Manzoni vita e opere riassunto

 


 

Manzoni vita e opere riassunto

 

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Manzoni vita e opere riassunto

 

UN PADRE DELLA CULTURA ITALIANA MODERNA

Un genio della sintesi
Manzoni è uno dei padri della cultura italiana moderna, cioè l’Italia nata come Stato nazionale a metà Ottocento fino (per certi aspetti) ai nostri giorni non sarebbe stata la stessa senza la sua opera e la sua figura, che sono state una presenza continua sia per chi le ha appoggiate e applicate che per chi le ha contestate: questo suo ruolo fondativo gli fu riconosciuto già in vita, come dimostrano riconoscimenti pubblici quali la nomina a senatore del neonato Regno d’Italia nel 1860, la nomina alla testa di una commissione su un problema fondamentale del nuovo Stato come l’insegnamento della lingua, e la promozione dei Promessi sposi a testo scolastico fondamentale e per la lingua e per i contenuti (un privilegio unico nella letteratura italiana moderna, e che vale ancora oggi in molti licei). Un ruolo così importante è anche un risultato dei tempi: Manzoni visse una vita molto lunga (ottantadue anni) che gli permise di accompagnare il periodo degli eventi fondamentali della storia italiana, e che ebbero uno dei loro centri proprio nella sua Milano: fu adolescente e poi giovane durante la Rivoluzione francese, la presenza francese in Italia e la prima autonomia politica sotto Napoleone di una dapprima repubblica e poi “Regno italico” con capitale Milano (1796-1814), uomo maturo e letterato sempre più celebre durante la Restaurazione e il ritorno di Milano sotto il dominio dell’impero asburgico, gli eventi rivoluzionari del ’48 (di cui Milano fu di nuovo protagonista), infine figura di importanza culturale indiscussa durante gli anni che portarono alla nascita (1860) del Regno d’Italia sotto la monarchia dei Savoia e al suo completamento ideale con la conquista di Roma capitale (1870). Ma l’unicità di Manzoni non è tanto una questione di tempi, quanto di genio: egli è stato una figura decisiva nella cultura del suo secolo grazie ad una grandezza intellettuale che si fonda su una straordinaria forza di sintesi: la capacità di sintesi culturale, che gli ha permesso di cercare una conciliazione tra l’illuminismo e il neoclassicismo civile in cui si è formata la sua gioventù e il romanticismo e il cattolicesimo che hanno segnato la sua maturità; la vastità di una cultura che, nella sua maturità, ha compreso la storia, la filosofia, la teologia, la letteratura e la riflessione sulla lingua; il rigore del pensiero, che si traduce nella capacità di porre problemi fondamentali e di affrontarli con risposte unitarie e sintetizzando i suddetti diversi campi della conoscenza; la chiarezza espressiva che corrisponde alla profondità del ragionamento; la ricerca di una lingua adeguata sia al contenuto che al pubblico, una ricerca che dà le sue prove più alte nei Promessi sposi, con i quali fonda la prosa narrativa italiana moderna. Alla base di queste ed altre doti sta la prima sintesi sopra ricordata, quella di due mondi culturali, il Settecento e l’Ottocento, cioè (detto semplificando) l’illuminismo e il romanticismo, il laicismo e la fede, la storia terrena dell’uomo e la sua dimensione trascendente: questi due mondi, che durante la Restaurazione furono considerati due mondi nemici e incompatibili, sono stati riassorbiti e sintetizzati nel suo pensiero e nella sua opera.

Da Milano a Parigi: un letterato illuminista e neoclassico (1785-1809)
Alessandro Manzoni nasce il 7 marzo 1785 a Milano, dal conte Pietro Manzoni (quarantasei anni) e da Giulia Beccaria (vent’anni), figlia di Cesare Beccaria, uno dei grandi nomi dell’illuminismo italiano, ma da quanto si sapeva già ai suoi tempi, il suo padre naturale è il conte Giovanni Verri (che fu l’amante di Giulia Beccaria in quegli anni), fratello di Pietro e di Alessandro, anche loro (soprattutto Pietro) uomini di punta dell’illuminismo milanese: questa situazione anagrafica sembra anticipare materialmente il primo fondamentale segno distintivo della personalità di Manzoni, che fu davvero (culturalmente ma anche, si è visto, nel sangue) un figlio dell’illuminismo lombardo. E infatti il giovane dimostrerà presto, appena i tempi glielo permetteranno, che nelle sue vene non scorre il sangue della famiglia paterna, conservatrice e religiosa: malgrado la sua educazione tradizionale, e quindi religiosa, curata dal suo padre legale (1791-1801) – la madre si è separata dal 1791 – Manzoni è un giovane figlio del suo secolo, laico e radicale in politica, che si entusiasma per la Rivoluzione francese, come quasi tutti i giovani suoi coetanei (ad es. Foscolo, più vecchio di lui di sette anni), e per la “liberazione”, da parte delle truppe francesi guidate dal giovane generale Napoleone Bonaparte, del ducato asburgico di Milano, ora Repubblica cisalpina (1796-1799): il suo primo componimento poetico impegnativo è il poemetto Del trionfo della Libertà (1801), che celebra la Rivoluzione francese, la caduta del dispotismo monarchico e i tempi nuovi per la civiltà europea. I maestri del giovane poeta sono, in questi anni, i maestri della letteratura italiana illuministica e neoclassica: Giuseppe Parini per la funzione educativa e l’impegno sociale della poesia, Vincenzo Monti (che Manzoni conosce di persona e da cui riceve apprezzamenti lusinghieri) per l’eleganza formale. Intanto l’allargamento dei contatti culturali (gli esuli napoletani confluiti a Milano lo stimolano allo studio della storia e della riflessione sulla storia), e anche nelle prime poesie, di ispirazione illuministico-neoclassica, è il contenuto illuministico a prevalere e a formare una poetica eminentemente seria e civile, cioè fondata sulla letteratura come espressione di una profonda moralità personale e ricerca della verità. La prima espressione compiuta di questa poetica nasce da un’importante svolta biografica: nel 1805 il giovane Alessandro abbandona la casa dei conti Manzoni e va a vivere a Parigi con la madre (da cui era stato separato dal 1791), e sempre nel 1805 muore il convivente di sua madre, Carlo Imbonati, per il quale Manzoni scrive, come omaggio funebre, il poemetto in endecasillabi sciolti In morte di Carlo Imbonati (pubblicato nel 1806), dove la celebrazione del defunto (che era stato da giovane un allievo di Parini) è la celebrazione di una letteratura intesa come missione etica, come religione laica del “santo vero”, nel nome anche, appunto, del maestro di etica personale e letteraria che era stato Parini. Questi sono anni di serenità (madre e figlio vivono una vita idillica a Parigi) e di approfondimenti umani e culturali: i due risultati più importanti sono l’amicizia con Claude Fauriel, studioso di letteratura medievale e di letteratura francese e italiana, destinatario da allora in poi di un carteggio lungo e fondamentale per le riflessioni sulla letteratura e sulla propria opera, e il matrimonio con Enrichetta Blondel (1808), una giovane svizzera di famiglia calvinista conosciuta a Milano nel 1807, da cui nel 1809 nasce a Parigi la prima figlia, Giulia. Mentre il giovane Manzoni, ormai diventato padre di famiglia e nobile proprietario terriero dopo che la morte del suo padre anagrafico (1807) lo ha lasciato erede universale delle sue sostanze, ha i primi contatti non superficiali con il mondo della religione (il matrimonio con Enrichetta Blondel viene celebrato con doppio rito, civile e calvinista), la sua opera letteraria è sempre più percorsa da un’inquietudine che sembra portare la poetica illuministico-neoclassica alle sue estreme conseguenze e preludere a una svolta letteraria: nel 1809 pubblica il poemetto Urania, un tipico testo neoclassico sulla funzione civilizzatrice della poesia, cioè delle Muse e delle Grazie (evidente l’analogia con l’ultimo capolavoro di Foscolo, il poema incompiuto Le Grazie, che comincerà qualche anno dopo), e in quell’anno scrive a Claude Fauriel un giudizio su alcuni suoi versi di circostanza (un’epistola poetica all’amico per l’invio di una sua composizione) che sembra quasi annunciare una svolta: «... sono molto scontento di questi versi, soprattutto per la loro assoluta mancanza d’interesse; non è così che se ne devono fare; forse ne farò di peggiori, ma non ne farò mai più così.»

Da Parigi a Milano: la conversione al cattolicesimo, l’adesione al Romanticismo e la grande stagione creativa (1809-1827).
La svolta più importante nella vita di Manzoni si verifica tra il 1809 e il 1810, e culmina nella conversione al cattolicesimo: nel febbraio 1810 ottiene che il suo matrimonio sia celebrato anche secondo il rito cattolico, e il 2 aprile, a Parigi, durante le feste per il matrimonio di Napoleone e Maria Luisa d’Austria, nella folla perde di vista la moglie, viene colto da una crisi di agorafobia e si rifugia nella chiesa di san Rocco, dove riesce a calmarsi. Questo è l’episodio rimasto celebre, ma esso non può rappresentare il percorso psicologico che condusse Manzoni a convertirsi, in questo come poi l’Innominato nei Promessi sposi, dopo un lungo colloquio interiore: pare molto adeguata alla sua personalità la testimonianza di Giovan Battista Giorgini (che sarà suo genero), secondo cui Manzoni è arrivato alla fede «... per la via della logica –. Logico stringente come Egli era, dopo aver tutto interrogato a lungo, intorno a sé e dentro di sé, e non aver trovato mai risposta alcuna che lo soddisfacesse, finì col convincersi che l’uomo non può fare a meno di una fede religiosa». Questa rivoluzione interiore cambierà tutta la vita anche culturale e letteraria di Manzoni: la letteratura civile di ispirazione illuministico-neoclassica viene ora sostituita da una nuova forma di impegno letterario che sublima gli ideali illuministici nella celebrazione del messaggio evangelico, un impegno che si concretizza innanzitutto nei primi quattro Inni sacri (1815; vi si aggiungerà La Pentecoste, pubblicata nel 1822) e poi in uno scritto esplicitamente teologico, le Osservazioni sulla morale cattolica (1819). La conversione religiosa non nega e non cancella anche altre posizioni radicate nel pensiero di Manzoni, a cominciare da quelle politiche, sempre “italiane” e antiaustriache, come dimostrano le due canzoni politiche scritte nel 1814-15 (Aprile 1814 e Il proclama di Rimini, incompiuta) che accompagnano le speranze in un regno d’Italia indipendente, e le crisi di nervi (di cui da ora in poi soffrirà per tutta la vita) che coincidono con la caduta definitiva di Napoleone (con la battaglia di Waterloo) e il ritorno degli Austriaci a Milano e in Italia, e le inquietudini che gli procura l’alleanza politica della Chiesa cattolica con il legittimismo monarchico.
Manzoni invece, malgrado la prudenza che gli impedisce ogni collaborazione letteraria esplicita, frequenta l’ambiente della nobiltà milanese riunito intorno alla rivista “Il Conciliatore”, un ambiente romantico in letteratura e liberale in politica. La sua partecipazione discreta alla battaglia letteraria che scuote l’Italia della Restaurazione, la polemica tra classicisti e romantici, nata nel 1816 proprio a Milano sulla rivista “La Biblioteca italiana”  provoca dei risultati decisivi per la letteratura italiana: l’adesione al Romanticismo produrrà la riflessione fondamentale della lettera a Cesare d’Azeglio Sul Romanticismo (1823), e insieme con la conversione religiosa fisserà la poetica e le idee da cui nasceranno le opere della breve quanto straordinaria stagione creativa di Manzoni scrittore di letteratura. Il Manzoni maturo è ormai un autore romantico, che intreccia riflessione religiosa, interesse per la storia nazionale e sperimentazione in generi letterari tipici appunto del Romanticismo europeo: dapprima l’opera in poesia, con il dramma storico di tipo shakespeariano e non più classicistico (Il conte di Carmagnola, 1820, seguito dalla Lettera al signor Chauvet sulle unità di tempo e di luogo nella tragedia, uno scritto polemico proprio a difesa del teatro moderno di Shakespeare e dei romantici; Adelchi, 1822, insieme con il Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia), la lirica storico-politica (l’ode Marzo 1821, sui moti liberali europei ed italiani del 1820-1821, l’ode Cinque maggio, scritta in pochi giorni per la morte di Napoleone); e poi la prosa, con il romanzo storico, uno dei generi più diffusi nell’Europa della Restaurazione grazie soprattutto all’inglese Walter Scott, che Manzoni conosce sempre meglio mentre scrive, dal 1821, Fermo e Lucia, il titolo del romanzo che, concluso nel 1823 e poi profondamente riscritto, diventerà I promessi sposi, ed uscirà in prima edizione nel 1827. Il romanzo (che già entro il 1828 fu tradotto in varie lingue europee) suscita successo e scalpore e divide l’opinione letteraria e politica italiana fin dalla sua uscita, ma Manzoni è già un letterato famoso in Europa dagli anni Venti, dalla recensione di Goethe, allora lo scrittore occidentale vivente più celebre, al Conte di Carmagnola, tant’è vero che sempre nel 1827 in Germania viene pubblicato un volume di Opere poetiche, con la prefazione dello stesso Goethe.

L’abbandono della letteratura creativa (1827-1859)
La stagione creativa letteraria si conclude con la prima edizione dei Promessi sposi. Da allora in poi Manzoni continuerà ad essere uno scrittore, ma non più uno scrittore di letteratura: l’unica eccezione, ma molto particolare, sarà il lungo lavoro di correzione linguistica dei Promessi sposi in accordo con la sua riflessione sulla lingua letteraria italiana, che ora individua nel fiorentino parlato cólto il modello e la norma di una lingua letteraria che voglia essere accessibile a tutto il pubblico italiano; tale lavoro comincia con il soggiorno a Firenze del 1827, si intensifica soprattutto negli anni 1837-1840, e si concluderà con la seconda edizione dei Promessi sposi, stampata a dispense tra il 1840 e il 1842 con in appendice la Storia della colonna infame. Ma dal punto di vista letterario, la poetica manzoniana sembra esaurirsi da sola: nel 1828, subito dopo aver pubblicato I promessi sposi, riflette sulla natura del romanzo storico e conclude sulla inconciliabilità di storia e “invenzione” (cioè immaginazione, ricreazione fantastica), proprio i due elementi sul cui equilibrio e sul cui intreccio si sono fondate le opere della sua stagione “romantica” degli anni Venti (queste riflessioni, oggetto del saggio Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione, saranno pubblicate nel 1850). Comincia ora una seconda e più lunga stagione creativa, caratterizzata dall’abbandono della letteratura creativa a favore pressoché esclusivo della saggistica, cioè della riflessione principalmente sulla lingua e sulla storia, e anche da una molteplicità di progetti molti dei quali resteranno incompiuti, e dei quali le opere pubblicate in vita saranno una parte esigua. Dal punto di vista biografico gli anni Trenta-Quaranta trascorrono in una vita tranquilla e ritirata (tra Milano e le residenze di campagna), scossi solo da eventi famigliari importanti come la morte di Enrichetta Blondel (1833: nel suo ricordo Manzoni scriverà nel 1835 l’inno incompiuto Il Natale del 1833), il secondo matrimonio con l’aristocratica milanese Teresa Borri Stampa (1837) e la morte della madre (1841). La riflessione sulla lingua si amplia ora dalla lingua letteraria ai problemi legati a una lingua italiana nazionale, ma stenta a tradursi in opere definitive: dei vari lavori progettati negli anni Trenta, esce solo una lettera a Giacinto Carena (autore di un Vocabolario domestico) Sulla lingua italiana (1847). Intanto gli eventi storici, cioè i moti del 1848, tornano a coinvolgerlo direttamente: durante le cosiddette Cinque giornate di Milano suo figlio Filippo è arrestato e tenuto alcune settimane in ostaggio dagli Austriaci; Manzoni, che fa parte dell’opinione liberale antiaustriaca e filosabauda, firma la richiesta di aiuto militare al re Carlo Alberto, è proposto come membro della Camera del parlamento sabaudo (ma rifiuta l’incarico per ragioni caratteriali), e stampa i suoi versi politici Il proclama di Rimini e Marzo 1821 per una sottoscrizione a favore dei profughi veneti; tornati infine gli Austriaci a Milano, per prudenza si chiude in una sorta di esilio volontario fino al 1850 nella villa del figlio Stefano fuori città. Negli anni Cinquanta, tra viaggi in Toscana e soggiorni presso ville di famiglia o di amici nella campagna lombarda, lavora sempre ai suoi progetti sulla lingua italiana e scrive anche di filosofia (un dialogo Dell’invenzione, 1850).

Un simbolo vivente della nuova Italia (1859-1873)
La sua fama internazionale è consolidata da anni, quando, nel 1859, la guerra tra il regno di Savoia e l’impero asburgico annette Milano dapprima al regno di Savoia e poi, nel 1860, al neonato regno d’Italia: è quindi naturale che fin dal 1859 riceva una pensione vitalizia “a titolo di ricompensa nazionale” dal re  Vittorio Emanuele II e poi venga nominato senatore del Regno nel 1860; inoltre riceve nel 1860 le visite di Vittorio Emanuele II, di Cavour e, nel 1862 quella di Garibaldi, a conferma che è già diventato una sorta di monumento vivente, un’incarnazione dell’Italia unita, appena nata come Stato nazionale. Quest’ultima svolta storica si riflette anche sul suo percorso intellettuale, facendolo tornare alla storia e facendogli progettare una vasta opera La Rivoluzione Francese e la Rivoluzione Italiana. Osservazioni comparative, a cui lavorerà dal 1861 al 1872, per poi lasciarla incompiuta. In questi anni infatti torna a farsi sentire l’esigenza di sistematizzare e pubblicare le riflessioni sulla lingua, esigenza stimolata da un’occasione pubblica, cioè la sua nomina, nel 1868, alla presidenza di una commissione nazionale per la diffusione della lingua italiana: spinto da queste circostanze Manzoni pubblica alcuni brevi scritti (brevi in confronto alla ricchezza dei materiali accumulati e alla vastità dei progetti), dei quali il principale è la relazione Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (1868), dove ribadisce la sua posizione ‘fiorentinocentrica’, secondo la quale la lingua nazionale della nuova Italia deve essere il fiorentino secondo l’uso dei parlanti cólti, e tale modello fiorentino deve essere diffuso in tutta la nazione. Nei suoi ultimi anni, quindi, i progetti di saggi storici e quelli di riflessione linguistica s’intralciano a vicenda: l’ultimo breve lavoro scritto è il saggio Dell’indipendenza dell’Italia, del 1873(pubblicato dalla “Gazzetta Piemontese”). In quello stesso anno 1873 una caduta dagli scalini di una chiesa si rivelerà fatale: delle sue conseguenze morirà poche settimane dopo, il 22 maggio. Riceverà tutti gli omaggi riservati a una figura di primaria importanza nazionale (già dal 1872 era stato insignito della cittadinanza onoraria romana): il suo corpo sarà sepolto dopo funerali solenni a Milano (il 29 maggio) e, l’anno dopo, il primo anniversario della sua morte sarà commemorato dall’esecuzione di un capolavoro di un altro padre dell’Italia unita, Giuseppe Verdi, che dirigerà la sua Messa da Requiem, composta appunto alla memoria di Manzoni.

LA POETICA ROMANTICA DI MANZONI: LETTERATURA E VERITA’
Manzoni e la polemica classico-romantica: la lettera Sul Romanticismo.
L’Italia letteraria dei primi anni della Restaurazione è scossa dalla polemica tra classicisti e romantici, nata nel 1816 sulla rivista “La biblioteca italiana” e particolarmente viva a Milano intorno alla rivista “Il Conciliatore” portavoce del circolo romantico (e liberale in politica, quindi antiaustriaco) che Manzoni frequentava: lo scontro opponeva i difensori della tradizione classica italiana e di alcuni suoi elementi (l’imitazione dei classici, la mitologia antica) ai sostenitori di un rinnovamento fondato sulla letteratura moderna e in particolare sui generi, i temi e l’immaginario delle letterature inglese e tedesca. Nell’infuriare della polemica (1816-1821) Manzoni non intervenne mai direttamente nella discussione, ma con la sua opera (in quegli anni principalmente teatrale: Il conte di Carmagnola e Adelchi) o su questioni specifiche (la Lettera... sull’unità di tempo e di luogo nella tragedia, in difesa del Conte di Carmagnola); fu solo nel 1823, quando secondo lui la questione era di fatto risolta a favore dei romantici, che scrisse una lunga riflessione teorica in forma di lettera privata al nobile piemontese Cesare Taparelli d’Azeglio, una lettera che uscì poi su rivista nel 1846 senza il suo consenso e fu infine pubblicata, con la sua autorizzazione e in un testo riveduto, nel 1870, con il titolo Sul Romanticismo. Lettera al marchese Cesare d’Azeglio. Questo scritto è il manifesto programmatico più chiaro e sintetico del romanticismo italiano, ed anche il più  profondo nei contenuti, perché è l’espressione teorica più riuscita non solo di un pensiero individuale, ma anche della cultura che ha nutrito la riflessione di Manzoni, una cultura nata nell’Illuminismo lombardo e arricchita dalla conversione religiosa e dalle discussioni della cultura europea intorno al romanticismo.

Il romanticismo secondo Manzoni: il vero, l’utile, l’interessante.
Il saggio è articolato in due parti: una distruttiva, più ampia (la critica delle tesi dei classicisti), e una costruttiva (i caratteri generali della concezione romantica della letteratura).  Il rifiuto del classicismo è fondato sui seguenti argomenti principali:
a) rifiuto della mitologia classica, espressione di una religione anacronistica da secoli, ma soprattutto immorale perché pagana;
b) il rifiuto dell’imitazione pedissequa dei classici antichi, perché la letteratura deve essere originale (come lo erano anche quei classici);
c) il rifiuto delle regole che il classicismo ha tratto dai capolavori greci e latini (le famose unità di tempo, di luogo e di azione del teatro), perché arbitrarie, contrarie alla ragione.
La concezione romantica della letteratura secondo Manzoni viene riassunta in una definizione semplice nella forma quanto densa: «la poesia, e la letteratura in genere, [deve] proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto [tema], e l’interessante per mezzo». Occorre sottolineare le conseguenze di questa definizione:
a) l’utile come fine: la letteratura ha una funzione educativa e quindi civile, non è un passatempo o una forma di intrattenimento, ma uno strumento con cui la società può essere migliorata;
b) il vero come tema: la letteratura è una forma di conoscenza autentica, perché, come precisa Manzoni subito dopo, deve «cercare di scoprire, e di esprimere il vero storico, e il vero morale», cioè la dimensione storica, collettiva, e la dimensione individuale, psicologica e morale, dell’uomo; dunque la letteratura è equiparata alla storia e alla morale come forma di indagine sulla vita umana;
c) l’interessante come mezzo: la letteratura nasce in stretta relazione con il suo pubblico, che non deve essere solo una cerchia di intenditori ma la grande maggioranza dei lettori, e deve scegliere argomenti che interessino e allarghino quel pubblico; quindi la letteratura deve nascere come letteratura contemporanea.

La sintesi di neoclassicismo e romanticismo: il piacere della conoscenza della verità
Le idee appena riassunte costituiscono la sintesi più matura non solo della riflessione manzoniana ma anche dello sviluppo della cultura letteraria italiana tra fine Settecento e primo Ottocento in uno dei suoi centri più importanti come Milano. L’originalità di Manzoni consiste proprio in questa sintesi di un elemento fondamentale del neoclassicismo (la funzione educativa e civile della letteratura: è la lezione di Parini), delle novità del romanticismo (l’esigenza di una letteratura nuova negli argomenti e nel pubblico allargato, non più limitata alla classe sociale più elevata e di educazione classica, dunque una letteratura “borghese” e “popolare”) e delle ragioni della fede cristiana (l’esigenza di conoscere la verità, il rifiuto di un immaginario e di valori pagani e quindi per Manzoni immorali), che dalla conversione in poi è il centro del pensiero manzoniano. La firma della personalità manzoniana è il risultato del tutto originale di questa sintesi, un risultato del tutto inedito nella letteratura italiana e accostabile solo alla concezione illuministica nata nel Settecento: la coincidenza di letteratura e verità, vale a dire la convergenza di piacere estetico (la funzione tradizionalmente considerata quella principale della letteratura) e di conoscenza della verità: come afferma Manzoni, la letteratura deve suscitare il «diletto» (il piacere) che nasce dalla «cognizione del vero», cioè dalla conoscenza della verità, un piacere della mente.

Romanticismo e romanzo storico: la sintesi di “storia” e “invenzione”
In base alla poetica manzoniana qui esposta, I promessi sposi sono anche l’espressione più alta di tale poetica. La scelta di scrivere un romanzo storico obbedisce infatti alle intenzioni fondamentali di tale poetica: il «vero storico» e il «vero morale», cioè la ricostruzione fedele di una società in un dato periodo storico e l’indagine sui meccanismi del cuore e dell’agire umano, e infine la verità più alta per Manzoni, quella della fede e dell’insegnamento cristiani, sono il tema dei Promessi sposi; la sua forma e il suo genere letterario, cioè la prosa e in particolare la prosa del romanzo, sono gli strumenti più idonei ad interessare e a raggiungere un pubblico che sia il più ampio possibile; lo scopo di quel romanzo, cioè non intrattenere o distrarre i suoi lettori ma insegnare loro dei contenuti veri, farli riflettere, aumentare la loro ricchezza conoscitiva e morale, è la migliore realizzazione possibile della funzione educativa della letteratura. Il romanzo storico, insomma, realizza le due caratteristiche fondamentali della letteratura secondo Manzoni, una relativa al contenuto e l’altra relativa alle sue funzioni: da una parte, infatti, un romanzo storico realizza la coincidenza (per usare due termini-chiave della riflessione manzoniana) di “storia” e “invenzione”, verità e immaginazione, cioè della fedeltà della ricostruzione storica e degli elementi immaginari nei personaggi e nella trama; inoltre, esso non è una forma di intrattenimento ma uno strumento di conoscenza della verità che deve migliorare la vita del suo lettore.

 

Fonte: http://www.liceo-carducci.it/templates/downloads/derosa/manzoni_3O.rtf
Sito web da visitare: http://www.liceo-carducci.it/nuovo_sito/derosa/

 

Autore del testo: Francesco De Rosa

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ALESSANDRO MANZONI
Manzoni nasce a Milano nel 1785 dal conte Pietro Manzoni e da Giulia Beccaria, figlia del noto Cesare Beccaria. Questo matrimonio si sciolse presto e la madre si recò a Parigi con Carlo Imbonati.
Manzoni divenne presto insofferente sia della vita collegiale sia dell’educazione ricevuta e si schierò con le file giacobine.
Nel 1805 raggiunse la madre a Parigi e fece amicizia con Fauriel. Nel 1808 si sposa con la sedicenne Enrichetta Blondel dalla quale avrà dieci figli.
Nel 1810 avvenne la conversione grazie al miracolo di San Rocco, e da questo momento rifiuta tutta la sua produzione precedente.
Manzoni abbraccia la corrente giansenista, una dottrina che non era più in vigore ma che tiene alla disciplina morale.
Nel 1833 muore la moglie e lui riscrive in suo onore l’Inno Sacro del Natale.
Manzoni accentua la sua crisi nervosa, vivendo appartato entro le mura domestiche e ricevendo solo alcuni amici.
Il suo periodo più produttivo è tra il 20 e il 26 quando scrive gli Inni Sacri, 2 tragedie e le Odi civili.
Poi non scrive più perché è ossessionato dal vero storico, e non riesce ad accordare la poesia con il fatto che bisognasse riportare solo ciò che è storico.
All’inizio della sua produzione Manzoni scrive i Sermoni, sul modello delle satire oraziane che poi rinnega dopo la conversione.
Gli Inni Sacri dovevano essere 12 ma ne compose solo quattro; tra questi il più interessante è la Pentecoste perché ha uno stile più dinamico e meno frammentario.
Nelle Odi civili Manzoni tenta di conciliare l’idea cristiana con l’Illuminismo. Riprende i temi dell’uguaglianza che vengono qui letti come giustizia ricercata nell’al di là.
Per Manzoni esiste una coralità di tutti i cristiani e i dogmi non vanno analizzati solo da un punto di vista teologico, ma in base agli effetti che hanno sull’uomo.
Nelle Odi Manzoni fa capire che ogni uomo deve rivendicare la libertà della propria patria. La nazione è tale per questione di cultura, lingua, storia...
Per quanto riguarda le tragedie queste rompono con la tradizione classica in quanto vengono abolite le unità di luogo e di tempo, rimane solo quella di azione.
Lo sfondo è sempre storico, per l’Adelchi è la storia medioevale, la vittoria dei Franchi sui Longobardi.
Il coro assume una funzione di momento di riflessione del poeta, ha quindi una finalità etica e educativa, ma deve anche commuovere.
Le ultime opere di Manzoni sono saggi sulla lingua italiana come la relazione del 1868 “Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla”.

 

Lettera al signor Chauvet
Il critico e letterato francese Chauvet scrisse una recensione sull’opera di Manzoni “Il conte di Carmagnola” nella quale si criticava la mancanza delle unità di tempo e di luogo.
Manzoni gli risponde con una lettera in francese nella quale sostiene i principi fondamentali della sua poetica, quegli elementi che informano le sue opere di poesia.
Ci si sofferma sulla questione delle unità di spazio e tempo nella tragedia ma anche su come creare una poesia di contenuto storico senza però sopprimere l’invenzione.
Lo storico ha il compito di raccogliere i fatti e interpretarli, mentre il poeta con uno sfondo storico inventa ciò che è intimo dei personaggi. Nell’Adelchi Carlo Magno ripudia Ermengarda, ma è un evento storico marginale, ma il poeta ne fa argomento per una tragedia.
Il personaggio di Adelchi è lacerato dalla volontà di comandare e dall’altra parte dalla convinzione che non si può essere re senza essere disonesti.
L’invenzione non deve contrastare con la realtà storica.
Per il Manzoni è importante mettere al primo posto l’utilità pratica e critica la centralità della poesia e dell’arte tipica del romanticismo.
L’arte quindi non deve essere slegata dalla morale, non deve essere solo espressione del sentimento.

Dalla “Lettera sul Romanticismo al marchese Cesare D’Azeglio”
La lettera è composta da due sezioni: una parte distruttiva in cui Manzoni descrive i meriti del Romanticismo di aver distrutto le regole imposte dal neoclassicismo, e nello stesso tempo critica l’uso della mitologia non per ragioni letterarie, ma dal punto di vista etico e religioso perché vista come idolatria. Nella parte costruttiva nonostante i limiti che pone al Romanticismo ribadisce il concetto di arte realistica, ma critica il sentimento patetico e irrazionale.
Manzoni non accetta il concetto di arte per l’arte perché secondo lui l’arte deve avere un carattere didattico, sociale, morale e pratico e non deve essere uno sfogo di passioni. Rigetta quindi le caratteristiche del romanticismo più autentico, ma fa diventare la poesia una ricerca del vero, basata sulla realtà.

Adelchi
Adelchi è il figlio del re longobardo e la situazione è la guerra tra Franchi e Longobardi che nasce dopo il ripudio di Ermengarda sorella di Adelchi da parte di Carlo Magno, re dei Franchi.
Gli italiani sperano che questa guerra li liberi dalla schiavitù longobarda ma non sanno che cadranno nelle mani dei Franchi.
Manzoni vuole proprio paragonare questa situazione con quella che si sta verificando nell’Italia del suo tempo, soggiogata agli austriaci. Calca quindi sul sentimento di identità nazionale.
La tragedia si basa quindi su una verità storica anche se il carattere dei personaggi è inventato e vengono loro attribuiti caratteri eroici.
Si perdono qui le unità aristoteliche di tempo e luogo, ma rimane quella di azione.
La presenza del coro è un aspetto importante perché rispetto alla tragedia greca questo elemento cambia funzione. In Manzoni non serve più a narrare la storia che non appare sulla scena, ma diventa la sua voce, per commentare, per esternare le sue sensazioni.
Il linguaggio è aulico, altamente poetico con riferimenti al mondo classico e al linguaggio biblico.

Testi: “Dagli atrj muscosi”
“La morte di Ermengarda”

 

ORIGINE DEI PROMESSI SPOSI

La prima elaborazione del romanzo avviene tra il 19 e il 20, il periodo di maggior produzione di Manzoni. Dopo un suo viaggio in Francia dove riceve il concetto di romanzo e legge in traduzione il romanzo di Scott, elabora un progetto di romanzo con ambientazione diversa. Non più il Medio Evo, gotico e fantasioso, ma il ‘600. L’ambientazione storica è supportata dallo studio dei testi storici di Melchiorre Gioia e di Ripamonti.
Inoltre frequenta l’Archivio si Stato a Milano per avere informazioni su situazioni come la peste, il lazzaretto....
Nel ’23 esce la prima edizione del romanzo intitolato “Fermo e Lucia” in 4 tomi.
Dal ’24 in poi segue la fase di revisione del romanzo: Manzoni modifica sia la struttura che la lingua. Abolisce le digressioni, gli elementi romantici, passionali, gotici, come per esempio la storia della Monaca di Monza e del delitto che commette con Egidio.
Nella edizione del ’27 con il titolo “Gli sposi promessi” sembra non ci sia spazio per le passioni e i personaggi sono meno incisivi.
Già in questa seconda edizione c’è una revisione della lingua anche se Manzoni non si è ancora avvicinato al fiorentino. Vengono tolti i motivi aulici, i lombardismi alla ricerca di una lingua di uso più comune.
La edizione del ’27 è in 3 tomi ed è evidente anche da questo che si sono state parecchie cesure.
Da questa edizione Manzoni rielabora ancora il romanzo ma non tocca né l’ideologia né la struttura.
Cerca però di uniformare la lingua del romanzo al fiorentino in uso nelle classi colte.
L’argomento del romanzo trae spunto dalle vicende storiche accadute a Milano tra il 1628 e il ’30, l’ambientazione è lombarda anche perché la situazione della Lombardia del ‘600 era simile a quella dell’800. Già nelle due tragedie Manzoni aveva ribadito il concetto di unità nazionale, di un’Italia soggiogata dallo straniero che cerca la libertà e l’indipendenza.
La scelta del ‘600 è politica e va a colpire il malgoverno spagnolo. Manzoni sottolinea un periodo di irrazionalità e di ignoranza che sono la causa di fatti negativi.
Gli stessi personaggi sono ignoranti e analfabeti e vengono opposti a personaggi colti di una certa classe sociale. Accanto ai personaggi storici ci sono anche caratteri inventati che rappresentano quel modo di vedere degli umili che non avevano mai avuto spazio nei romanzi precedenti.
L’artificio del manoscritto fa apparire due narratori: l’anonimo del ‘600 e il narratore moderno che è onnisciente, perché conosce già tutta la storia e si pone al di sopra dei personaggi.
Il Fermo e Lucia è diviso in quattro tomi; l’impianto è rigido, si parla di un personaggio alla volta, procede per blocchi compatti senza mai intrecciare le vicende dei vari personaggi.
Questo tipo di narrazione permette l’inserimento di digressioni di vari argomenti come : l’amore nella letteratura, la vicenda della monaca di Monza, la critica della società che costringe alla monacazione....
Vengono abbandonati gli elementi passionali, gotici che potevano accomunare Manzoni alla letteratura inglese e tedesca.
I personaggi dei Promessi Sposi sono più problematici, incarnano o il bene o il male.
L’edizione definitiva è divisa in 38 capitoli, diviso in blocchi narrativi. C’è simmetria tra i personaggi per esempio tra clero cattivo e clero buono e popolani cattivi e popolani buoni.
C’è distinzione tra tempo della storia, cioè della vicenda narrata e tempo del racconto. Si ha uno stile analitico se questi due tempi non coincidono e quello del racconto è più dilatato; è sintetico se invece coincidono.
Testi dal “Fermo e Lucia”: “Il conte del Sagrato”
“L’epilogo”
Dalla lettura della parte conclusiva dell’opera emerge che l’esperienza di Renzo è formativa, è una presa di coscienza. Renzo ora sa quello che si deve fare e quello che invece porta solo guai.
Secondo Gramsci il Manzoni è paternalista e reputa sbagliato ogni intervento degli umili, perché i giudizi giusti provengono solo dall’alto. Il popolo non può decidere.
L’esperienza di Lucia è diversa; lei asserisce che non ha mai cercato i guai ma loro le sono capitati, questo significa che la condotta migliore non assicura dai guai ma la fede in Dio aiuta a sopportarli.
In conclusione il romanzo non è idillico, ma aperto. L’unica cosa certa è che il credente può sopportare il dolore con serenità.
La provvidenza è vista dalla critica degli anni ’60 come la vera protagonista ed è una cosa che l’uomo può sondare ma non può prevedere. Secondo Raimondi la provvidenza è una categoria della coscienza; non è un’entità storica ma è l’agire a seconda del personaggio.

 

Fonte:

http://www.webalice.it/forluca/materials/appunti/ITALIANO.DOC

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