. Importanti anche i saggi critici (riuniti ora nel secondo volume di Vita d'un uomo) e le raccolte di traduzioni: Traduzioni (1936) di poeti inglesi, francesi, russi e spagnoli, Da Gòngora a Mallarmé (1948) e Visioni di William Blake (1965).
L'Allegria, o la poesia della parola
«La poesia di Ungaretti offre il più radicale esempio di rinnovamento formale sperimentato dalla lirica del nostro secolo» (Sanguineti). Alle novità formala; che fanno dell'Allegria (1918) un libro-chiave della storia letteraria italiana del Novecento e che vanno nel senso della riduzione del discorso a parola pura e nuda, colta nello spessore della sua qualità evocativa, corrispondono almeno in buona parte - l'esperienza della guerra e la riduzione del vissuto ai fattori essenziali e originari: una tragica e concreta materialità da cui si staccano, come repentine illuminazioni, ricordi, fantasie care, sensazioni e sentimenti dimenticati, tensioni e aspirazioni liberatorie.
II comun denominatore dei testi è la presenza di una concreta fenomenologia bellica - che va dalle più nette immagini di violenza e morte in Veglia alla distruzione materiale in Pellegrinaggio e in San Martino del Carso - o dei suoi riflessi morali in Fratelli («aria spasimante», «fragilità») e in Sono una creatura (pietrificazione interiore, pianto silenzioso, morte in vita). Sono insomma testi di oggettiva denuncia delle lacerazioni prodotte dalla guerra. I due componimenti in cui le immagini materiali della guerra sono assenti appaiono anche (con San Martino del Carso) i più desolati: l'esperienza della tragedia bellica è quasi sempre resa da Ungaretti in termini di riflessi intimi, di moti dell'animo. Ungaretti, insomma, non è un poeta espressionista che si compiace della violenza delle immagini (si vedano Benni e anche Rebora di Voce di vedetta morta). Un accenno di espressionismo c'è però in Veglia, legato alla serie di participi (buttato, massacrato, digrignata, penetrata) che rappresentano la situazione con crudezza di significati e asprezza fonica, e che, in assenza di un verbo finito, generano un clima di tesa sospensione drammatica (evocativo dell'interminabile lunghezza della notte). Accentua la potenza tragica della rappresentazione la scansione, come spessissimo accade in Ungaretti, in versicoli che pone in risalto, stagliandoli sullo sfondo bianco della pagina e, per analogia, su un abisso di silenzio, proprio alcuni dei termini più aspri (massacrato, digrignata, penetrata). Ma, per contrasto, all'esperienza della morte fa riscontro il sorgere prepotente di un istinto vitale, quasi primordiale: la sospensione e la tensione si sciolgono quando la comparsa della proposizione principale (ho scritto /lettere piene d'amore) significa il bisogno di pensare all'amore e subito dopo il viscerale attaccamento alla vita. È questo un movimento ricorrente nell'Allegria (in singoli testi e nel complesso della raccolta), che possiamo cogliere anche in un altro dei componimenti che rappresentano con crudezza realistica la condizione di guerra: in Pellegrinaggio l'immagine del «seme / di spinalba» apre una prospettiva sull'infanzia alessandrina del poeta (cfr. la nota) e crea un moto di reazione (illusione, coraggio, mare) nell'uomo.
All'inizio l'esperienza di Ungaretti è legata, assai più che alla cultura poetica italiana, a quella francese (e non solo letteraria) recente, fra Guérin e Laforgue, Cendrars, Apollinaire e Reverdy; e certo è stata anche questa extraterritorialità culturale a permettergli, come già in minore a Marinetti, di aggredire i nostri istituti formali con un tale urto rivoluzionario. Strumento fondamentale di questa rivoluzione è la metrica dell'Allegria: che disgrega il verso tradizionale in versicoli, frantumando il discorso. Ne viene dilatata la forza evocativa del singolo vocabolo che può essere quindi attinto a un-lessico del tutto «normale», anti-letterario e coinvolgendo nella significazione, ben più profondamente che nella poesia tradizionale, pause di silenzio e spazi bianchi, marcati e resi ancora più polivalenti dall'assenza di punteggiatura. Parola e silenzio stanno l'una all'altro come rivelazione ad attesa di rivelazione: scriveva Ungaretti nel Commiato che chiude Il porto sepolto: «Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso». Ne deriva che il messaggio ungarettiano è sempre di natura potentemente suggestiva, irrazionale, quasi magica: ciò cui contribuisce l'uso su larga scala, e originalissimo, dell'analogismo moderno (tipo «la notte più chiusa / lugubre tartaruga / annaspa») che il poeta svilupperà ulteriormente nel Sentimento distanti. E ne deriva una conseguenza d'ordine generalmente elocutivo, nel senso che l'importanza delle pause e dei suggerimenti intonativi predispone potenzialmente questa poesia alla recitazione o declamazione (decisiva al proposito la straordinaria dizione del poeta stesso); più profondamente ancora: ne disvela l'intima natura teatrale. Annotava De Robertis: « È forse l'estremo grado a cui è arrivata la poesia letta e, nel tempo stesso, il principio, l'embrione di una poesia che domani torni a esser detta». La metrica franta dell'Allegria non è che l'equivalente prosodico di quella ricerca della parola essenziale, in cui sta la maggior novità, umana prima che stilistica, della raccolta, e che può portare il poeta a enunciati ridottissimi come il famoso «M'illumino / d'immenso.
Sentimento del Tempo, La Terra Promessa
Dopo l'esperienza rivoluzionaria dell'Allegria, dopo la ricerca di una parola pura ed essenziale, che si levi dal silenzio, come la parola dell'uomo originario, Ungaretti lentamente riscopre le virtualità discorsive e melodiche del linguaggio poetico e il fascino della tradizione. Si tratta di una regressione o di un progresso? I critici, concordi nel riconoscere la straordinaria importanza storica dell'Allegria, si dividono nella valutazione delle successive fasi della lirica ungarettiana, di cui forniamo qui una campionatura minima nell'ambito di quei testi che, per linguaggio e ansia metafisica, poterono costituire fonte di suggestione per gli ermetici.
L'isola, o della poesia.
Testo per sua natura vago e polisenso, potenzialmente ricco di implicazioni metafisiche, L'isola potrebbe addirittura suggerire un'interpretazione in chiave di documento di poetica.
Qui si parla di un approdo ad un'isola i cui connotati mitici e metafisici sono una palese legittimazione dell'accostamento all'«isola fatale» di Sirene. Quest'isola è poi un concentrato di luoghi letterari (tematici e stilistici) della tradizione classica (l'Arcadia, le ninfe e i pastori, ecc.) e della più recente tradizione simbolista: dalla metafisica evanescenza del paesaggio allo stile oscuramente allusivo, dal segno impalpabile rivelatore di una presenza - qui un mallarmeano frullo d'ali, in Valéry, ad esempio, il suono dei passi - all'immaginario irrealistico, metaforico e sinestetico (stridulo batticuore, liscio tepore, erano un vetro levigato da fioca febbre). Se ne può forse arguire che il misterioso visitatore sia il viaggiatore che si è messo per mare nel componimento precedente, il poeta cioè sospinto dall'ispirazione, che trova ora un approdo (già prefigurato del resto in Sirene) nel territorio del mito classico (che riecheggerà in tanti testi del Sentimento del tempo) e più in generale della tradizione sia remota che recente. La larva-ninfa potrebbe essere, come la sirena, non solo un residuo inerte del classicismo, ma una simbolica incarnazione della poesia. Espressioni come «languiva e rifioriva» e «da simulacro a fiamma vera / errando», per cui si è sospettato un sovrasenso simbolico, potrebbero allora proprio alludere all'ispirazione e alla poesia, che trova o crede di trovare, dopo il «languore» e un'incertezza di fondo (incertezza di sé, dei propri modi e delle proprie forme), una nuova strada e un nuovo vigore («fiamma vera»).
Una dimensione metafisica. Naturalmente, questa non esclude altre interpretazioni, che identifichino ad esempio nel 'visitatore' il naufrago dell'Allegria (Allegria di naufragi: «E subito riprende / il viaggio / come / dopo il naufragio / un superstite / lupo di mare») e cioè l'uomo in prospettiva esistenziale, che trova un approdo metafisico (stabile?), e nella mitica isola fuori dal tempo identifichino appunto la dimensione metafisica (le connotazioni letterarie varrebbero solo come segnale di irrealtà, di metafisicità).
Una svolta.
Indipendentemente dall'interpretazione dell'Isola ungarettiana fornita, di per sé il linguaggio, lo stile (da notare le inversioni), l'oscurità, il simbolismo dei due componimenti riprodotti testimoniano il mutamento di direzione che Ungaretti gradualmente viene attuando dopo l'Allegria e che poi persegue in varie forme, anche assai diverse da queste (l'ultimo Ungaretti, ad esempio, riconquistata la fede, scriverà poesie palesemente religiose). Le caratteristiche tematiche e stilistiche dei componimenti prescelti, proprio perché si rifanno alla tradizione simbolista, costituiscono una suggestione immediata per la poesia ermetica, che a questo secondo Ungaretti - più che a quello dell'Allegria - guarderanno come a un possibile, e vicino, padre spirituale.
Su questa svolta ecco la testimonianza di Ungaretti stesso:
Le mie preoccupazioni in quei primi anni del dopoguerra - e non mancavano circostanze a farmi premura - erano tutte tese a ritrovare un ordine, un ordine anche, essendo il mio mestiere quello della poesia, nel campo dove per vocazione mi trovo più direttamente compromesso. In quegli anni, non c'era chi non negasse che fosse ancora possibile, nel nostro mondo moderno, una poesia in versi. Non esisteva un periodico, nemmeno il meglio intenzionato, che non temesse ospitandola, di disonorarsi. Si voleva prosa: poesia in prosa. La memoria a me pareva, invece, una àncora di salvezza: io rileggevo umilmente i poeti, i poeti che cantano. Non cercavo il verso di Jacopone o quello di Dante, o quello del Petrarca, o quello di Guittone, o quello del Tasso, o quello del Cavalcanti, o quello del Leopardi: cercavo in loro il canto. Non era l'endecasillabo del tale, non il novenario, non il settenario del talaltro che cercavo: era l'endecasillabo, era il novenario, era il settenario, era il canto italiano, era il canto della lingua italiana che cercavo nella sua costanza attraverso i secoli, attraverso voci così numerose e così diverse di timbro e così gelose della propria novità e così singolari ciascuna nell'esprimere pensieri e sentimenti: era il battito del mio cuore che volevo sentire in armonia col battito del cuore dei miei maggiori di una terra disperatamente amata. Nacquero così, dal ' 19 al '25, Le Stagiona; La fine di Crono, Sirene, Inno alla Morte, e altre poesie nelle quali, aiutandomi quanto più potevo coll'orecchio, e coll'anima, cercai di accordare in chiave d'oggi un antico strumento musicale che, reso così di nuovo a noi familiare, hanno in seguito, bene o male, adottato tutti.
Il dolore
Il sentimento del tempo e il rapporto tra contingente ed eterno, l'esperienza meditativa che sostiene e innalza la poesia della sua seconda raccolta torneranno intrise di echi autobiografici nella raccolta Il dolore, che comprende liriche scritte dal'37 al '46 e trova nelle sezioni "Giorno per giorno" e "Roma occupata" i suoi più alti esiti poetici.
La prima raccoglie 17 liriche in memoria del figlio Antonietto morto in Brasile: vi figurano la rievocazione del bimbo morente, il costante ricordo nella prospettiva della memoria, la perennità di un affetto e di un dolore che il tempo non lenisce, la malinconia indimenticabile di certe aperture paesistiche.
I lutti familiari, che costituiscono qui materia del poetare, comprendono anche la morte del fratello, l'unico testimone rimasto dell'infanzia del poeta. La vita appare ad Ungaretti intrisa di violenza e sofferenza e con una fine ineludibile.
Nonostante i temi dolorosi trattati, emerge tuttavia sommesso un sentimento di fiducia e di speranza verso la vita e gli uomini, un recupero di religiosità non ortodossa, ma genericamente umana. Il poeta lungi dall'esprimere isolamento debolezza e passività, manifesta forza e solidarietà verso gli altri uomini
Fonte: http://studio.scuolacarra.org/poeti900/ungarettiridottoI.doc
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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Giuseppe Ungaretti vita opere riassunti brevi
GIUSEPPE UNGARETTI (1888-1970)
VITA: la biografia di Ungaretti la possiamo considerare suddivisa in tre fasi fondamentali, strettamente legati alla sua attività poetica.
- 1 fase: nasce ad Alessandria d'Egitto da genitori toscani, e li vive la sua giovinezza frequentando le scuole superiori- Nel 1912 lascia l'Egitto diretto in Italia, ma va a finire gli studi a Parigi dove frequenta la Sorbina e il College de France. In questa città frequenta soprattutto pittori (Picasso, Modigliani, ecc.) e scrittori (Apollinare, Palazzeschi, ecc) che insieme rappresentano l'avanguardia letteraria e artistica francese e italiana. Due anni dopo torna in Italia per prendere parte alla prima guerra mondiale come volontario. E' in questo momento che nascerà la sua prima raccolta di poesie "L'Allegria" che verrà pubblicata nel 1925. Sono delle poesie, alle volte brevissime che fissano i suoi dolorosi ricordi della guerra. Quella di Ungaretti è una poesia nuova, pura che aprirà la strada alla poesia del 1900, in particolare all'ermetismo.
- 2 fase: nel 1928 in seguito ad una crisi religiosa si avvicina alla fede cristiana. Nel 1933 esce una nuova raccolta di poesie "Sentimento del tempo". Questa è divisa in due parti, nella prima canta l'amore per il paesaggio laziale, mentre nella seconda i temi riguardanti il destino dell'uomo e la civiltà che si spegne. Molte liriche sono dai contenuti molto difficili, e oltretutto scritte secondo una metrica ben precisa, perciò tornando indietro nel tempo e ricalcando le orme di Dante, Petrarca, ecc.
- - 3 fase: nel 1936 Ungaretti ¬ chiamato ad occupare la cattedra di Italiano all'università di San Paolo del Brasile. Accetta ma dopo tre anni gli muore il figlio di 9 anni Antonietto per un appendicite malcurata, E' un dolore immenso per il poeta che ne rimarrà segnato per il resto della vita scrivendo su questo fatto pagine di immenso dolore. Nel 1942 torna in Italia martoriata dai bombardamenti, di nuovo anche se indirettamente stavolta rivive il dolore della guerra. Terminata la guerra pubblica un altra sua raccolta "Il Dolore", dove oltre ad affiorare l'angoscia per la morte del figlio, soffre anche tantissimo per l'immane tragedia bellica appena finita. In questa raccolta Ungaretti ritorna a scrivere liriche più aperte e semplici, perciò di più facile interpretazione. Nel 1950 uscirà la raccolta di poesie "La terra promessa", e nel1960 "Il taccuino del vecchio". Scrisse anche molte prose e curò delletraduzioni dallo spagnolo e dall'inglese. Morì a Milano all'età di 82 anni il primo giugno 1970.
L'ERMETISMO: nell'ambito delle avanguardie del primo'900 in Italia si affermò l'ermetismo, una corrente letteraria sorta alla fine degli anni '20 e che modificò profondamente la poesia, 1 poeti cercarono di evadere da uno stile d'annunziano e dai crepuscolari, per avvicinarsi il più possibile al simbolismo e postsimbolismo francese che stava diffondendo in tutta Europa una poesia pura, giusta, scavata nell'anima, Non più una poesia legata a versi, rime e metrica, ma libera, scarna, generata da un continuo colloquio con se stessi. In queste poesie la parola e' ridotta all'essenziale e si è svicolati dalle regole grammaticali.
L'ALLEGRIA (1^fase)
E' la prima raccolta di Ungaretti quella in cui compaiono le liriche più nuove ed originali. E' divisa in più parti "Prime", "Il porto sepolto", "Naufragi", "Girovago", "Ultime". In questa raccolta troviamo tutte le innovazioni portate dall'Ungaretti alla poesia:
- abolisce la punteggiatura lasciando solo il punto interrogativo, Per far fare al lettore una pausa lascia degli spazi bianchi.
- elimina tutte le parole strettamente poetiche, sostituendole con quelle che vengono parlate e capite da tutti.
- sconvolgela sintassi rompendo i "sintagmi", cioè dei gruppi di parolelegati logicamente tra loro, Facendo questo le parole staccate da ogni contesto logico assumono un suo significato attirando su di esse l'attenzione del lettore come vuole il poeta.
- rifiuta le forme metriche tradizionali, infatti scrive con dei versi liberi.
- va contro allo stile di D'Annunzio, dei crepuscolari e de¡ futuristi, usando frammenti di immagini ed espressioni scarne pero vive nell'anima.
- per le sue poesie prende spunto dalla sua vita di soldato durante la prima guerra mondiale:
- le sofferenze patite in guerra.
- la caducità della vita.
- l'angoscia della morte che incombe
- la fratellanza umana.
- la solitudine.
- il dolore.
- il desiderio di pace , di serenità, di sentirsi in armonia con la natura
SAN MARTINO DEL CARSO
COMMENTO: in questa poesia come in quasi tutte quelle di Ungaretti ci sono soloparole essenziali per esprimere grazie ad un ritmo spezzato il senso tragico della distruzione, del paese secondo il poeta più distrutto. Un paesino del Carso, San Martino, viene distrutto dalla furia della battaglia, molti amici sono morti uccisi dalla cannonate, ma ora mentre il poeta ricorda sono ancora tutti vivi nel suo cuore.
ANALISI DEL TESTO: la distruzione di un paesino diventa per il poeta un dolore enorme. E' una lirica povera di sentimenti, solo con il ricordo il poeta rivive la battaglia, lo strazio e il dolore provato poche ore fa durante la battaglia. La poesia è basata sul parallelo fra il paese ridotto a brandelli dalle bombe e il cuore del poeta straziato dal dolore.
Di queste case
non ¬ rimasto
che qualche
brandello di muro è una metafora che richiama l’immagine di un corpo lacerato
Di tanti di tante persone
che mi corrispondevano che ricambiavano il mio affetto
non è rimasto non è rimasto
neppure tanto neppure i brandelli dei corpi straziati dalle canzonate
Ma nel cuore ma nei mi. cuore
nessuna croce manca tutti quei morti sono presenti
E' il mio cuore cuore e paese è un’altra metafora, e vuol dire che ogni croce è presente nella sua mente
il paese più straziato. che ogni brandello di muro gli ricorda quelle strazianti e dolorose ore.
SONO UNA CREATURA
COMMENTO: il San Michele (luogo della poesia) è un monte del Carso ricordato per le sanguinose battaglie combattute durante la prima guerra mondiale, E' una zona aspra e arida. Formato da rocce porose, la pioggia non ha tempo a toccare terra che già viene assorbita dal terreno permeabilissimo. Simile all'acqua che viene immediatamente assorbita dal terreno è il pianto del poeta, un pianto senza lacrime, un dolore intimo che prosciuga l'anitna. Quasi come se la pace della morte si debba scontare con le sofferenze della vita.
ANALISI DEL TESTO: è una poesia desolata, quasi a rispecchiare il paesaggio del Carso così arido, freddo. Troppo ha sofferto il poeta e la sua anima brucia ancora ma non ha più lacrime per piangere. Il suo dolore lo possiamo paragonare a quella pietra così senza vita. Vivere è uguale a soffrire, la sofferenza è uguale solo con la morte. I versi sono brevi e la immagini ridotte all'essenziale. Questo è uno stile completamente nuovo.
Come questa pietra i due conte (fino all'inizio della poesia e l'altro all'inizio della seconda strofa) stabiliscono un rapporto tra il paesaggio
del San Michele arido e il pianto del poeta che non si vede perché prosciugato dalla sua anima.
così fredda
così dura
così prosciugata prosciugata sta a significare questa terra arida come gli occhi del poeta oramai senza lacrime
così refrattaria refrattaria cioè che respinge ogni forma di vita come il poeta respinge ogni conforto
così totalmente
disanimata Senza nessuna forma di vita
come questa pietra la pietra che non lascia acqua in superficie
è il mio pianto e come il piantodei poeta senza lacrime
che non si vede il pianto che non si vede cioè essendo, senza lacrime è chiuso nel suo cuore e perciò è più doloroso
La morte la pace che ci aspetta con la morte
si sconta deve essere pagata
vivendo con le sofferenze della vita
SENTIMENTO DEL TEMPO (2^fase)
Nel 1912 a causa di una profonda crisi religiosa Ungaretti si avvicinò alla fede cristiana, questo fatto influì molto su questa II fase. In "Sentimenti del tempo" al contrario di "Allegria" non ci sono più grossi cambiamenti di tipo sintattico, ma si torna al lessico e alla metrica classica. Questa è però la piena maturazione poetica dell’Ungaretti. In questa fase domina l'uomo in pena che si sente sperduto di fronte al mistero dell'esistenza. Queste poesia sono fondate sulla meditazione del tempo che trascorre veloce , sulla morte, sui miti e sui temi astratti.
PAESAGGIO
COMMENTO: questa poesia scritta nel 1920 rappresenta la descrizione di un paesaggio in più momenti diversi della giornata. Però man mano che passa il tempo il paesaggio diventa più triste e questi vengono visti come dei momenti della vita che si consumano in crescente malinconia. Finchè al calare della notte, quando i rumori si allontanano e si rimane soli, l’uomo può mettere a nudo la sua stanchezza e la sua delusione.
Mattina
Ha una corona di freschi pensieri,
splende nell'acqua fiorita.
Meriggio
Le montagne si sono ridotte a deboli fumi e
l'invadente deserto formicola d'impazienze e
anche il sonno turba e anche le statue si turbano.
Sera
Mentre infiammandosi s'avvede ch'è nuda, il
florido carnato nel mare fattosi verde bottiglia,
non è più che madreperla.
Quel moto di vergogna delle cose svela per un momento,
dando ragione all'umana malinconia,
il consumarsi senza fine di tutto.
Notte
Tutto si è esteso, si è attenuato, si è confuso.
Fischi di treni partiti.
Ecco appare, non essendoci più testimoni,
anche il mio vero viso stanco e deluso.
IL DOLORE (3^fase)
Questa fase si ha dopo che il poeta ha perso il figlio di 9 anni in Brasile e in Europa è scoppiata la II guerra mondiale. Ungaretti torna in Italia per assistere a questa immane tragedia. Per lui sono momenti di sofferenza, di angoscia, di paura e di rovina.
NON GRIDATE PIU'
COMMENTO: Sacro è il silenzio delle tombe e sacre sono le spoglie dei morti che dall'aldilà ci parlano con una voce impercettibile. Questa la si può vedere come il fruscio dell'erba che cresce qualora l'uomo non la pesti. Il poeta predica pace tra i vivi e rispetto per i morti. Questa poesia è stata scritta dopo che era stato bombardato il cimitero di Verano a Roma.
Cessate di uccidere i morti,
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire,
se sperate di non perire,
Hanno l'impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell'erba,
lieta dove non passa l'uomo
Fonte: http://web.tiscalinet.it/helpscuola/UNGARETTI.DOC
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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Giuseppe Ungaretti vita opere riassunti brevi
1888 - Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto (dove, dodici anni prima, era nato anche Marinetti) da genitori lucchesi: il padre, che lavora come operaio nel canale di Suez, muore quando il poeta ha appena due anni.
1912 Ungaretti si trasferisce a Parigi, dove studia per due anni alla Sorbona, seguendo tra l’altro le lezioni del filosofo Bergson, senza tuttavia laurearsi. Intanto frequenta i maggiori esponenti delle avanguardie: Apollinaire, Picasso, De Chirico, Modigliani e, nei loro frequenti soggiorni a Parigi, Soffici, Papini, Palazzeschi, Marinetti, Boccioni.
1915 Partecipa alla campagna interventista ed infine si arruola volontario combattendo sul Carso. Pubblica l’anno dopo la raccolta Porto Sepolto.
1918-21 Vive ancora a Parigi, lavorando presso l’ambasciata italiana e scrivendo corrispondenze per il "Popolo d’Italia" (il giornale di Mussolini). Pubblica con Vallecchi, a cura di Ettore Serra, l'edizione provvisoria della raccolta Allegria di Naufragi (1919).
1931 Nella raccolta L'Allegria convergono le prime due raccolte.
1933 Pubblica la raccolta Il sentimento del tempo
1937-39 Gli è offerta la cattedra di letteratura italiana all’Università di San Paolo in Brasile.
In Brasile è colpito da un grave lutto: la morte del figlio Antonietto, di soli nove anni, dovuta ad una appendice mal curata. Due anni prima era morto il fratello Costantino. Di queste e delle altre dolorose esperienze di quegli anni lasciò una profonda traccia nella prima raccolta poetica del dopoguerra Il dolore del 1947.
1970 Dopo una vecchiaia attivissima e costellata di viaggi, premi, conferenze– nella quale Ungaretti recita volentieri la parte di protagonista e di simbolo enfatico del "poeta", muore a Milano. L’anno prima è uscita la raccolta di tutte le sue poesie col titolo Vita d’ un uomo.
Ungaretti è famoso per la sua recherche, la sua sperimentazione metrico-stilistica: egli, convinto che le parole troppo usate abbiano perso di significato, ha cercato di restituire loro purezza e freschezza, pregnanza di senso. Ha perciò frantumato il verso tradizionale. La poesia italiana si è retta da Dante e Petrarca fino a Leopardi sull’endecasillabo (11 sillabe) e sul settenario (7 sillabe). Ungaretti prende questi versi e li “spezza”, isolando le parole cui vuole dare rilievo.
Es.
Se la lirica Soldati (1918) fosse scritta in modo consueto avremmo due settenari:
Si sta come d’autunno
sugli alberi le foglie
Dunque avremmo 7 + 7
Ma Ungaretti ha scritto invece
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
isolando così le parole autunno e foglie perché sono quelle “chiave”: se ora si affiancano (o leggono in verticale) i termini col titolo Soldati, si svela il senso della lirica. I soldati per analogia sono accostati a foglie e ad autunno, cioè alla morte, e simboleggiano la precarietà dell’essere umano.
Perché la prima raccolta s’intitola Il porto sepolto?
Se si legge la poesia omonima s’intende. Ma bisogna premettere che Ungaretti a 16 anni aveva conosciuto due ingegneri francesi che gli avevano svelato che Alessandria d’Egitto esisteva già prima che la fondasse ufficialmente Alessandro Magno. A testimoniarlo sarebbe stato un porto sepolto sott’acqua.
Allora Ungaretti ha immaginato che il poeta sia una sorta di palombaro, di sub, che scende verso questo porto nascosto (alla ricerca del noumeno?) e che poi, risalendo su, comunica (disperde) quello che ha scoperto agli altri. Tuttavia quello che scrive e scopre è un nulla rispetto all’inesauribile segreto che è sotto la superficie. La poesia non può dare tutte le risposte che l’uomo attende da essa. Le domande sono di più….
Mariano il 29 giugno 1916
Il porto sepolto
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde.
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d'inesauribile segreto.
In Veglia (23 dicembre 1915) ricorda invece una nottata passata vicino a un compagno colpito in battaglia: questi è stato preso in pieno petto e digrigna ancora i denti, il corpo irrigidito verso la luna, le mani gonfie e violacee. Ungaretti ne è così impressionato che l’immagine gli penetra nel cervello. Ma invece di perdersi d’animo proprio quella notte, vicino a chi è morto, capisce quanto valga la vita.
Si osservi come abbia isolato i termini massacrato, digrignata, penetrata che, con gli scontri consonantici, riproducono l’effetto terribile della guerra (cfr. fonosimbolismo delle consonanti ss cr gr gn tr); invece poi negli ultimi versi tanto ci sottolinea quanto sia attaccato alla vita: le vocali (a o) si aprono e le consonanti (t n c) non si scontrano: il poeta ha imparato dalla guerra la lezione positiva che bisogna amare, soprattutto quello che potremmo perdere da un momento all’altro…
VEGLIA
Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore.
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Ungaretti, poeta–soldato, racconta insomma una vicenda storica particolarmente traumatica: la prima guerra mondiale, che egli visse in prima persona. Nella guerra, l’uomo è posto di fronte a situazioni, esigenze e sentimenti elementari e sente la presenza costante della morte: nonostante questo –o forse proprio per questo– egli riesce ad attaccarsi ad un insperato e disperato vitalismo, a compiere una "riscoperta primordiale dell’innocenza (...) e della natura, per la quale l’individuo si sente docile fibra dell’universo" (Mengaldo).
Così si spiega il significato dell’ossimorico titolo Allegria di naufragi: il naufragio è la guerra, appunto, che ti mette di fronte a paura, dolore, morte. Ma è allora pure che scopri quanto sia importante la vita (ecco l’allegria!). Allora si scopre la solidarietà col compagno di battaglia e persino l’umanità del nemico.
Fonte:http://www.liceogrigoletti.it/docenti/doc07/files/Ungaretti.doc
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Giuseppe Ungaretti vita opere riassunti brevi
UNGARETTI
Nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori italiani. .Nella città africana frequenta la scuola ed inizia ad occuparsi intensamente di letteratura, leggendo i maggiori scrittori moderni e contemporanei , da Leopardi a Nietzsche.
Nel 1912 si reca a Parigi dove frequenta la Sorbona e approfondisce la conoscenza della poesia decadente e simbolista.Da Baudelaire, da Mallarmé, dal suo amico Apollinaire, Ungaretti impara l’arte della versificazione sintetica, concentrata attorno a pochi vocaboli, a poche immagini simboliche. Nel 1914 viene in Italia per partecipare alla guerra (nel ’15 andrà a combattere sul Carso).
Nel 1916 pubblica la sua prima raccolta poetica IL PORTO SEPOLTO, testimonianza degli orrori e delle sofferenze procurati dal conflitto.
Il poeta continua a lavorare su questi testi e nel 1919 ripubblica queste poesie con l’aggiunta di nuove liriche nella raccolta ALLEGRIA DI NAUFRAGI. Nel 1931 vi è una nuova edizione che contiene le poesie delle prime due oltre a nuove poesie: L’ALLEGRIA.
Nel 1933 pubblica una nuova raccolta poetica: SENTIMENTO DEL TEMPO.
Nel 1936 è chiamato a ricoprire la cattedra di letteratura italiana presso l’università di S.Paolo in Brasile, incarico che occuperà fino al 1942, quando, rientrato in Italia, inizierà ad insegnare letteratura italiana presso l’università di Roma.
L’edizione definitiva dei suoi versi è pubblicata nel 1969 con il titolo VITA DI UN UOMO, in cui si definisce “uomo di pena “. Montale parlò di “male di vivere”: pare che non ci possa essere poesia senza dolore.
Muore nel 1970.
Il porto sepolto
Le liriche sono tutte datate come se appartenessero a un diario di guerra. Il componimento che dà il titolo a questa prima raccolta, Il porto sepolto, assume una particolare importanza perché esplicita la poetica ungarettiana. E’ una dichiarazione poetica
Il porto sepolto
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti (“canti” è sinonimo di poesia)
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla (“nulla” = ciò a cui arriva la poesia è un messaggio apparentemente inutile)
d’inesauribile segreto. (=il messaggio però rivela il mistero della vita degli uomini)
Versi liberi, due strofe senza rima e senza punteggiatura. E’ un fraseggiare conciso, sintetico, senza subordinate.
Nella prima strofa si allude ai tre momenti in cui è racchiuso il segreto della creazione artistica: il viaggio, il ritorno, la dispersione.
La poesia è un viaggio verso il porto sepolto, cioè sommerso nel profondo La poesia è un inabissamento.
L’immagine del porto sepolto è dettata dal ricordo dell’antico porto che si trovava dinnanzi ad Alessandria prima della conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno.
Il poeta si inabissa nella profondità del suo io alla ricerca di significati assoluti. (non come Saba che assegna alla poesia la funzione di far chiarezza dentro di sé).Da lì, da questa profondità, attinge i suoi canti e poi ritorna alla luce. Ma nel momento in cui riporta alla luce la poesia, il poeta avverte la dispersione, avverte cioè che la parola poetica non può essere comunicativa.
La parola assoluta è come un lampo che il poeta coglie dentro di sé. Per Ungaretti bisogna ritrovare la parola poetica nella profondità abissale dell’io perché essa possa riacquistare il suo valore essenziale e primigenio, in quanto l’uso e la comunicazione di secoli ha fatto perdere alla parola il suo valore originario
Trova l’essenzialità attraverso una poesia scombinata, dove riduce all’essenziale il testo poetico. La parola, da sola, in uno spazio bianco emerge come da un abisso ( parola isolata)Rinuncia al verso tradizionale e spezza l’endecasillabo ricostruendolo in verticale, spezza la sintassi, elimina la punteggiatura, usa costantemente l’analogia come illuminazione che accosta a termini lontanissimi, analogia difficile perché solo il poeta può arrivare alla parola nel suo valore assoluto.
Dà alla parola un valore sacrale: la poesia è infatti un’esperienza che mette in contatto per un attimo con l’Assoluto.
L’esperienza che conduce Ungaretti alla ricerca della parola assoluta, essenziale, originaria è la GUERRA, in cui l’uomo è posto di fronte a situazioni elementari essenziali: la vita e la morte. L’esperienza della trincea e della sua essenzialità lo porta alla ricerca della parola scarnificata, originaria, ma si accorge che questa parola si autoesclude dalla comunicazione, non è comunicativa, perché nel momento in cui affiora si disperde.
Nella seconda strofa vi è il contenuto più prezioso che resta della poesia ed è un NULLA d’inesauribile segreto : il poeta ha colto nella profondità l’assoluto e resta il nulla, infatti il “porto sepolto” e ciò che di segreto e di indecifrabile rimane in noi, cioè quel nulla; è il vissuto profondo del soggetto, è il buio abissale di sé ; è il miracolo, il mistero da cui nasce la poesia.
La sua è, quindi, una poesia sacrale, oracolare, assoluta. Questa è la sua dichiarazione poetica.
Allegria di naufragi
VEGLIA. Fa parte della seconda raccolta Allegria di naufragi.
Il naufragio è la guerra e la violenza, la morte, il dramma. L’allegria è il senso della vita, più intenso quando si sente a noi vicina la morte. E’ il desiderio di riprendere a vivere quando siamo stati vicini alla morte. La guerra è un azzeramento della vita. L’esistenza nella guerra è solo biologica, gli uomini sono solo carne da cannoni. Di fronte alla morte
- l’uomo sente un insopprimibile e disperato vitalismo;
- sente la solidarietà e la fratellanza con i compagni di trincea (nemici compresi).
Il testo è in versi liberi, caratterizzati dal predominio del linguaggio espressionistico, cioè crudo, realistico, deformato.
Situazione cruda : la vicinanza con un cadavere durante la notte. Non c’è nessun eroismo nel trattare il tema della guerra; la guerra è presentata come qualcosa di macabro. La crudeltà della guerra è resa da participi passati che sembrano quasi rimare con la parola “nottata”. E questo “silenzio” esterno ed interiore del poeta è anche il luogo da cui esce la parola poetica e di fronte alla morte sgorgano parole piene d’amore e un attaccamento fortissimo alla vita.
Negli ultimi tre versi “tanto” è posto da solo a costituire un verso e mostra appunto la prepotente riaffermazione della vita.
La guerra è denudata da ogni mito ed eroicità ed è presentata nella sua tragicità come pura esperienza esistenziale.
La vita al fronte diventa la vita in assoluto e la rivelazione all’uomo della propria fragilità.
SAN MARTINO DEL CARSO
Passiamo dalla visione di un paese distrutto dalla guerra alla riflessione sulla fine di persone che il poeta amava. Delle case non c’è più nulla, ma le croci sono tutte nel suo cuore, perché egli è “uomo di pena” e ha fatto esperienza della guerra, del dolore, della morte di coloro con i quali aveva corrispondenza affettiva (“corrispondevano”: contraccambiavano i sentimenti di affetto).
L’Analogia PAESE/CUORE è folgorante, efficacissima: “E’ il mio cuore il paese più straziato”.Il poeta ha eliminato tutti i passaggi dispersivi per arrivare a questo passaggio analogico velocissimo.Il cuore del poeta è però, anche il luogo da cui si può ricominciare, perché da esso fiorisce la poesia.
Il linguaggio è concreto (“brandello”, “casa”, “croce”), unito al linguaggio metaforico (“cuore)
La compattezza che caratterizza questa poesia è dovuta alla capacità di collocare le parole secondo calcolate simmetrie:Di queste case/ non è rimasto(vv.1-2) Di tanti/…non è rimasto ( vv.5-6); Di tanti /…neppure tanto (v.8); Ma nel cuore…(v.9) E’ il mio cuore…(v.!!). La simmetria riguarda anche la misura delle strofe, composte a due a due da un uniforme numero di versi. I distici sono formati rispettivamente da un quaternario e da un settenario, che, letti insieme, possono assumere la cadenza scorrevole dell’endecasillabo.
Sentimento del tempo
La successiva raccolta è Sentimento del tempo, che rivela una sostanziale differenza a livello stilistico e formale rispetto all’Allegria.
L’Allegria ha un andamento diaristico, mentre qui il tema è quello del tempo e il titolo fa riferimento al sentimento della storia umana, che è percepita come l’espressione della fragilità che si consuma inevitabilmente nella morte.
Ungaretti dice che i suoi modelli sono due:
- Leopardi, perché aveva sentito che la civiltà era un continuo processo di decadenza e non di
progresso;
- Petrarca, perché visse in un periodo di transizione tra il Medioevo e l’Umanesimo. In quel
periodo di incertezze, di cui è l’espressione, Petrarca ricercò nella cultura classica le radici per le lingue vive.
Ungaretti riprende questi due poeti perché entrambi si rivolgevano all’antico, alla tradizione.
In questa raccolta riprende la tradizione e ritorna alla metrica (anche se usa il verso libero), ritorna alla punteggiatura, alla sintassi più ampia rispetto alla sintassi di semplici enunciati lapidari, usa un lessico alto che tende a sostituirsi al lessico scabro e concreto, quotidiano delle precedenti raccolte, usa insomma un lessico più prezioso.
Ciò che resta, e diventa più enigmistico, è l’uso dell’analogia; il connettivo COME scompare del tutto.
Il poeta vuol rendere il sentimento del tempo attraverso il mutare delle stagioni
DI LUGLIO
Quando su ci si butta lei, lei :l’estate
si fa d’un triste colore di rosa
il bel fogliame.
Strugge forre, beve fiumi, strugge forre: erode le pareti in cui scorrono i corsi d’acqua
macina scogli,splende, macina : sgretola, corrode
è furia che s’ostina, è l’implacabile,
sparge spazio, acceca mete, aumenta l’estensione dei luoghi impedisce la visione di limiti o confini
è l’estate e nei secoli
con i suoi occhi calcinanti calcinanti :che riducono a calce per il calore che emanano
va della terra spogliando lo scheletro rende più nudo lo scheletro della terra(appunto perché”strugge forre,
beve fiumi, macina scogli…”)
Il sentimento del tempo e del suo inevitabile trascorrere riguarda in questa lirica la stagione estiva, vista come momento che, nella pienezza e nell’esplosione della sua vitalità,corrode e distrugge la stessa natura.Tema della distruzione operata dal tempo. L’estate è l’espressione della metamorfosi continua che è la storia.
Il soggetto, posticipato al verso 8, segue la descrizione degli effetti dell’arsura estiva resi più evidenti dall’allitterazione iniziale (“strugge forre”, “sparge spazio”) Il primo verso, che si traduce nell’uso di un verbo “forte” associato a particelle monosillabiche (“su ci si butta lei”) introduce un ritmo aggressivo e spezzato.Il periodare è breve, basato su rapide sequenze enumerative. Dopo l’introduzione del soggetto il ritmo si placa e si allenta perché il poeta , dopo aver descritto l’azione dirompente dell’estate , riflette sugli effetti prodotti da tale azione .
Questa poesia contiene un esempio significativo di barocco ungarettiano, come ricerca di uno stile più ricco e ridondante, per l’uso dell’analogia tipica del Barocco e per una maggiore enfasi.Il Barocco ha sbriciolato il Classicismo per ricostruire un nuovo stile. Visti in chiave allegorica questi versi potrebbero rappresentare una stagione della vita umana, LA MATURITA’,, che , esplodendo si consuma.
Fonte: http://digilander.libero.it/quintai2/ita/09/Ungaretti.doc
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ANALISI DEL TESTO
Ungaretti
In memoria
Analizza la seguente poesia di Giuseppe Ungaretti:
IN MEMORIA
1 Si chiamava
2 Moammed Sceab
3 Discendente
4 di emiri (1) di nomadi
5 suicida
6 perché non aveva più
7 Patria
8 Amò la Francia
9 e mutò nome
10 Fu Marcel
11 ma non era Francese
12 e non sapeva più
13 vivere
14 nella tenda dei suoi
15 dove si ascolta la cantilena (2)
16 del Corano
17 gustando un caffè
18 E non sapeva
19 sciogliere (3)
20 il canto
21 del suo abbandono
22 L’ho accompagnato
23 insieme alla padrona dell’albergo
24 dove abitavamo
25 a Parigi
26 dal numero 5 della rue des Carmes (4)
27 appassito vicolo in discesa (5)
28 Riposa
29 nel camposanto d’Ivry
30 sobborgo che pare
31 sempre
32 in una giornata
33 di una
34 decomposta fiera (6)
35 E forse io solo
36 so ancora
37 che visse
Rispondi alle seguenti domande:
Comprensione del testo
- Chi era Moammed Sceab? Cerca di rispondere a questa domanda prendendo spunto, oltre
che dalla conoscenza della biografia di Ungaretti, dal testo della poesia.
Analisi del testo
2 Osserva la struttura metrica della poesia
3 Analizza la sintassi e la disposizione delle parole
4 Quali sono le parole chiave di questa poesia?
5 Per quali motivi Ungaretti si potrebbe identificare con Moammed Sceab, e per quali altri motivi potrebbe differenziarsi da lui?
6 Quale funzione attribuisce il poeta alla poesia?
Contestualizzazione
7 Come si inserisce questo testo nella produzione ungarettiana e nel clima culturale di inizio secolo?
SVOLGIMENTO
Moammed Sceab era un amico di Ungaretti. Pare anche che l’abbia conosciuto ad Alessandria d’Egitto, e che lo abbia rincontrato a Parigi, quando, nel 1912, Ungaretti vi giunse per completare la sua formazione culturale. Autore di questa lirica è Giuseppe Ungaretti (1888-1970), italiano, ma nato ad Alessandria di Egitto. Qui il poeta era vissuto fino al 1912 e da qui era passato a Parigi. Con lui lasciò l'Egitto un amico arabo, Moammed Sceab, innamorato della Francia, il quale però dopo qualche anno si tolse la vita. Poco dopo Ungaretti tornò in Italia e prese parte alla prima Guerra Mondiale: mentre era in trincea (a Locvizza, il 30 settembre 1916) rievocò in questa poesia, In memoria, la breve e triste vicenda del giovane amico.
1. Comprensione complessiva.
Stando a ciò che dice la poesia, quale fu la sofferenza che spinse Moammed al suicidio? Con pochissime parole, il poeta ci fa capire quali erano le condizioni di vita del giovane immigrato: ricomponi il quadro della sua vita e descrivilo.
Si possono fare considerazioni su situazioni simili dei nostri giorni?
2. Analisi del testo.
1. Nella poesia si possono distinguere tre parti, che si riferiscono a tre tempi diversi: alla vita e al tormento di Moammed; al suo funerale; al poeta che lo ricorda. Individua queste tre parti e riassumine distintamente il contenuto.
2. Nella seconda e nella quarta strofa si accenna alla vita e alle abitudini dei nomadi: questi si possono considerare davvero dei senza Patria (nota la maiuscola) e degli individui senza identità?
3. Rileggi la quarta strofa (vv 18-21): in che modo, secondo il poeta, lo sventurato giovane arabo avrebbe potuto vincere la nostalgia della sua terra?
4. Al verso 26 si dice dal numero 5 della rue des Carmes: perché c'è dal e non al? Il poeta sta qui precisando l'indirizzo dove abitavano, lui e Moammed, o sta descrivendo una scena? Quale? Commenta tutta la strofa e spiega anche il significato di appassito riferito a un vicolo: per quali oggetti di solito si usa questo aggettivo, e qui con quale altro lo sostituiresti?
5. L'ultima strofa riguarda direttamente anche il poeta, che è al fronte e, mentre ricorda il suo amico, si rende conto che anche lui è di continuo davanti alla morte. Se dovesse morire, resterebbe traccia della vita di Moammed? Commenta questa circostanza.
3. Considerazioni sul linguaggio di questa poesia.
In genere la poesia presenta parole ricercate, rime evidenti e vari giochi di parole. Qui c'è molto poco di tutto ciò. Le parole sono quasi tutte comunissime (elenca quelle che ti sembrano più "banali"), gli accostamenti insoliti sono soltanto tre (sciogliere il canto; appassito vicolo; decomposta fiera). Non ci sono vere rime, ma tra i versi 6, 12 e 18 c'è un gioco di ripresa e qua e là ci sono varie assonanze o sillabe che si ripetono; è una musica molto nascosta, cerca di coglierla e trascrivi questi segnali.
Ma nella poesia di Ungaretti è fondamentale il ritmo spezzato, fattodi piccoli "gridi". Nota che i versi sono spesso brevissimi, anche di una sola parola, e che non c'è punteggiatura, ma solo spazi bianchi tra le strofe, che iniziano con la maiuscola. Rileggi nel suo insieme questa poesia e indica dove ti sembra necessario fare delle pause particolari e quali parole ti sembra di dover mettere così in risalto.
1 A Parigi Moammed deve essersi sentito emarginato, sradicato, e così è emersa in modo drammatico la sua mancanza di identità. Egli non si considerava più un appartenente alla comunità di origine, musulmana, probabilmente perché, avendo conosciuto la cultura occidentale, la giudicava arretrata e superstiziosa. Per questo si era trasferito a Parigi e aveva mutato il suo nome in Marcel, ma questo non era stato sufficiente per dargli un’altra patria: non si sentiva francese e covava la delusione nel suo cuore, senza neanche il piccolo conforto che deriva al poeta dall’esprimere la sua solitudine. Il dramma è irrisolvibile e sfocia nel suicidio di Moammed. Anche la povera cerimonia funebre, con la bara accompagnata solo dal poeta e dalla padrona d’albergo, e la deposizione nel camposanto d’Ivry suggeriscono in modo chiaro la solitudine e la desolazione che ha accompagnato questa vita.
2 La poesia è composta da strofe di diversa lunghezza, da un minimo di due a un massimo di otto versi. Anche i versi sono differenti fra di loro. Ci sono ben sei parole-verso, ed una prevalenza di versi brevi, ma vi è anche un endecasillabo (23) e un dodecasillabo (26). Ungaretti porta a compimento un processo di frantumazione dei metri tradizionali, superando il profluvio di parole della retorica dannunziana e delle cantilene crepuscolari.
3 La sintassi di questa, come di tutte le poesie del primo Ungaretti, è estremamente semplice, e le proposizioni subordinate sono rare, in quanto prevale la coordinazione sulla subordinazione. Una delle cose più importanti da notare è la mancanza di punteggiatura. Di questa si parlava nel Manifesto tecnico della letteratura futurista, ma in Ungaretti essa diventa, diversamente dai futuristi, uno strumento per comunicare essenzialità e per isolare ulteriormente le parole all’interno degli spazi bianchi. La parola si staglia all’interno della pagina, ed anche per questo riacquista un valore che aveva perso nella stagione poetica precedente (è la cosiddetta poetica della parola).
4 Già in precedenza abbiamo fatto notare che in questa poesia ci sono sei parole-verso. Tra queste, senz’altro le parole suicida e la parola Patria, significativamente in maiuscolo, come Francia, e , perfino, Francesi, hanno una funzione prevalente. Nella mancanza della patria si consuma tutto il dramma del suicida Moammed Sceab: un’esistenza emblematica di una situazione esistenziale comune a molti uomini, nel contesto spersonalizzante ed alienante della società moderna. L’uomo a cavallo tra l’ottocento e il novecento ha perso tutti i punti di riferimento che lo contraddistinguevano nelle epoche precedenti, e non ne ha trovati di alternativi. Non a caso Ungaretti intitolerà la sua raccolta di poesie del 1919 “Allegria di naufragi”, alludendo a questo fallimento sociale, oltre che personale.
5 Ungaretti potrebbe identificarsi con Moammed per la ricerca esistenziale che li ha accomunati, e li ha portati ad approdare a Parigi, allora indiscussa capitale culturale dell’Europa, in cui confluivano poeti come Apollinaire, filosofi come Bergson, pittori come Picasso, per non parlare dei futuristi italiani. Lo stesso Ungaretti in poesie come Peso, Stasera, ecc…esprime un’inquietudine profonda, una malinconia, assimilabile a quella di Moammed. L’esperienza della guerra conduce Ungaretti al fondo di questa angoscia, ma proprio da essa riparte, per il poeta, un desiderio di riemergere. L’esperienza della guerra, dice in Veglia, lo fa sentire riattaccato alla vita come non mai, allontanandolo dal fascino inquieto del suicidio. Egli, a differenza di Sceab, riesce a “sciogliere / il canto / del suo abbandono”, ed anzi la parola poetica sarà un primo appiglio su cui ricostruire una positività. Il poeta scende fino al porto sepolto e ne riemerge, portando con sé qualcosa di indecifrabile, ma che risulta essere un simbolo delle origini, che costituiscono anche il senso della vita futura. In poesie come I fiumi Ungaretti esplicita questo legame, che lo porterà addirittura, nel 1928, alla conversione, intesa come un ritorno alle proprie radici, a differenza di Moammed che “non sapeva più / vivere / nella tenda dei suoi”.
6 Il poeta, secondo Ungaretti, non elabora complessi discorsi retorici, non svolge più la funzione di poeta-vate come in Carducci e D’Annunzio. Egli annota un’esperienza, spesso in pochi frammenti di straordinaria intensità (si pensi alla poesia Mattino), talvolta in modo più dispiegato e quasi narrativo, come nella poesia In memoria, sempre però ala ricerca dell’essenziale, di quello che, pur partendo da un’espeienza personale, assurge a un valore universale, e riguarda tutti gli uomini. In questo processo la parola acquista un valore particolarmente intenso e pregnante. Alcune parole come “fratelli” “vita” “cuore” e la stessa parola “Patria” presente nella poesia In memoria riacquistano il loro significato originario e perdono tutta la carica sentimentalistico-romantica, o retorico-formale. In un certo senso Ungaretti vuole superare l’eredità dannunziana, come i crepuscolari, ma, grazie anche alla sua formazione cosmopolita ed eterogenea, opera in modo diverso, se non opposto. Mentre i crepuscolari operavano una autosvalutazione del ruolo del poeta, Ungaretti conferisce alla poesia un compito di ricostruzione di un tessuto umano dilacerato e sconnesso dal “naufragio” della civiltà europea, ben simboleggiato dalla rovina della guerra. Ungaretti scrive in una sua poesia che la parola è “scavata nella mia vita / come un abisso” proprio ad indicare questa funzione determinante della poesia nel suo itinerario di ricerca umana.
7 Questa è probabilmente una delle prime poesie di Ungaretti, e, comunque, è una delle poche della raccolta “L’Allegria” che non prende spunto dall’esperienza della guerra. Si tratta di ricordi, legati alla propria permanenza a Parigi nel 1912, quando Ungaretti ha conosciuto ed appreso la lezione dei simbolisti francesi, in particolare per le analogie ardite di Mallarmé, per le sperimentazioni di Apollinaire. Tuttavia la strada che intraprende Ungaretti è originale e altrettanto lontana dalla verbosità monocorde dei crepuscolari, quanto dagli sperimentalismi fini a se stessi dei futuristi.
note
(1) qui si intende che siano i capi delle piccole comunità beduine
(2) preghiera recitata come una nenia
(3) esprimere, enunciare, esporre la sua situazione di solitudine in una poesia
(4) il termine “rue” equivale al nostro “via”
(5) sciupato, ammuffito, vecchio
(6) il cimitero è paragonato ad un mercato in disfacimento
Fonte:http://www.mlbianchi.altervista.org/ungaretti-an_si_del_testo.doc
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