Simbolismo estetismo decadentismo
Simbolismo estetismo decadentismo
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Simbolismo estetismo decadentismo
DECADENTISMO
In Italia la corrente del Decadentismo è rappresentata da Pascoli e D’Annunzio.
D’Annunzio assorbe meglio le influenze provenienti dall’estero. La sua produzione varia a seconda della situazioni in cui si trova. Subisce una censura negli anni posteriori alla guerra.
D’Annunzio è una fonte necessaria per arrivare alla poesia contemporanea, per esempio Montale. Nel 1896 Montale afferma che la sua maturazione poetica passa attraverso D’Annunzio.
D’Annunzio ha avuto molti imitatori, soprattutto nell’ambiente della prosa.
Le novelle della Percosa risentono dell’influenza verista anche se è presente una tensione erotica e sensuale che non è presente in Verga.
Nel 1889 viene pubblicato “Il piacere” romanzo che subisce le influenze del decadentismo francese, ricerca il bello raffinato ispirandosi al romanzo “A ritroso” del 1884.
La volontà degli esteti è di allontanarsi sia dalla massa che dalla borghesia.
SIMBOLISMO E ESTETISMO
I movimenti del simbolismo e dell’estetismo si sviluppano in Francia in concomitanza ad altre correnti letterarie. Nel 1857 c’è la pubblicazione de “I fiori del male” di Baudelaire che segna l’inizio della poesia moderna, poesia che è un prodotto della società, basata sull’artificio.
Non ha più valore pedagogico ma comunica un senso di ribellione impotente, un senso di fastidio del poeta.
Nel 1861 viene pubblicato il Manifesto degli scapigliati che assorbono l’insegnamento proveniente dall’estero con risultati, però, modesti.
Carducci attraversa un primo periodo giacobino, poi prende le parti del regime.
Dopo la morte di Leopardi si sviluppano un Romanticismo minore (Aleardi) e la poesia risorgimentale.
Carducci sperimenta vari stili fino alla scapigliatura trasgressiva.
La poesia moderna parla di una volontà di estraniarsi da questo mondo. La fuga è l’unico mezzo perché l’artista non è più l’eroe romantico che non può cambiare il mondo.
Il poeta denuncia la sua posizione ai margini della società oppure esalta la sua attività poetica di carattere oracolare. Il poeta diventa veggente, non dal punto di vista razionale. Intuisce le cose e si esprime attraverso simboli e un linguaggio ermetico destinato a pochi e non alle masse.
Solo il poeta può comprendere le corrispondenze fra i simboli e la realtà. L’arte assume un valore assoluto.
Il decadentismo nasce in Francia e predilige il Barocco come degenerazione del rinascimento e l’ellenismo della tarda classicità romana che presenta la contaminazione tra mondo classico e cristiano.
Le certezze offerte dal positivismo vengono meno e si apre una crisi.
Nasce anche la psicanalisi, autori come Svevo leggono Freud che dà un’importanza notevole all’inconscio.
Gli unici rappresentanti del decadentismo in Italia sono D’Annunzio e Pascoli che sono influenzati dal classicismo e dall’umanesimo che sono costanti nel tempo.
Corrispondenze Baudelaire
Il poeta ravvisa nella natura una serie sconfinata di simboli e corrispondenze; la chiave per decifrare tutto è in mano al poeta.
Il poeta si sente l’unico decifratore, è declassato dalla società borghese che ha interessi nei confronti del denaro e dell’imprenditoria e non dà spazio alla cultura e all’arte.
Esistono corrispondenze tra colori, profumi, suoni…
La sinestesia è una figura retorica molto usata ed è l’accostamento di due termini appartenenti a due sfere sensoriali differenti.
Il poeta comprende intuitivamente certe relazioni e le scrive con parole ermetiche.
La natura è un tempio. Gli alberi sono pilastri viventi che lanciano messaggi all’uomo. Tutto quello che ci appare è simbolo di qualcos’altro.
GABRIELE D’ANNUNZIO
D’Annunzio a differenza di Pascoli che vive una vita chiuso nel suo nido tra i suoi studi e la carriera di professore prima liceale e poi universitario, procede in maniera differenza. Frequenta Roma, città brillante, scrive su un giornale mondano ed è spesso protagonista di scandali. Si sposa giovane e intrattiene relazioni con donne fatali come la Leone ed Eleonora Duse.
Nel 1900 scrive Il romanzo “Il fuoco”, autobiografico, nel quale è raccontata una storia d’amore tormentata
D’Annunzio è impegnato dal punto di vista politico prima con la destra, con gli interventisti agli inizi della I^ guerra mondiale, perché come molti sente un riscatto dell’Italia grazie alla guerra.
Negli ultimi anni si ritira a Gardone in riviera a causa dei suoi rapporti poco chiari con il fascismo.
D’Annunzio instaura con il suo pubblico un rapporto particolare, è un esteta e aderisce al parnassianesimo francese, mettendo l’arte sopra ogni cosa. L’arte viene liberata da tutti i vincoli etici e educativi e primeggia il culto della bellezza e della forma ricercata.
D’Annunzio si fa interprete di queste idee e si sente superiore alla borghesia parlando di grigiore democratico, omologazione e banalità.
Crea quindi una moda e gli autori successivi come i crepuscolari propongono in contrapposizione un modello basso borghese .
Il suo rapporto con il popolo e la borghesia è sprezzante e antitetico, perché tende all’avvicinamento
Dell’ideale del superuomo.
D’Annunzio scrive per tutti, non solo per i colti però i romanzi sono più diffusi rispetto alle poesie.
Per il pubblico borghese D’Annunzio è un modello da imitare, il pubblico si immedesima nel superuomo e si sente appagato.
E’ un autore che può assomigliare agli autori moderni che scrivono per il pubblico, ma nello stesso tempo è conservatore di certi elementi come il classicismo carducciano.
Il romanzo “Le vergini delle rocce” deriva dalla lettura di Nietzsche il quale scrive per metafore e viene sfruttato dal nazismo per avere una base filosofica.
D’Annunzio fa sua l’idea del superuomo e nel romanzo immagina un uomo che cerca una donna per avere un erede che sia il Principe di Roma.
Tutti i protagonisti dannunziani alla fine saranno perdenti. Questo apre la strada ai personaggi inetti della letteratura europea dell’inizio del secolo.
La produzione poetica subisce un influsso da parte della poesia francese. C’è una volontà di mediare tutte le tendenze straniere, per cui D’Annunzio ripropone tutti i procedimenti formali tipici del simbolismo.
E’ una poesia per i sensi che ripropone una sensibilità di tutto ciò che è materiale.
Ci sono delle fasi in cui l’autore sente il bisogno di un riscatto, di bontà.
LA PIOGGIA NEL PINETO.
La poesia fa parte della raccolta Alcyone, uno dei libri delle Laude e ha dato adito a molte parodie tra le quali quella di Montale del 1969 pubblicata nella raccolta Satura del 1971.
Si immagina una passeggiata con una donna e il poeta ha la volontà di parlare. Il linguaggio è elevato e specifico nella varietà di vegetali ricercati.
D’Annunzio cerca la musicalità con rime interne e c’è l’idea di una natura che si umanizza e nello stesso momento avviene la trasformazione dell’uomo e della donna in vegetali.
Non c’è nessun concetto espresso ma solo panismo, cioè immedesimazione con la natura.
CANTO NOVO
La prima edizione risale al 1882 e risente di una forte influenza carducciana; la seconda edizione è del 1896 e viene modificata grazie all’influsso della filosofia di Nietzsche, cioè si aggiunge l’idea del super uomo.
“Al mare, al mare, Lalla” pag. 150
“O falce di luna calante” pag. 153
IL PIACERE
Il questo romanzo è evidente la caratteristica dannunziana di assorbire tutte le influenze provenienti dall’estero, è chiaro il riferimento a Huysmann che aveva aderito al naturalismo, poi all’estetismo e alla fine allo spiritualismo.
Il romanzo è stato scritto nel 1888 e pubblicato dall’editore Treves nel 1889 nello stesso anno del Mastro don Gesualdo di Verga.
Il grande pubblico borghese che non ha aspirazioni vede nei personaggi di D’Annunzio un mito.
E’ ambientato a Roma , Andrea Sperelli abita nel palazzo Zuccari. D’Annunzio ci rappresenta la Roma barocca , quella delle fontane e dei palazzi che contiene caratteri di decadenza.
Il protagonista, Sperelli, è un esteta che si circonda di belle cose e la sua ossessione sono l’eros e le donne. Rievoca la donna amata attraverso la tecnica del FLASHBACK.
In alcuni momenti il personaggio sente il desiderio di allontanarsi da queste situazioni e il momento di riscatto è dato dall’altra donna, Maria, della quale si innamora.
L’esteta non si oppone alla democrazia e alla borghesia, ma si chiude in un atteggiamento di disprezzo.
La crisi si nota nel rapporto con le donne: Elena è la donna fatale, Maria invece è una donna pura, l’occasione del riscatto. Sperelli si immagina di sostituire la vecchia amante con un’altra donna. Questo conduce Andrea al tradimento finale quando confonde le due donne.
Andrea rimane solo e abbandonato: è un perdente. Il personaggio è un alter ego del poeta, infatti egli aveva una relazione con Beatrice Leone e quindi trasferisce la propria personalità nel personaggio.
Il ritratto di Andrea Sperelli
Il personaggio è un nobile, è unico nel suo genere. E’ antidemocratico: si definisce rappresentante di una razza intellettuale e superiore.
La sua formazione intellettuale è diversa da quella delle parsone comuni e in questo traspare il rimpianto da parte di D’Annunzio che avrebbe voluto avere la stessa esperienza.
L’arte e la vita diventano un tutt’uno.
La morale diventa l’energia necessaria per dominare se stessi e la forza di distruggere un legame per intarprenderne un altro.
Il padre gli insegna che la parte estetica del vivere è primaria e che l’ideale estetico non deve avere vincoli di tipo morale.
Il motto del padre è “avere non essere posseduti”, ma Andrea si lascerà dominare dalle passioni.
Non c’è spazio per i sentimenti e il rimpianto.
Si sottolinea quindi nel romanzo la personalità fragile del personaggio che diventerà poi il soggetto preferito dei narratori novecenteschi: l’inetto.
Andrea ha un atteggiamento bugiardo nei confronti di sé e questo lo porterà alla disfatta.
L’autoinganno verrà ripreso anche da Pirandello.
Segue poi la descrizione della Roma amata da Sperelli: non la Roma dei Cesari, ma quella delle ville e delle fontane.
POEMA PARADISIACO
Composto nel 1893 in tre sezioni, manifesta la stanchezza dei sensi da parte del poeta
Consolazioni
Questa lirica celebra un momento in cui il poeta ritorna agli affetti materni e sente un desiderio di purificazione e di ritornare all’affetto familiare.
Tutto questo assume però un senso di falsità e di esteriorità.
D’Annunzio è attratto da tutto ciò che è esteriore. Questo si manifesta anche nel suo approccio alla religione: non c’è profondità di sentimento o volontà di bontà, ma solo atti estetici.
LAUDI
Il progetto delle laudi era di sette libri che avessero il nome delle Pleiadi, ma solo tre libri sono stati completati: Maya, Electra e Alcyone.
Alcyone è stato completato tra il 1899 e il 1903 e è composto da cinque sezioni. Questo libro è un momento di meditazione dopo due opere che si ispirano al superuomo. Il poeta è attratto dal paesaggio delicato dell’estate. Ogni sezione è dedicata ad un aspetto dell’estate e separate dalle altre con un DITIRAMBO, un componimento che in Grecia aveva come soggetto Dioniso.
Si apre con testo intitolato LA TREGUA che raccorda il libro con i primi due che trattavano l’impegno eroico del superuomo, mentre in Alcyone c’è un abbandono nella natura e nel mito.
Nella lirica TERRA VALE viene rivalutato il mito di Glauco che diventa Dio marino, il poeta diventa quasi divinità.
Nella poesia IL FANCIULLO c’è una celebrazione della poetica che è metamorfosi tra natura e uomo. Le persone diventano creature verdi come nella PIOGGIA NEL PINETO. La metamorfosi non è realizzabile per tutti, ma solo per le creature elette come il poeta e il fanciullo.
Il PANISMO è la metamorfosi completa.
La prima parte considera il periodo di Giugno e l’ambientazione è la zona di Fiesole e Firenze. Hanno forma di Laude (componimento sviluppato nel Medio Evo) e riprende la visione francescana della natura usando stilemi e modi del sentire francescano in un contesto per niente religioso.
La seconda sezione rievoca l’inizio di Luglio, l’inizio dell’estate e sono una ventina di testi ambientati in Versilia e celebrano il rapporto panico con la natura.
Per esempio nella lirica VERSILIA la ninfa diventa albero.
La terza fase è quella di luglio, dell’estate piana e si celebra il potere panico del superuomo.
La quarta sezione rappresenta la fine di agosto con i primi presagi autunnali. Sono presenti il senso di morte, abbandono, disfacimento, tristezza, malinconia, inquietudine…
Il quarto ditirambo tratta della caduta di Icaro.
La quinta sezione è quella di Settembre e inizia con la lirica TRISTEZZA che recita l’impossibilità di resuscitare il mito del mondo moderno.
Al termine il libro si chiude con il COMMIATO dove è presente un saluto e una dedica a Pascoli, perché anche questo poeta manifesta un forte amore per la natura e viene visto come continuazione di Virgilio.
La sera fiesolana
Scritto nel giugno del 1899. Presente in un Taccuino di appunti aveva annotato un pellegrinaggio con Eleonora Duse del 1897 ad Assisi.
L’ambientazione ricorda lo stile dei preraffaelliti, una corrente pittorica che si sviluppa in Inghilterra con Rossetti che inaugura una pittura che riprende i tratti del primitivismo letterario e religioso. Si parla di estetismo con caratteri di misticismo.
Nella lirica sono presenti tre modi di vedere la sera.
Nella prima edizione ogni strofa era introdotta da un titolo esplicativo: “La nascita della luna”, “La pioggia di giugno”, “Le colline”.
Non viene descritto il paesaggio ma si esprime lo stato d’animo attraverso sensazioni musicali.
La ricerca musicale evoca sensazioni e colori con valore sinestetico.
La presenza dell’uomo è ridotta al minimo, ma tutto è inserito nella situazione naturale.
E’ presente la lezione carducciana del colore che si richiama alla corrente pittorica dei Macchiaioli.
Meriggio
Fa parte della seconda sezione scritta forse nel 1902.
Il poeta è solo nella natura, non c’è nessuna donna.
Nelle prime due strofe il poeta descrive il paesaggio marino alla foce dell’Arno, mentre nelle ultime due il poeta smarrisce la propria identità umana e si divinizza. Si trasforma in momento, cioè in meriggio e si perde nella natura diventando creatura divina.
L’onda pag. 200
Stabat nuda Aestas
Questa poesia rientra nella terza sezione e la sua datazione è ignota.
Il titolo è preso da un passo di Ovidio del secondo libro delle Metamorfosi.
L’estate è qui personificata in un’immagine di donna dai capelli fulvi; il poeta la riconosce, la insegue, la chiama e lei gli appare nella sua nudità.
E’ possibile vedere un’affinità tra questa poesia e un poemetto di Rimbaud e una poesia di Pascoli scritta tra il 1872 e il 1880 “Patutit dea”.
Il poeta acquista maggiore capacità nel sentire le cose impercettibili per l’uomo come il rumore della resina o la presenza di un serpente intuita dall’odore acre. Il poeta si pone quindi come superiore agli altri uomini riprendendo l’idea del superuomo.
La sabbia del tempo
Il gesto ozioso del poeta di far passare la sabbia nel palmo della mano gli ricorda la brevità del giono e la fuggevolezza del tempo.
Questa poesia è inserita nell’ultima sezione e quindi celebra la fase finale dell’estate dove è presente l’idea di disfacimento, di impossibilità di far rivivere i miti passati.
D’Annunzio utilizza la tecnica del passaggio analogico che verrà sfruttata anche dai poeti moderni successivi; in questo caso la sabbia della clessidra diventa la sabbia del tempo.
Il poeta ha la capacità di intuire e di sentire nel cuore e ilo cuore diventa lo strumento di misura dal passare del tempo che genera inquietudine.
Anche le ombre si fanno più lunghe e sono come gli aghi delle meridiane.
Nella balletta
La balletta è la fanghiglia e il termine usato è di derivanza dantesca.
Questa lirica ambientata alla fine di agosto fa presumere già il procedere dell’autunno, stagione della malinconia.
La poesia è ambientata nella palude, in un’atmosfera di decadimento e di morte.
Il componimento è un madrigale e è caratterizzato dalla presenza di versi franti.
GIOVANNI PASCOLI
Pascoli è contemporaneo di D’Annunzio ma le loro vite sono completamente diverse. D’Annunzio era al centro delle cronache mondane e della vita culturale, un poeta che ha bisogno del consenso e tenta con vari stili di accontentare il pubblico. La sua vita è divisa tra donne fatali, impegno politico e civile. E’ amante del lusso e dell’esteriorità.
Pascoli nasce nel 1855 e muore nel 1912. Trascorre la sua vita rinchiuso nel suo nido familiare inteso come unione dei componenti della famiglia originaria e non di una famiglia creata con il matrimonio.
Per questo motivo Pascoli si presta ad una lettura psicoanalitica.
La sua vita è segnata da avvenimenti luttuosi. Nel 1867 muore il padre, ucciso da sconosciuti per un motivo ignoto, e da questo episodio prendono il via altre morti che si susseguono, quella della madre e di alcuni fratelli.
L’animo di Pascoli è solcato da questi avvenimenti e deve anche smettere gli studi iniziati presso i padri scolopi. Infatti si laurea in letteratura greca piuttosto tardi, a 27 anni.
Il suo stato d’animo dopo la morte del padre lo porta a pensare che esista un’ingiustizia insanabile.
Dal punto di vista politico si avvicina al socialismo di Andrea Costa e si mette contro il ministro della pubblica istruzione perdendo anche la borsa di studio oltre ad essere incarcerato per tre mesi.
La sua adesione al socialismo così come quella al cattolicesimo evangelico hanno carattere velleitario, cioè non arriva ad una soluzione e non hanno aspetto positivo.
Quando si laurea discute una tesi su un poeta greco, Alceo, concentrandosi sugli elementi di metrica. Inizia la sua carriera di insegnante nei licei come Carducci. Quando comincia a insegnare si stabilisce a Castelvecchio con le due sorelle Ida e Maria. La casa fu acquistata da Pascoli dopo aver venduto i le tredici medaglie d’oro vinte al Premio di poesia latina a Amsterdam.
Il legame con Ida si spezza quando questa decide di sposarsi. Le nozze sono viste dai fratelli come un tradimento al loro morboso legame.
Il poeta rifiuta l’amore e l’eros, perché crede che l’unico amore sia quello fraterno, legato al passato. In questo senso rimane bambino.
L’amore verso una donna lo attrae e nello stesso tempo lo respinge. Nel GELSOMINO NOTTURNO, poesia scritta per le nozze di un amico, si sente escluso dall’esperienza dei due sposi.
L’esperienza erotica lo attrae, ma lo respinge contemporaneamente.
La chiusura sentimentale lo porta a chiudersi nel nido familiare. Sono molto frequenti quindi simboli che indicano la chiusura come il nido e la siepe. La siepe a differenza di quella leopardiana è un elemento rassicurante che separa il poeta dal mondo.
Il poeta viene poi chiamato a ricoprire la cattedra di letteratura italiana a Bologna, scoperta dopo la morte di Carducci. Pascoli rimane lusingato, ma ha timore del contatto con altri.
Rifiuta la storia e la scienza, perché è convinto che la scienza abbia fallito e sia portatrice di male.
Decade tutto ciò che il positivismo aveva esaltato. Questo si ritroverà anche il Svevo e Pirandello.
Pascoli si rinchiude nel mondo naturale contro quello della storia. Non partecipa alla vita politica e quando loi fa ha una visione distorta della storia e ella politica, come quando abbraccia l’imperialismo perché lo vede come espansione del nido familiare.
Pascoli è un innovatore per quanto riguarda il linguaggio, la metrica e la sua interpretazione del simbolismo.
Pascoli è poco legato al positivismo, ma da questo prende la precisione nella terminologia.
Utilizza il correlativo oggettivo, cioè un procedimento per cui un oggetto diventa un simbolo. Viene usato anche da Montale e da Eliot.
Per esempio il nido è simbolo della casa, della famiglia e indica protezione e chiusura.
Pascoli di fronte al male dell’Universo rimane attonito, impaurito e non ha il titanismo leopardiano. Il mondo è visto come un atomo opaco del male.
Pascoli cerca di non vedere ciò che gli sta intorno ed è ossessionato dai morti.
Nella poesia di apertura della raccolta Myricae, IL GIORNO DEI MORTI, rivede i morti del cimitero, stretti fra loro per farsi coraggio. Il ricorda provoca felicità perché rievoca il nido integro.
Alcune figure come i fiori assumono un significato diverso rispetto alla letteratura precedente. Per esempio in Ariosto i fiori indicano la verginità e sono legati all’eros, mentre Pascoli li intende come ornamento delle tombe, oppure come simbolo di morte (Digitale purpurea).
Il poeta ha paura della storia, di relazionarsi con gli altri e questo lo induce ad attaccarsi al nido familiare e ai morti che ritornano continuamente quasi chiamassero il poeta.
Il poeta si lega continuamente a ciò che gli dà sicurezza.
Il pensiero dei morti rievoca l’antica felicità: il poeta cerca di ristabilire un nido che però è incompleto.
Nella poesia IL GIORNO DEI MORTI l’immaginare è paragonato al vedere. Il poeta rivede la famiglia che piange e che sta insieme anche dopo la morte.
Margherita è la sorella maggiore morta pochi mesi prima della madre; attraverso le sue parole il poeta rivede la sua azione materna nei confronti degli altri fratelli.
Vengono ripetute immagini che si riferiscono alla morte, come il dormire con le braccia al petto.
La poesia è in terzine e rievoca spesso forme e terminologie dantesche. Per esempio l’espressione “vergine sorella” è ripresa dal discorso di Piccarda Donati nel Paradiso e anche “soave e piana” rievoca la figura di Beatrice.
Si ricorda poi la morte del padre avvenuta tragicamente senza motivo apparente e senza sapere il nome degli omicidi. Il poeta immagina le parole del padre e i suoi pensieri nel momento del trapasso.
Spesso si rivolge alla divinità o utilizza simboli cristiani, ma la sua adesione alla religione non fu mai profonda, ma assunse sempre caratteri laici.
Il termine illacrimata è ripreso dalla terminologia foscoliana e il continuo utilizzo della parola VEDERE dà la sensazione di una visione della situazione da parte del poeta.
L’attività del Pascoli non fu rivolta solo alla poesia, ma anche alla critica, soprattutto a quella dantesca.
Dà la stessa importanza alle sue attività principali cioè la letteratura italiana, la letteratura latina e la critica letteraria.
Oltre alle raccolte di poesie Pascoli compone Odi e Inni che sono difficili dal punto di vista linguistico.
La raccolta MYRICAE fu pubblicata nel 1891, ma ha avuto un iter compositivo complesso.
Il titolo deriva dall’inizio della quarta egloga virgiliana “PAULA MAIORA CANTAMUS….”
Le tamerici sono arbusti di poca importanza.
I canti di Myricae sono dedicati al padre, mentre i Canti di Castelvecchio alla madre.
E’ presente il legame del poeta con la natura, presente anche nei Primi poemetti.
I canti di Myricae sono bozzetti descrittivi scritti con una tecnica novecentesca sinestetica.
Sotto gli elementi della natura vengono inseriti sentimenti o situazioni. Per esempio l’aratro diventa simbolo dell’abbandono e della solitudine.
E’ presente quindi la poetica degli oggetti che da un lato assume un carattere di precisione per quel che riguarda il lavoro e le piante, e dall’altra gli stessi oggetti assumono un significato simbolico.
Novembre
Novembre è il mese dei morti e il mese in cui la natura perde la sua bellezza.
Ma l’aria è limpida e il sole è chiaro e quindi si ha l’illusione che sia ancora primavera. La realtà è ben diversa: le foglie cadono, il silenzio fa pensare all’estate fredda dei morti.
L’aggettivo gemmea è coniato dal sostantivo gemma ed è una sinestesia.
Il prunalbo è il biancospino, ma qui viene identificato con precisione.
C’è una contrapposizione tra la primavera apparente dell’estate di S. Martino e l’autunno che è reale.
E’ quindi un contrasto tra la vita e la morte. La prima strofa riporta elementi positivi ma la congiunzione avversativa MA propone una revisione.
Il cielo è vuoto perché manca il canto degli uccelli e l’immagine del sottosuolo riporta ancora l’idea insistente dei morti. Altre illusioni simboliche alla morte sono il silenzio e l’ipallage del cadere fragile delle foglie.
Le foglie danno poi il senso della caducità della vita.
Queste liriche sono quadretti impressionistici cioè il poeta attraverso immagini di colore trae le sue impressioni. E’ una tecnica che prevede l’uso della sinestesia.
Pascoli utilizza però anche un linguaggio estremamente preciso e dà una valorizzazione simbolica del paesaggio di carattere esistenziale.
Pascoli ha però anche una sensibilità espressionista, cioè usa aggettivi e connotazioni violenti con caratteri incisivi e grotteschi.
Il lampo
Lo scenario è inquietante e tragico, con una violenza espressionista.
C’è un riferimento particolare al momento della morte del padre. Pascoli cerca di rappresentare ciò che il padre può aver visto nell’ultimo istante di vita.
Questo si sa grazie ad una passo di prosa dove Pascoli rievoca la morte del padre.
Il simbolo più inquietante è quello dell’occhio che rimane aperto nel momento della morte e esterrefatto perché il padre non si aspetta la fucilata.
Lo stesso si troverà nella lirica X AGOSTO dove il padre rimane con gli occhi sbarrati additando al cielo lontano le bambole.
Lavandare
Questa poesia si trova nella sezione Ultima passeggiata. Il poeta si immagina di passare in autunno in un campo arato da poco dove si trova un aratro dimenticato.
Lo stesso aratro si troverà nell’ultima strofa negli stornelli marchigiani cantati dalle lavandaie e diventa simbolo di abbandono e di solitudine.
L’uomo è minacciato continuamente, è abbandonato, la divinità è lontana e l’uomo spaurito si rinchiude nel suo nido.
L’atto di lavare è sottolineato dalla rima interna che ha valore onomatopeico.
Il verbo nevicare è usato transitivamente e indica le foglie che cadono come se fossero neve.
La solitudine e l’incomunicabilità si trovano anche nella narrativa e nel teatro contemporaneo: Pirandello, Svevo…
Arano
Questa lirica è stata composta nel 1885 e rappresenta una scena impressionista caratterizzata dal momento autunnale e dai suoi oggetti, dalla precisione con cui descrive gli oggetti di lavoro, così come fa per alberi, animali…
Il linguaggio di Pascoli è stato oggetto di studio per molti critici; si può parlare infatti di bilinguismo perché Pascoli conosce e utilizza il latino come se fosse la sua lingua madre.
Infatti Pascoli spesso fa annotazioni in latino oppure conia vocaboli latini per indicare elementi moderni, come la macchina da scrivere.
Lo stesso D’Annunzio viene influenzato dal linguaggio immediato e dall’atmosfera pascoliana, anche se la critica dannunziana si ferma solo alla trattazione della natura da parte di Pascoli senza accennare alla simbologia nascosta da questa apparente semplicità.
La poesia di Pascoli è dettata infatti dalla sua tormentata psicologia.
Pascoli è attento alle cose piccole della natura seguendo quella che è la poetica del fanciullino. Il poeta deve regredire all’infanzia, addirittura allo stato prenatale e deve focalizzare la propria attenzione su cose che colpiscono la sua sensibilità, vedendo le cose come se fosse un bambino.
Da una parte riprende la poetica degli oggetti che vengono visti e deformati dagli occhi del fanciullino.
Nella poesia in questione sembra che il poeta si metta dalla parte del passero.
Pascoli riproduce i rumori della natura con espressioni onomatopeiche che a volte sono esagerate, ma fanno parte del linguaggio preletterario o addirittura agrammaticale.
L’assiuolo
L’assiolo è un uccello notturno definito in modo popolare chiù.
La descrizione è quella di un paesaggio serale che attraverso le iterazioni del verso dell’uccello richiama lo stato d’animo di angoscia del poeta e forse richiama ancora la perdita del padre.
Lo stupore si esprime nella domanda del primo verso. Molta poesia a partire dai romantici è ambientata di notte .
Pascoli utilizza sensazioni visive e uditive come La luce perlacea che viene accennata anche da D’Annunzio.
L’impressionismo linguistico si esprime attraverso sinestesie come i “soffi di lampi” o il “nero di nubi” che ricavano la qualità dall’oggetto.
Il poeta non descrive una tragedia ma inserisce immagini che evocano sensazioni di dolore, angoscia e morte. E’ quindi una poesia evocativa.
Anche il verso degli uccelli si carica di significato simbolico soprattutto del mistero e dell’arcano.
Il mare è un’immagine consolatrice che ricorda l’infanzia e le cure materne.
L’espressione “eco di un grido” si riferisce forse al grido del padre al momento della morte. E’ un immagine chiaramente rivissuta dato che il poeta non era presente al momento della morte.
A questo punto il verso chiù diventa un singulto. Il chiù è simbolo di male e di morte.
Sistri ricorda il mito di Iside con la sua idea di morte e resurrezione.
Le Porte indicano la morte, perché sono chiuse e i morti non possono più tornare. In realtà nella vita di Pascoli i morti ritornano insistentemente.
Il poeta di fronte alla morte è scettico, perplesso…la vita gli fa paura e la morte gli provoca un sentimento di incertezza.
Il linguaggi di Pascoli è definito pargoleggiante; è ricco di onomatopee ed è un linguaggio fonosimbolico cioè un suono rimanda ad un oggetto che a sua volta è un simbolo.
Pascoli usa spesso anche lingue speciali o gerghi e crea nuovi linguaggi mischiando per esempio l’inglese con il toscano per meglio descrivere la lingua degli emigrati italiani in America.
Anche il latino è molto utilizzato, ma non come lingua morta; Pascoli la arricchisce di varianti linguistiche e la fa rivivere.
Anche i contenuti della poesia latina non sono quelli classici, ma solo gli stessi della poesia italiana.
X agosto
Questa poesia è stata composta nel 1896 e rievoca la morte del padre avvenuta il 10 agosto 1867.
Le stelle cadenti tipiche di questa notte diventano lacrime , come se il cielo piangesse sulla terra e il cosmo partecipasse al dolore dell’uomo.
Qui Pascoli affronta temi di carattere metafisico: il male e il dolore che è inflitto a persone innocenti come il padre e la rondine.
Di fronte al male che genera dolore anche il nido del poeta si disperde, infatti la morte del padre genera una serie di sciagure.
La lirica è simmetrica. C’è un’inversione nell’utilizzo della parola tetto e nido utilizzate la prima per la rondine e la seconda per il padre.
La costruzione latineggiante ricorda in alcuni tratti il parlato.
Il nido è il rifugio del poeta, ha una forma protettiva ed è nascosto dagli altri.
Il verbo UCCISERO è lapidario evoca l’ingiustizia del fatto.
Ci sono immagini che evocano l’ambito cristiano (croce), Cristo crocefisso per l’ingiustizia dell’uomo.
C’è l’accostamento tra il verme e il cielo che è lontano; tra la terra e il cielo che sono elementi inconciliabili.
La terra nell’ultimo verso è descritta come l’atomo opaco del male, che è una presenza costante e rivela nel poeta un pessimismo simile a quello leopardiano.
L’occhio aperto ed esterrefatto è presente anche ne IL LAMPO.
La morte della rondine e dell’uomo si definiscono in un quadro cristiano: la rondine è come in croce e l’uomo dice Perdono.
Nei poemetti latini Pascoli riprende l’etica cristiana e la inserisce nella decadenza del mondo romano. In realtà le due religioni si sovrappongono e ne escono caratteri comuni ad entrambi.
Pascoli è attratto dal cristianesimo, ma dice che la morte del padre non è stato motivo di redenzione, infatti non parla di una vita dopo la morte.
L’adesione alla religione è quindi incompleta.
PRIMI POEMETTI
Sono liriche più lunghe, scritte in terzine, che seguono ancora la linea di Myricae, riprendendo il tema della campagna come rifugio. Cambia il linguaggio che diventa più difficile o più semplice a seconda del componimento. Si perde però il carattere frammentario tipico di Myricae.
Nei Poemetti esprime anche un’idea politica rivolta al socialismo inteso come ideale di vita proiettato verso l’uguaglianza e la giustizia.
L’attenzione di Pascoli è rivolta alla piccola proprietà depositaria dei valori tradizionali, semplicità e saggezza, da contrapporre alla realtà.
Viene chiamata Utopia regressiva questo consiglio di ritirarsi in campagna contro il male, protetto dalla siepe e dagli affetti familiari.
Digitale purpurea
In questa lirica riprende la simbologia floreale. La digitale è una fiore rosso violaceo con delle macchie che vengono interpretate da Pascoli come dita spruzzate di sangue.
Il fiore diventa simbolo di una sessualità ambigua, tormentata. Pascoli non ha voluto fare esperienze al di fuori della famiglia: il suo nido è quello di origine.
Si avvicina alla sfera sessuale come un bambino è contemporaneamente attratto e respinto.
Nel Pascoli il fiore o è fiore di morte, depositato sulle tombe o rimanda al sesso inteso però come morte, cioè come perdita di qualcosa tipica dell’infanzia.
Questa lirica si ispira a un episodio vissuto dalla sorella Maria nel convento insieme ad un’amica, quando avvicinandosi alla digitale una suora le rimprovera dicendo che il profumo del fiore è venefico.
Le due amiche Maria e Rachele (forse la sorella Ida) si incontrano dopo tanti anni e rievocano l’esperienza. Rachele confessa però a Maria di aver fatto quell’esperienza e l’altra rabbrividisce al racconto di Rachele.
Rachele dice di aver fatto un’esperienza dolce tanto che porta alla morte, perché ha perduto l’innocenza e l’amica ha un brivido perché questo racconto l’attrae.
Le due donne sono descritte in modo diverso Maria è esile e bionda, per cui pura, mentre l’altra è bruna e questo dà l’idea di un carattere sensuale.
Nella poesia decadente è molto forte questa differenza tra donna angelo e donna vampiro. L’attrazione per una donna affascinante si spiega con il fatto che questa porta in sé i germi della decadenza.
L’aspetto del candore e del bianco dei conventi è invece tipico della poesia crepuscolare, dove si crea l’immagine di una donna anti dannunziana inserita in un contesto piccolo borghese.
L’orto chiuso del convento dà l’idea di un luogo escluso dal mondo dove però è presente anche il male rappresentato dal fiore.
Nella seconda parte le amiche rivivono il passato e questo flashback è espresso dal verbo vedere.
Le parole innocenza e mistero sono in contrasto e sottolineano che nel convento c’è qualcosa di misterioso.
L’ospite caro può essere o un parente che visita le ragazze o Cristo ricevuto nella comunione.
Il bianco indica la purezza e la sanità delle ragazze ed è in contrasto con il colore del fiore.
Nella terza parte c’è la confessione di Rachele e Maria alla trasgressione reagisce con un brivido.
Tristo e pio fanno riferimento al V^ canto dell’Inferno.
Il fiore velenoso ha un fascino inebriante ed è un motivo tipico decadente.
La siepe
Questa lirica è un inno alla proprietà rurale. Anche la donna assume un carattere di proprietà.
La proprietà terriera è un allargamento del nido. Pascoli rinnega tutto ciò che lo circonda chiudendosi in un momento alternativo alla vita.
Verso la fine dell’800 la proprietà terriera subisce un arresto a favore del capitalismo di altro genere.
Pascoli vuole tornare a qualcosa che ormai non si può più recuperare.
Sia la siepe reale sia quella metaforica creano un sorta di eden all’interno che si contrappone al pericolo e alla morte.
La campagna acquista un carattere positivo e idillico.
Gli aggettivi utile e pia danno l’idea di sacro e inviolato.
L’anello è un cerchio, figura di perfezione e fedeltà.
C’è un linguaggio ambiguo: la piaga indica l’amore, qualcosa che produce dolore. L’amore è visto con carattere di violenza, di morte.
La terra è feconda e fedele come la donna.
La siepe dà sicurezza contro i ladri, ma dà anche ricovero ai nidi e nutre le api.
La siepe viene rinforzata al crescere della famiglia ed è generosa perché cede le bacche al passeggero che ha sete, ma preserva le piante all’interno.
Il cane ha funzione protettiva.
NUOVI POEMETTI
Chiù
Rievoca un momento doloroso: il matrimonio della sorella Ida nel 1895 che viene percepito come un tradimento dai due fratelli.
Le due sorelle nella lirica si chiamano Viola (Maria) e Rosa (Ida). Viola è turbata dall’avvenimento e immagina la prima notte di nozze.
L’eros è visto in modo doloroso e distruttivo.
Per Viola è morto qualcosa in lei e nella sorella, perde interessi perché la sorella l’ha lasciata sola.
Il cuore che batte diventa una presenza inquietante.
Nella seconda strofe si rievoca il matrimonio e la prima notte di nozze. Viola è in tensione perché crede che la sorella sia rimasta sola.
La perdita della verginità è vista come un piaga tenera perché avviene in un momento d’amore e mortale perché porta la perdita dell’innocenza.
Il poeta è estraneo all’esperienza, l’amore è visto come un momento di crisi e turbamento.
L’ultima notte passata in casa è particolare perché si svegliano tutti più tardi come per rifiuto alle nozze.
CANTI DI CASTELVECCHIO
Pubblicati nel 1903, dedicati alla madre. Vengono definite dal poeta come Myricae autunnali.
Nella prefazione il poeta invita alla natura come rifugio per il dolore; si riprende l’aspetto delle cose umili della natura.
Si focalizza l’attenzione sulle cose piccole che sfuggono all’occhio umano: si riprende la teoria del fanciullino che rimpicciolisce le cose grandi e ingrandisce le piccole.
Pascoli lavora a più opere contemporaneamente e si parla di rapsodismo, continua aggiungere opere alle varie raccolte.
L’elemento naturalistico si riempie di un contenuto famigliare evocando i lutti e i morti.
Viene meno il frammentarismo, le liriche sono più estese e questo è dato anche dal titolo che rievoca i canti leopardiani.
Il modello è il Poema paradisiaco di D’Annunzio e i simbolisti francesi, che si avvicinano ai crepuscolari.
Il gelsomino notturno
Lirica scritta per le nozze di un amico, evoca la prima notte di nozze accennando a due vicende: il ciclo naturale della fecondazione dei fiori e la vicenda che avviene in casa trattata in termini allusivi.
Ci sono numerose sinestesie che richiamano l’atto della fecondazione.
Nella prima redazione Pascoli è più esplicito nel comunicare la fecondazione dei fiori, qui è più allusivo.
La lirica si apre con una congiunzione come se continuasse un discorso.
C’è un invito esplicito all’amore legato alla morte e viene collocato di notte, tempo in cui si pensa ai propri lutti.
Il poeta focalizza l’attenzione su due particolari: il momento dell’apertura del fiore e l’apparizione delle farfalle notturne.
Il gelsomino ha un profumo che rievoca le fragole mature, rosse: il colore rievoca il sangue. C’è una sinestesia perché si accostano un colore e un profumo.
E’ interessante l’immagine della Chioccetta, che è il nome dialettale della costellazione delle Pleiadi. Il cielo diventa un’aia azzurra e le stelle pigolano. Questa è un’analogia, cioè la sovrapposizione dei sensi. L’insistenza del profumo rievoca allusivamente l’atto d’amore, così come i puntini di sospensione danno l’idea che il poeta assista dall’esterno.
La parola urna richiama le ceneri dei morti, ma anche l’ovario del fiore.
Questo è molle perché coperto di rugiada e segreto perché si trova in una posizione interna e protetta come il ventre femminile.
Nebbia
Il poeta in questa lirica esprime la paura per tutto quello lo circonda e trova la pace e la tranquillità nel suo piccolo nido.
Il problema è costituito dalle cose lontane ed è un problema irrisolto così come l’eros che ha un carattere conflittuale . Queste cose vanno rimosse.
La nebbia è un elemento che allontana, che rinchiude il nido.
Il discorso del nido famigliare si allarga al nido nazionale, l’Italia deve rimanere isolata e deve proteggere i suoi cittadini.
Usa il suono onomatopeico.
Pascoli usa un linguaggio che è allo steso modo determinato e indeterminato: infatti è tecnico e preciso in alcune cose (due peschi, due meli…) , mentre il resto è sfumato.
I lampi notturni e le aeree fiamme sono forse gli sgomenti notturni come quelli dei bambini che sono spaventati da presenze inquietanti.
I morti come fantasmi turbano i sonni dei vivi. (Il bacio del morto in Myricae).
Attrazione e repulsione nei confronti della morte: è chiara la richiesta alla nebbia di nascondere ciò che è morto.
Ciò che è sicuro è ciò che è concreto: mura.
La presenza della valeriana può alludere al bisogno di quiete e di oblio. Dormire significa non voler affrontare una situazione.
L’attrazione della morte è espressa dal bianco della strada che il poeta immagina di fare accompagnato dal suono delle campane. Il cipresso è l’albero che ricorda la morte.
Il fanciullino
Per Pascoli il fanciullino è presente potenzialmente in ogni uomo, è la parte poetica dell’uomo.
Solo il poeta, che è superiore agli altri, è capace di farlo rivivere perché sa scorgere il significato delle piccole cose.
Anche per Pascoli come per D’Annunzio il poeta è vate, profeta, veggente.
La centralità del poeta viene meno soprattutto dopo la I^ guerra mondiale, quando il poeta diventa colui che non sa e che si chiede che cosa sia la poesia.
Nel fanciullino si può parlare ancora di simbolismo pascoliano, che indica la via che viene dalla comprensione alogica della piccole cose.
Solo il poeta può vedere il significato nelle piccole cose ma non lo può comprendere. Non vede corrispondenze tra le cose ma vede significati profondi nel particolare. (positivismo).
La poesia ha ancora una funzione morale e sociale tipica del romanticismo.
La poesia ha ancora la capacità di sedare i contrasti sociali e ha il ruolo di consolatrice.
Nella prima parte il poeta è visto come un fanciullino che è capace di entrare in rapporto con il mistero che è nelle cose attraverso una capacità intuitiva arazionale.
Cebes è un personaggio del Fedone di Platone per il quale la mancanza di paura della morte è dovuta alla perdita del fanciullino.
Quando si è piccoli il fanciullino si nasconde dietro il bambino, mentre man mano si cresce il fanciullino rimane piccolo.
Il fanciullino rappresenta la capacità poetica di meravigliarsi di fronte a piccole cose.
Il nuovo desiderare si rifà alla sfera dell’eros.
Anche nella prosa utilizza suoni onomatopeici.
Pochi sono in grado di far emergere il fanciullino e di solito sono le persone mature e non i giovani.
Nella terza parte il poeta dà un aspetto politico alla poesia. L’esistenza del fanciullino è garanzia di fratellanza.
Gli uomini si sentono fratelli in virtù del fatto che fanno emergere il fanciullino: è chiaramente un’idea utopistica.
Il fanciullino vede nel buio o crede di vedere e qui si inserisce la poesia come ricordo, è come se il fanciullino rivivesse ciò che non ha mai visto.
Il fanciullino è capace di invenzione e fantasia e consiste nell’aspetto arazionale che è all’interno di tutti noi.
Anche l’amore è inteso come puro e infantile, in senso erotico invece è un misto di paura e attrazione.
La parola poetica ha valore di invenzione assoluta come Adamo che mette nome alle cose.
I concetti classici di proporzione e armonia vengono capovolti, il linguaggio crea una poesia anti classica.
Prende in considerazione i personaggi di diverse classi sociali: si parla di socialismo umanitario.
Nella quinta parte la sapienza del fanciullino è originaria, egli conosce le verità antiche e non gli importano quelle nuove.
E’ attratto dall’antico come il Leopardi (Zibaldone).
Questo atteggiamento dà ragione alla poesia latina. Esprime il passato, i dolori passati in quella lingua che si adatta alla situazione.
Nella XIV parte si parla della poetica degli oggetti e della necessità di dare nomi specifici alle cose.
Questi testi aiutano a ricostruire la poetica del Pascoli attraverso le dichiarazioni di intenti.
Il poeta ha la capacità di vedere e insieme di comunicare.
Il poeta come il fanciullino fa attenzione a quello che incontra.
Il poeta sceglie e inventa il nome delle cose cercando di essere preciso ma non scientifico, usando un linguaggio adatto all’occasione, anche un linguaggio popolare.
Il linguaggio pascoliano è quindi preciso e nello stesso tempo indeterminato.
La grande proletaria si è mossa
E’ un discorso scritto e pronunciato a Barga nel 1911 in occasione della guerra di Libia.
Il questo discorso Pascoli è favorevole all’impresa coloniale che per attuarsi necessità di violenza e di schiavizzare un popolo.
Questo appoggio si spiega come esaltazione della nazione all’interno della quale si devono concludere odi e conflitti.
Pascoli crede che la conquista di popoli una volta soggetti alla dominazione romana sia giusta, così come la dominazione di paesi ricchi su paesi poveri.
Tutto questo per ampliare il nido degli italiani, cioè per estendere il nido famigliare al nido nazionale.
Il linguaggio si avvicina all’oratoria dannunziana.
L’Italia è vista come povera e umile come il paese dei proletari, che diventa grande attraverso sacrifici.
La progressiva ascesa personale si attua attraverso la volontà ed è evidente nella lirica La piccozza.
Il questo discorso il socialismo utopico si coniuga con il nazionalismo tanto che la rinascita italiana è legata al risorgimento.
Parete della critica sottolinea l’appoggio di Pascoli alla piccola borghesia e l’esaltazione della piccola proprietà terriera.
LUIGI PIRANDELLO
Pirandello è l’autore italiano più conosciuto all’estero soprattutto per il metateatro che viene rappresentato sia a Roma che a Milano che a Londra e a New York.
Infatti l’autore si proietta verso tematiche che si avvicinano alla sensibilità di autori stranieri.
Pirandello nasce in Sicilia nel 1867 e muore nel 1936: è contemporaneo di D’Annunzio ma i due caratteri e le due formazioni sono profondamente diversi.
Fino al 1892 la formazione di Pirandello è influenzata da tre componenti:
- l’ambiente siciliano
- l’ambiente tedesco
- l’ambiente romano
La Sicilia rimane in alcune ambientazioni di romanzi e si sente l’influenza di Verga e De Roberto.
Il padre era garibaldino e dirigeva una miniera di zolfo. Non vede di buon occhio gli studi del figlio e Pirandello prova un senso di inettitudine nei confronti del padre. E’ un rapporto conflittuale, lui si sente inferiore al padre.
Tra il 1887 e il 1889 e dopo il 1891 vive a Roma, studia lettere e ha contatti con Capuana.
Per problemi con dei professori lascia Roma e si trasferisce a Bonn dove si laurea con un tesi intitolata “Suoni e sviluppo dei suoni del dialetto di Girgenti”.
Le sue prime opere sono poesie. Nel 1889 pubblica “Mal giocondo” e nel 1891 “La pasqua di Gea”.
Nel 1892 torna a Roma e vi rimane per 10 anni dedicandosi all’insegnamento e alla letteratura.
Nel 1894 si sposa con un matrimonio combinato. La moglie dopo il disastro famigliare provocato dall’allagamento di una solfatara, impazzisce e viene rinchiusa in manicomio.
La sua pazzia si manifesta attraverso una ingiustificata e potente gelosia.
Pirandello studia i sintomi della pazzia e della sanità fino a chiedersi chi sia veramente il pazzo.
Nel 1893 scrive il romanzo “Marta Ajala” pubblicato nel 1901 con il titolo “L’esclusa”.
Questo romanzo è ambientato in Sicilia, in ambiente piccolo borghese. La protagonista è un’insegnante accusata dal marito di tradimento. Viene allontanata dal paese e ha un rapporto con l’uomo con il quale viene accusata di adulterio proprio quando il marito si convince della sua innocenza.
Nel 1895 scrive “Il turno”, un romanzo breve, ambientato sempre in Sicilia.
Sciascia parla di sicilianità a proposito di Pirandello perché nei suoi romanzi c’è poco dinamismo e c’è fatalità…
Nel 1903 avviene il disastro finanziario e iniziano gli squilibri della moglie.
Nel 1904 viene pubblicato “Il fu Mattia Pascal” che apre la narrativa umoristica.
Nel 1908 Pirandello inserisce alcuni scritti in un saggio “Umorismo” e pubblica il romanzo “Il vecchio e il giovane” e le “novelle per un anno”.
Dal 1916 al 1925 Pirandello si dedica al teatro del grottesco. Le sue opere teatrali vengono raccolte nel libro “Maschere nude”.
Del 1921 è l’opera “Sei personaggi in cerca d’autore” e del 1922 “Enrico IV”.
Nel 1924 Pirandello si iscrive al partito fascista e fa parte del Manifesto dei letterati fascisti.
In realtà l’autore vede nel movimento una sorta di pensiero rivoluzionario che possa rompere gli schemi di una società borghese che egli sente con fastidio. Si sente imprigionato dagli schemi, dalle falsità, dai modi di fare stabiliti…
Forse nel fascismo trova uno spiraglio per rompere questi schemi.
In realtà Pirandello non segue il partito e nelle sue opere non ci sono interventi politici.
Quello che interessa Pirandello è la condizione esistenziale dell’uomo.
Tra il 1926 e il 1936 si ha la stagione del surrealismo con l’opera “I giganti della montagna” del 1930 e il romanzo “Uno, nessuno, centomila” del 1925.
Nell’ultima parte della sua vita Pirandello ha una fiducia mistica nella natura, si libera dagli schemi pere unirsi alla natura.
Privilegia il mondo dei miti contro la società.
Nel 1934 riceve il Premio Nobel per la letteratura e muore nel 1936 durante le prove di un suo dramma.
L’opera che apre al nuovo Pirandello è “Il fu Mattia Pascal” che subisce un’influenza importante dal Positivismo e dal verismo. La sua adesione al positivismo non è totale e ottimistica.
La scienza non è concepita ottimisticamente.
Verso gli inizi del secolo approda a un soggettivismo novecentesco: prima il soggetto conosceva la realtà ora è messo in rilievo che questa concezione non è possibile.
Pirandello è attratto dai fenomeni della psiche e dalla parapsicologia.
Gli studi psicologici sono influenzati da Binet con il suo libro “Le alterazioni della personalità” del 1892. Pirandello ritrova concretamente queste alterazioni nella moglie.
Il testo aveva come oggetto la comprensione dei livelli psichici di una persona.
Pirandello critica il simbolismo, l’estetismo e soprattutto D’Annunzio proiettandosi verso l’arte umoristica.
Nel 1893 pubblica un saggio “Arte e coscienza d’oggi” nel quale critica la crisi intellettuale e morale della sua epoca, della sua generazione incapace di individuare nuovi valori tanto da trovare la relatività in ogni cosa.
E’ esplicativo l’esempio della LANTERNINOSOFIA cioè la filosofia dei lanternini.
Un tempo esistevano grandi lanterne che rappresentavano i grandi valori, quando questi si spengono l’uomo è privo di luci e procede nel buio con la propria piccola luce. Vede quindi solo davanti a sé e non conosce né comunica con gli altri.
Si parla di relativismo gnoseologico, cioè ogni conoscenza è relativa, ognuno ha la propria verità.
La poetica dell’umorismo è presente nelle due premesse iniziali del romanzo “Il fu Mattia Pascal” e nel saggio “Umorismo”.
Pirandello oscilla tra una posizione ontologica dell’umorismo che potrebbe essere perenne o storico.
Esamina gli autori umoristici della letteratura come Chervantes e si accorge che l’umorismo può essere un elemento storico o perenne.
Pirandello vede il limite dell’uomo che vive in un Universo privo di senso e si dà un significato della vita attraverso autoinganni. L’umorismo serve proprio a svelare questa contraddizione esistente nell’uomo. Si sente una matrice leopardiana.
Pirandello individua nella caduta dell’antropocentrismo tolemaico la nascita del malessere che induce alla relatività del reale. Si sviluppa così una sorta di nichilismo accentuato dalla disgregazione dei valori ottocenteschi.
L’arte ha valore solo se è arte umoristica e mette in luce le contraddizioni.
Pirandello mette in crisi il positivismo e le ideologie romantiche, contesta nel positivismo il criterio di verità oggettiva, garantita dalla scienza.
Anche il romanticismo è lontano dall’idea di verità soggettiva.
Il soggetto che esprime il senso artistico cade e il soggetto non conosce la verità e all’interno del soggetto si animano conflitti e caos. Non esistono più certi valori e le forme di rappresentazione si discostano da quelle originali.
Un’altra caratteristica della filosofia pirandelliana p il contrasto forma – vita, personaggio – persona.
L’uomo per dare un senso alla propria vita, si organizza secondo le convenzioni e i riti per rafforzare l’illusione di un significato dell’esistenza.
L’uomo riveste forme a cui rimane legato come per esempio le convenzioni e gli usi….
Questi valori illusori sono autoinganni e costituiscono la forma che non è vita.
In alcuni esiste un vitalismo, la volontà di esprimere la propria vitalità. Il soggetto costretto a vivere nella forma sente il desiderio di vivere al di fuori di essa.
L’individuo diventa maschera o personaggio vivendo all’interno della forma.
Il personaggio recita all’interno della società una parte che o sceglie o gli viene imposta.
La società quindi non è formata da eroi o individui, ma da maschere e personaggi.
Il personaggio quindi ha due strade: o l’ipocrisia e l’incoscienza, cioè non si rende conto della sua situazione, oppure l’autoironismo che è una scissione tra forma e vita. L’individuo quindi può trovare uno spiraglio di vera vita. Con la riflessione l’individuo si rende conto della differenza tra quello che fa e quello che è.
Importante è la differenza tra comicità e umorismo: nella comicità non interviene la riflessione.
Il comico è l’avvertimento del contrario, mentre l’umorismo è il sentimento del contrario ed è la capacità, riflettendo, di trovare la contraddizione interna all’uomo.
L’arte umoristica tende alla contraddizione, alla disarmonia perché è espressione della disarmonia dell’universo.
Pirandello è consapevole del fatto che la vita “non conclude” cioè non ha senso, dal punto di vista formale predilige le strutture aperte.
Pirandello si allontana dal genere tradizionale, sceglie un linguaggio quotidiano per comunicare le storture di una esistenza senza senso.
Nei romanzi si trova la destituzione dell’io, l’individuo cessa di essere, il luogo dell’identità si caratterizza per spinte contrastanti.
La ragione non è un mezzo per spiegare la vita, ma l’irrazionalità del reale.
L’arte umoristica rifiuta la concezione classica, il romanticismo e il decadentismo.
IL FU MATTIA PASCAL
Il romanzo è stato scritto nel 1903-04 e pubblicato a puntate sulla rivista “Nuova Antologia” e nel 1910 pubblicato da Treves.
Il romanzo inizia con due premesse: una al romanzo e una filosofica.
Le vicende che portano il personaggio a considerarsi forma sono già avvenute. Il protagonista arriva alla consapevolezza di essere forma.
La struttura del romanzo è tradizionale. La prima parte si svolge a Miragno paese in Liguria dove vive Mattia Pascal. Il nome del protagonista ricorda il cognome del filosofo francese del ‘700 che mette in luce l’inadeguatezza della ragione che dà spazio al sentimento. Mattia invece ricorda matto.
La giovinezza di Mattia Pascal è tranquilla, il padre gli lascia un’eredità, ma la madre incapace di gestire il patrimonio lo mette nelle mani di un amministratore che se ne approfitta.
La spiegazione a certi comportamenti hanno origine famigliare. Anche nelle novelle Pirandello rappresenta protagonisti con vite famigliari e lavorative insopportabili.
Mattia conosce Romilda per conto di un amico troppo timido, ma si innamora della ragazza che aspetta un figlio da lui.
L’amministratore si offre di fare da padre al figlio di Romilda e Mattia fa la corte alla moglie dell’amministratore, Olivia.
Olivia rimane incinta e Malagna è contento perché voleva un erede. Intanto Mattia si sposa con Romilda che non lo ama più e si porta in casa la suocera (vedova Pescatore).
La sua vita famigliare è ricca di liti e insofferenze che portano Mattia a escogitare la fuga.
Mattia è impiegato in un biblioteca di scarso valore e quando il fratello gli invia dei soldi parte. La sua fuga si ferma a Montecarlo dove vince al casinò. Decide così di tornare a casa ma apprende di essere morto, cioè si ripesca dal fiume un suicida irriconoscibile e si pensa che sia lui.
Mattia Pascal si sente libero e assume un’altra forma, recita la parte di un altro personaggio Adriano Meis, ma non ha identità e non può possedere nulla.
Giunge a Roma, città importante per il decadentismo ma descritta qui come città grigia, fatta di uffici pubblici e di quotidianità.
Decide di andare a pensione in una casa modesta, di un certo Paleari, un vecchio esperto di spiritismo.
All’interno di questa casa sono presenti altri personaggi: Adriana, la figlia del vecchi Paleari, verso la quale Mattia nutre interesse; una maestra di pianoforte e Terenzio Papiano, un imbroglione, genero di Paleari.
Durante una seduta spiritica Mattia prova a dichiararsi ad Adriana ma Terenzio gli ruba tutti i soldi.
Inizia una situazione di crisi. Mattia non può sposare Adriana perché non ha un’identità e pensa di suicidarsi. Lo fa con la forma di Adriano Meis.
Ritorna così alla sua forma originaria e torna a Miragno; però apprende che la moglie si è sposata con un amico e che nessuno lo riconosce.
Va a vivere quindi nella sua casa famigliare e si impiega nella vecchia biblioteca affidando il suo caso alla scrittura.
Racconta la sua vita al capo della biblioteca e continua a visitare la tomba del “fu” Mattia Pascal.
Il romanzo si apre con due premesse. Nella prima Mattia preme sull’importanza di avere un’identità, mentre nella seconda si riprende il discorso della perdita dell’importanza dell’antropocentrismo.
L’ambientazione è una biblioteca disordinata e questa allude alla perdita dell’autocoscienza umana. Pirandello usa l’aspetto ironico per svelare la contraddizione del reale.
Viene messo in crisi anche il significato di arte. L’arte del ‘900 mette in luce la non utilità della poesia che serve solo a dare l’idea della disarmonia della realtà.
Dimostrando che l’uomo non è al centro dell’universo l’uomo ha un posto insignificante nel mondo.
Lo stesso concetto si ritrova in una delle Operette morali di Leopardi.
Quando l’uomo considerava che la terra fosse ferma aveva una forte autocoscienza e era pervaso di ottimismo. Aveva una vera e propria dignità; la letteratura poteva avere determinati caratteri e serviva anche per intrattenere.
Ora l’universo invece è privo di senso, così come nella Ginestra di Leopardi la terra è vista come un granello di sabbia. Inoltre si riprende l’immagine dell’eruzione vulcanica.
Così come l’universo anche la vita umana è priva di senso.
Il narratore avverte la crisi di coscienza.
In alcuni momenti l’uomo si distrae e crede ancora di essere al centro dell’universo, così si sente investito di importanza e se la prende anche per delle sciocchezze.
Nel libro Mattia Pascal scrive come arriva alla consapevolezza di non vivere.
Non è un romanzo di formazione ma si vuole comunicare l’esistenza di un problema.
Il romanzo è diverso da quello verista, non segue un percorso cronologico.
Capitolo 9 Menzogna e solitudine
Il capitolo si intitola “Un po’ di nebbia” ed è ambientato in un’atmosfera autunnale che sottolinea la malinconia del personaggio che inizialmente è esaltato per la inaspettata libertà e pi si rende conto che non avendo più identità non può instaurare rapporti sinceri.
Il personaggio di Tito Lenzi, che si vanta di essere un dongiovanni, viene visto con compassione da Mattia Pascal.
Questa filosofia prevede la perdita di ogni valore, c’è uno scarto tra essere e sembrare: ognuno può esser uno per sé, ma altro per gli altri. Questa è la spiegazione al relativismo.
Questa è la dissociazione cui l’uomo è vittima.
C’è una sproporzione tra forma del personaggio e le sue parole. Sembra sempre mentire.
Mattia Pascal prova invidia verso gli altri personaggi perché si rende conto dei limiti della sua libertà: gli altri possono scegliere se mentire o no mentre per lui la menzogna è necessaria.
Ognuno è condannato in quella forma imposta dagli altri che presuppone la creazione di un personaggio.
Il fatto di mentire fa cadere la possibilità di avere amici.
Il fatto di uscire dalla forma aveva dato euforia al personaggio che però ora va cadendo.
Le persone si vedono vivere e quando la coscienza interviene ci si conosce e questo significa morire.
La condizione di Mattia Pascal gli impedisce di avere valori sicuri.
Viene preso anche in considerazione l’aspetto negativo della città: il progresso porta caos e alienazione. Pirandello quindi critica il positivismo e il lavoro che spersonalizza.
C’è anche il momento di distrazione nel quale l’uomo si crede ancora al centro dell’universo.
In questo capitolo quindi si mettono in pratica i concetti della premessa filosofica.
Mattia sente la necessità di vivere, acquisire una forma e un’autenticità.
Capitolo 12 Lo strappo nel cielo di carta ( da L’occhio e Papiano)
Nel capitolo è presente una critica della consistenza dell’io e dell’oggettività della realtà. Ognuno ha la sua verità, per cui la Verità assoluta non esiste.
Viene proposta la tragedia di Oreste di Sofocle. Paleari mostra come questa tragedia sia inattuale perché in questa società non ci sono ideali come in quella antica.
Inoltre scompaiono le certezze presenti nel mondo antico. Oreste nella tragedia è sicuro del proprio atto, se fosse intervenuta una qualsiasi crisi, la sua volontà di vendicarsi non sarebbe più stata certa ma sarebbero sorti dei dubbi.
Il dubbio era l’elemento caratteristico della tragedia shakespeariana . Oraste è paragonato ad Amleto
Ora l’uomo dubita perché non è guidato da valori e non sa cosa fare. Le marionette vengono definite beate perché non hanno dubbi.
Da Copernico in poi l’uomo ha perso ogni certezza.
Papiano è un uomo senza scrupoli per cui non è sottoposto a lacerazione.
Adriano Meis ha la coda di paglia perché non può reagire e mostra il proprio stato di inferiorità.
Mattia Pascal è irritato dalla sua posizione, è una condizione di impotenza perché non può avere rapporti di amicizia o sentimentali.
NOVELLE PER UN ANNO
Questa è una raccolta in cui sono comprese anche novelle scritte in gioventù.
Il progetto vorrebbe una novella per ogni giorno dell’anno, in realtà esse vogliono mettere in luce la disarmonia dell’uomo e della vita.
Alcune sono ancora rusticane con un’ambientazione siciliana, altre sono ambientate in città, dove c’è alienazione e necessità di fuga da una situazione lavorativa o famigliare ossessionante.
Questa fuga avviene attraverso atti assurdi che esprimono il bisogno di vivere veramente.
Per esempio nella novella Tu ridi, l’uomo per sfuggire alla realtà nel sogno ride.
Le ultime novelle sono di carattere surrealista.
La carriola
Questa novella è stata scritta nel 1928. Si può dividere in tre sequenze: un prologo nel quale si accenna all’atto, il racconto della vicenda e la riflessione del personaggio.
L’atto a cui si allude verrà spiegato alla fine della novella, il suo scopo è quello di liberare il personaggio dalla forma.
Il protagonista non si riconosce più e si accorge di non vivere veramente. Si intravede uno spiraglio di vita ma poi si ritorna alla situazione precedente.
Il tema della pazzia è caro a Pirandello anche per la situazione della moglie.
La pazzia, l’atto gratuito, non è pazzia se si analizza la situazione del personaggio.
La prima sequenza quindi parla di quell’atto che se venisse scoperto lo rovinerebbe perché il personaggio ha una serie di incarichi ed è una persona di un certo tipo.
Ad un certo punto il protagonista incontra la vita e si accorge del suo essere forma, imposta dagli altri.
Il personaggio è assorbito nella sua professione e non può concedersi distrazioni.
In questo caso Pirandello descrive un personaggio di una classe alto borghese, invece predilige descrivere situazioni basso borghesi, come gli impiegati.
Nel momento del viaggio però riesce a distrarsi.
Il paesaggio dolce e rilassante gli apre una prospettiva di nuova vita.
Non si può liberare dalla forma ma deve trovare un modo per uscirne.
Dopo aver immaginato una nuova vita il ritornare alla vita solita gli provoca noia, alienazione, sdoppiamento dell’identità.
Egli vede sé stesso ma non si riconosce ( questo può condurre a pazzia).
Si sente quindi estraneo alla sua stessa vita.
La sua vita è una forma imposta da altri.
La coscienza che fa intuire la vita diversa non è da tutti. Non è la cultura a provocare questa coscienza ma le situazioni circostanti.
La convenzionalità e la falsità circondano anche la sfera degli affetti.
Il sonno è il rifugio psicologico contro ogni problema.
Il vedersi vivere è la discordanza tra la forma e la vita. Quando si vede la forma non si può più vivere d’accordo con lei, per cui conoscersi vuol dire morire.
Non c’è soluzione a questo dramma umano.
La libertà di vita si raggiunge allora con l’atto che potrebbe sembrare pazzia, è l’unico mezzo per sopportare la forma.
Questo atto consiste nel far fare la carriola al proprio cane, il quale rimane sbalordito perché proprio lui, uomo rigido e posato fa una cosa del genere che risulterebbe normale fatta da uno dei figli.
Il treno ha fischiato
Questa novella è precedente, è del 1914 e si trova nel quarto volume intitolato Uomo solo.
L’autore sembra essere un conoscente del protagonista per cui conosce i motivi dell’apparente follia.
Ancora prima di dare la spiegazione del fatto premette che questo farneticare è un’inevitabile conseguenza di una vita insopportabile.
Usa termini molto precisi inerenti alla vita d’ufficio.
L’impiegato preso di mira che cova al suo interno una insoddisfazione che deve sfogare è una condizione che si trova anche in Svevo e Kafka.
E’ presente la critica alla meccanicizzazione della società e il tema dell’uomo ridotto a essere una macchina e incapace di vivere.
L’autore non è sorpreso dalla pazzia del protagonista perché è a conoscenza della situazione.
Viste le premesse perciò la coda di mostro che rappresenta la pazzia è naturalissima.
La descrizione della vita famigliare è un tipico esempio di umorismo.
Il motivo del sonno presente anche in altre novelle è il rifugio dalla vita insopportabile.
Per l’autore è meglio la follia che la forma orribile e la vita squallida. Questo si ritrova anche nell’opera teatrale Enrico IV.
Il treno che fischia porta il protagonista lontano dalla sua vita impossibile.
Sei personaggi in cerca d’autore
Quest’opera teatrale viene rappresentata per la prima volta a Roma dove non riscuote molto successo, ma viene presto riconosciuta soprattutto all’estero.
Il teatro pirandelliano riassume le tematiche dei romanzi e delle novelle, ma in questo caso va oltre: il problema è quello di rappresentare il teatro.
Pirandello si chiede quale sia il senso della rappresentazione teatrale.
Si parla quindi di metateatro, cioè l’autore si interroga sulla capacità di fare teatro.
Uno dei temi forti in quest’opera è l’incomunicabilità che si traduce sulla scena con il caos.
Il dramma consiste in una scena in allestimento; una compagnia teatrale prova un dramma di Pirandello quando compaiono i sei personaggi, nati vivi dalla fantasia dell’autore, ma rifiutati dall’autore stesso.
Sono un padre, una madre, un figlio, una figliastra, un giovane e una bambina, che chiedono al capo comico di rappresentare il loro dramma. Il dramma consiste nella famiglia composta dalla madre, dal padre e dal figlio che si sfalda; la madre sposa un altro uomo dal quale ha altri tre figli. Quando quest’uomo muore la famiglia cade in una crisi economica e la figliastra è costretta a prostituirsi nel negozio di madama Pace. A questo punto arriva il padre al negozio e sta per avere un rapporto con la figliastra quando arriva la madre e blocca il possibile incesto.
Da questo punto in poi la figliastra vivrà con il senso di vendetta e il padre con il rimorso.
L’opera si conclude con il suicidio della bambina e del giovane.
Cade quindi il confine tra scena e spettatore che viene chiamato a riflettere. Pirandello si interroga sulla necessità del teatro.
Nella prefazione all’opera Pirandello stesso spiega che questi sei personaggi si sono presentati spontaneamente alla sua fantasia, sono nati vivi dalla sua fantasia.
Si distacca da un impianto naturalista che si limita alla registrazione oggettiva dei fatti.
Secondo l’autore questi personaggi devono avere un senso non solo all’interno della loro vicenda, ma un senso universale, per tutti. Devono rappresentare una situazione umana. Pirandello quindi si identifica tra gli scrittori di natura filosofica.
Non trova però un senso in questi sei personaggi per cui non li mette in scena.
Per questo i sei personaggi si sentono rifiutati, perciò ricercano all’esterno una loro rappresentazione, proprio in un teatro.
Gli attori sono però incapaci di rappresentare il loro dramma .
E’ presente il contrasto tra la vita e la forma che è cristallizzata.
I personaggi si ripropongono continuamente alla fantasia dell’artista.
La rappresentazione è un misto tra tragico, per via della vicenda, e comico.
I personaggi litigano tra di loro, impongono la loro posizione e vivono il loro dramma.
Vengono descritti vari conflitti: quello tra vita e forma, che nella rappresentazione è fissa.
La figliastra e il padre vivono la lacerazione del fatto di essere forma.
La madre invece è un personaggio naturale, che vive il suo dramma senza la ragion d’essere e la coscienza di essere forma.
E’ priva di spirito, però ha il compito di rivelare il valore della forma artistica.
Il giovane e la bambina sono solo presenze.
La rappresentazione quindi consiste nel vano tentativo di cercare un autore.
Pirandello accoglie i personaggi, ma rifiuta il loro dramma.
Gli attori provano a recitare il dramma ma non riescono, perché non corrisponde alla verità della vicenda che i sei personaggi continuano a vivere.
ITALO SVEVO
Svevo nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia di genitori ebrei, commercianti.
Viene avviato a una carriera lontana dalla letteratura della quale si interessa e coltiva ambizioni.
Conosce la lingua tedesca, studia in Baviera e poi conclude gli studi commerciali a Trieste.
Si appassiona alla musica e suona il violino.
Ha delle esperienze come impiegato che saranno importanti per i suoi romanzi.
L’élite israeliana a Trieste viene presto a conoscenza di nuove teorie come l’opera di Freud.
Legge però anche romanzi francesi e i classici italiani. Inoltre scrive alcune commedie.
Per quanto riguarda la filosofia legge Schopenauer, Darwin e aderisce in parte al socialismo.
Si possono dividere tre fasi letterarie:
- la formazione letteraria che si conclude nel 1899 con la decisione di non scrivere più;
- il periodo di silenzio letterario fino al 1918
- il ritorna alla letteratura con il romanzo La coscienza di Zeno.
I suoi tre romanzi sono :
Una vita e Senilità che si ricollegano ancora al positivismo e La coscienza di Zeno che si riallaccia invece alle nuove teorie della Psicoanalisi.
Con Svevo abbiamo la nascita del romanzo di avanguardia, che mette in scena inetti, perdenti e si propone di raccontare una storia interiore. Ha carattere terapeutico.
Dopo il matrimonio Svevo decide di non scrivere più, ma coltiva in segreto la sua passione per la letteratura e elabora mentalmente il suo romanzo.
Nella sua cultura letteraria confluiscono autori posivisti, il marxismo e il pensiero negativo di Schopenauer e Nietzsche. Inoltre studia il pensiero di Darwin e di Freud così da usare mezzi scientifici per la conoscenza di sé e dell’umanità.
Respinge però l’ottimismo e rifiuta la presunzione di poter spiegare tutto.
Nel 1887 pubblica sulla critica sociale il saggio La tribù nel quale riflette il suo marxismo.
La Coscienza di Zeno si apre con il rifiuto da parte del protagonista della cura psicoanalitica. La sanità consiste nella normalità che a un certo punto diventa omologazione.
Il medico pubblica le confessioni di Zeno.
Tutti i romanzi di Svevo contengono personaggi inetti, fallimentari. Se Zeno si curasse potrebbe diventare normale anche se perderebbe alcuni dei suoi impulsi.
Si rende conto di essere inetto e ironicamente preferisce l’inettitudine alla sanità.
Anche il momento della morte del padre mette a confronto la sua inettitudine con la sanità paterna.
I tre romanzi sono pubblicati nel 1892 Una vita, nel 1898 Senilità e nel 1923 la Coscienza di Zeno.
L’uomo si crea autoinganni, svela gli alibi morali che nascondono pulsioni inconsce.
I romanzi sono svolti con una focalizzazione interna, cioè l’autore e il narratore coincidono e commentano la situazione non dall’esterno.
I primi due romanzi sono influenzati dal verismo e dal naturalismo nella descrizione degli ambienti e dei personaggi.
Nella Coscienza di Zeno invece la struttura narrativa viene demolita. Il narratore è in prima persona e la tecnica del flusso di coscienza porta sfasamenti temporali.
Il romanzo Una vita, il cui titolo originale era Un inetto, racconta di Alfonso Nitti, un copista che ha una predisposizione letteraria. Il protagonista tenta il riscatto corteggiando la figlia del proprietario della banca.
La ragazza vuole scrivere un romano con lui, ma Nitti se ne va. Quando torna la ragazza è fidanzata con il suo rivale, lui non sa approfittare delle situazioni. Si sente fallito e si suicida, conclude in modo tradizionale la sua vita.
Senilità che aveva titolo originale Il carnevale di Emilio è un romanzo equilibrato. Ci sono infatti due personaggi inetti Emilio e la sorella Amelia che vivono un’esistenza grigia , una vecchiaia interiore.
Gli altri due sono invece personaggi solari, capaci di vivere: Angiolina dalla quale Emilio si innamora e Stefano Balli del quale si innamora invece Amalia.
La stia è quella di Emilio impiegato di 35 anni che vive con la sorella scialba, zitella, dall’apparenza senile. Sogna un’avventura facile e breve quando incontra Angiolina della quale pensa di approfittare ponendo delle premesse.
Di fatto la sua inettitudine lo porta a un atteggiamento duplice.
Amelia si innamora segretamente del Balli.
La vicenda di Emilio è un sogno ad occhi aperti a livello del subconscio, è una vicenda fallimentare.
L’elemento freudiano è il principio del piacere e della realtà. Ognuno è portato al piacere come i bambini che poi vengono educati. Il principio di realtà pone dei vincoli come la morale.
In Emilio il principio di realtà soffoca quello di piacere, vorrebbe vivere, avere un’avventura ma il principio di realtà , la famiglia la carriera glielo impediscono.
Emilio è desideroso di vivere ma reagisce nel sogno. Quando incontra Angiolina vive in una situazione che non è reale.
Un amore prudente
Il romanzo si apre quando Emilio e la ragazza si conoscono, si incontrano e passeggiano. Il perbenismo e l’incapacità di vivere portano Emilio a crearsi degli autoinganni che lo fanno vivere nel sogno.
Decide di iniziare una relazione impostata sulla prudenza, nascondendosi dietro la famiglia, la carriere che sono menzogne per non coinvolgersi troppo.
Da una parte c’è brama di piacere, dall’altra la debolezza del suo carattere.
Si culla nella sua vita monotona, rendendosi conto di non vivere e di non essere in grado di vivere.
Si crea delle maschere: non è se stesso e non è in grado di valutare intorno a lui.
Si ritiene una macchina ancora in costruzione e non ancora attiva. Ha bisogno di ancorarsi ai valori borghesi.
Angiolina è descritta come una ragazza bella ma ignorante. E’ semplice ma piena di salute interiore.
Emilio vorrebbe fare il dongiovanni ma non è capace perché si innamora della ragazza.
Secondo la teoria di Schopenauer l’uomo ha la volontà di smontare i propri autoinganni.
E’ una specie di monologo interiore di Emilio.
Angiolina non si crea problemi e per questo è ritenuta sana, ma questo tipo di sanità viene rivista da Svevo perché la salute è normalità e omologazione con gli altri, uno stato di non problematicità.
Per distruggere la malattia è necessario distruggere l’Universo Intero.
I romanzi sono ambientati a Trieste descritta come una città grigia.
La donna e il romanzo
Emilio rompe con Angiolina e torna alla sua vita di inetto, ricominciando a scrivere ma senza risultati. Così preso dalla sua storia non si accorge che la sorella sta vivendo un dramma per l’amore non corrisposto di Stefano Balla Si accorge quando non c’è più niente da fare.
Emilio incontra Angiolina l’ultima volta e intanto la sorella si suicida.
Si sovrappone l’esigenza di tornare alla normalità, Emilio è convinto di essersi liberato e invece associa continuamente la ragazza alla vita.
Emilio mente e per questo lascia anche la scrittura. Non è in grado di riproporre dal punto di vista letterario la sua vicenda con Angiolina.
Si riconosce la stessa esperienza dell’autore.
LA COSCIENZA DI ZENO
Dopo il silenzio letterario Svevo scrive questo romanzo che viene immediatamente apprezzato da Joyce e Montale, il quale fa un commento e un sunto dell’opera nel 1976.
La trama è la storia rivissuta di Zeno che entra in analisi e poi la rifiuta. Il medico per vendetta pubblica i suoi appunti.
Il romanzo si apre con una prefazione e un preambolo che sono seguiti da varie sezioni.
Nella prefazione la voce narrante è quella del dottore. Si individuano i tre temi fondamentali dell’opera: il primo è quello della malattia, il secondo è quello della scrittura come cura e il terzo è quello della resistenza alla cura.
Zeno è consapevole che salute e malattia non esistono, ma esiste solo una malattia cosmica debellabile con la distruzione dell’universo.
Le parole del medico ci portano a un rancore verso di lui in quanto pubblica gli appunti per vendetta.
Ci porta a un giudizio negativo verso il medico e verso la psicoanalisi.
Le parole del dottore non godono di credibilità.
Il preambolo è costituito da una risposta alla prefazione.
La presbiopia citata da Zeno è un difetto ottico degli anziani, chi è vecchio quindi dovrebbe saper vedere bene da lontano e quindi essere in grado di ripercorrere la propria vita.
Ma a ostacolare la vista ci sono alte montagna, che sono gli anni.
Svevo nella narrazione utilizza molti germanismi che in varie edizioni vengono tolti per questione di stile.
Zeno fa un’operazione di auto ipnosi che finisce nel sonno, durante il quale crede di aver visto qualcosa che non ricorda.
Secondo Freud tutte le perversioni hanno origine nell’infanzia, così cade l’idea che l’infanzia sia un periodo di sanità.
Il proposito di ricordare la propria infanzia è uno dei tanti propositi che Zeno fa ma non rispetta.
Ci sono due opposizioni: quella tra vecchio e infanzia che si collega a quella tra malattia e salute.
Vedere l’infanzia significa recuperare la salute, ma Zeno scopre che l’infanzia è malata essa stessa e così arriva alla conclusione che la psicoanalisi è inutile.
Il fumo.
Per Zeno il fumo è un vizio come l’incapacità di amare una donna sola o fare un’attività seria.
È considerato un alibi che gli serve per giustificare una mancata attività. Fa quindi una serie di propositi legati all’ultima sigaretta che poi non mantiene.
La malattia di Zeno è frutto di un attaccamento morboso alla madre e del fallimento della figura paterna che avrebbe dovuto essere il mediatore tra le due figure.
Il padre è visto come un antagonista, colui che bisogna imbrogliare. Solo al momento della sua morte Zeno mostra il suo affetto, anche se il padre sul letto di morte sentendosi soffocare e credendo che la causa fosse il figlio, gli dà una sberla.
L’inizio del racconto è quindi legato al fumo.
Il fumo giustifica il furto. Quello del fumo sembra quasi un rito, qualcosa di dovuto, una necessità.
È presente anche nell’infanzia l’elemento della menzogna e la capacità di simulare. La colpa della mancata innocenza nell’infanzia di Zeno viene attribuita al padre.
Zeno da anziano commenta la sua gioventù.
Zeno è come Emilio in Senilità quando si sente sul punto di produrre qualcosa, ma è solo un alibi per nascondere l’inettitudine.
L’ultima sigaretta viene sempre associata a date, eventi e ricordi: sono limiti che Zeno si pone ma che trasgredisce.
Il tempo di Zeno è quello che vive nella coscienza: il passato si confonde con il presente. (viene influenzato dalla teoria della relatività di Einstein).
La morte del padre
È l’avvenimento più importante perché causa numerosi sensi di colpa.
Il rapporto padre – figlio è un rapporto di diffidenza, di incomunicabilità.
L’evento culminante è lo schiaffo che il padre sentendosi soffocare e credendo che sia colpa del figlio da a Zeno un momento prima di morire.
Il figlio nel mometno della malattia vuole riscattare il poco affetto.
Questo passo è preceduto da una discussione tra i due sulla religione. Il padre conosce tutte le risposte e questo è sintomo di sanità.
Zeno vecchio ricorda il momento di questa discussione e capisce che è dovuta la poco affetto nei confronti del padre.
Il padre vorrebbe comunicare al figlio la propria sanità, ma quando il figlio è disposto ad ascoltare lui perde le parole.
Zeno è complicato e malato, mentre il padre è semplice e sano.
Zeno chiama il medico nei confronti del quale prova un’antipatia a prima vista che si trasforma in risentimento quando vorrebbe applicare le sanguisughe per prolungare la vita al padre, mentre Zeno lo proibisce perché per non allungare la sofferenza del malato.
Questo viene filtrato dalla coscienza di Zeno in un sogno nel quale Zeno sogna il capovolgimento della situazione.
La descrizione degli stati patologici è ancora tipica dell’uso positivista.
L’atteggiamento del medico è scostante, Zeno si oppone alle sue prescrizioni, e questo verrà filtrato dalla coscienza come colpa di non aver curato il padre.
Il medico lo accusa di voler recidere quel filo di speranza che il padre poteva ancora avere.
A questo punto Zeno per sfuggire alla situazione si abbandona in un sonno senza sogni.
Invece Zeno vecchio ripensando alla situazione di quei giorni rivive il trauma nel sogno, dove si ribalta la situazione . Zeno è consapevole che il suo sogno interpretato contraddice quello che ha asserito in precedenza, cioè di aver superato il trauma per la morte del padre. I sensi di colpa e l’angoscia perdurano.
Curando il padre Zeno sente un’insofferenza che si ripercuote sul padre stesso e diventa poi senso di colpa.
Il padre sicuro nelle sue certezze religiose non ha mai riflettuto sulla morte.
Con lo schiaffo il padre non vuole punirlo, ma Zeno lo interiorizza in questo senso.
Il momento improvviso della morte non permette a Zeno di dimostrare la propria innocenza.
Dalla storia del mio matrimonio: il fidanzamento
Secondo la psicoanalisi Zeno ha bisogno del matrimonio per sostituire la figura paterna con il suocero.
Zeno crede di recuperare la sanità nel matrimonio.
Secondo un saggio di Freud sui malati di nevrosi ossessiva, questi malati hanno bisogno di un antagonista, che deve morire per risolvere la propria malattia.
In questo caso Zeno ha un rivale in amore: Guido e sente il desiderio di ucciderlo.
In casa Malfenti ci sono quattro ragazze: Ada la più grande e la più bella, Augusta, la più brutta, Alberta che è adolescente e colta e Anna che è una bambina.
Zeno si misura con Guido al violino.
L’avventura matrimoniale inizia con un inganno, cioè crede di guarire sposandosi.
Prova prima con Ada che lo rifiuta perché innamorata di Guido, poi con Alberta e infine con Augusta.
Le tattiche adottate da Zeno sono perdenti e ciniche.
Zeno si sposerà con augusta ma il fatto di aver provato con tutte e di essersi accontentato della peggiore sarà un alibi per l’immediato tradimento.
Per ironia della sorte questo matrimonio funzionerà bene a differenza di quello tra Ada e Guido.
Il discorso che fa Augusta mette in agitazione Zeno che può compromettere la sua futura pace familiare.
Quando entra in casa Malfenti il suo proposito è sposarsi per ritrovare la sanità, ma solo attraverso l’innamoramento.
Zeno non decide mai ma lascia ad altri le sue decisioni: questo causa senso di soddisfazione ma è determinato da mancanza di volontà.
Il fatto che la suocera, che lui detesta, pianga gli dà la soddisfazione di aver sciolto per un momento la sua freddezza.
Il romanzo si conclude con la consapevolezza da parte di Zeno che la psicoanalisi non serva contro le malattie, perché la malattia è tipica di tutta l’umanità e può essere risolta solo con l’annientamento dell’umanità stessa.
Solo la distruzione può salvare l’umanità che è malata fin dalle radici.
Anche i personaggi che sembrano sani in realtà sono malati.
Fonte:
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