La decolonizzazione
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La decolonizzazione
- La decolonizzazione e il Terzo Mondo
La decolonizzazione
L’accesso all’indipendenza dei paesi colonizzati è uno dei fenomeni più importanti del ‘900. Iniziato già dopo la prima guerra mondiale, il processo di decolonizzazione ebbe la sua spinta decisiva nel secondo dopoguerra. Coinvolse prima l’Asia e poi l’Africa e si attuò secondo varie modalità (modello francese e modello inglese).
I paesi decolonizzati percepirono se stessi come un nuovo soggetto politico e andarono a costituire un terzo blocco (“terzo mondo”) accanto ai due già esistenti, agli interessi dei quali non intendevano soggiacere.
- I caratteri generali della decolonizzazione
E’ uno dei fenomeni più importanti del ‘900. Iniziato già dopo la prima guerra mondiale, ebbe la sua spinta decisiva nel secondo dopoguerra.
Le cause della decolonizzazione:
- durante la guerra, i gruppi indipendentisti e anticolonialisti che vengono appoggiati dai belligeranti contro i propri nemici (in Asia ad es. il Giappone appoggia i guerriglieri in funzione antinglese o antifrancese), acquistano forza e prestigio.
- Il ruolo di Usa e Urss: la decolonizzazione viene appoggiata per liquidare il vecchio ordine mondiale fondato sull’eurocentrismo e sostituire ad esso l’influenza delle due nuove potenze. Sebbene animate da volontà dominatrice (sostituire la loro influenza a quella dei vecchi dominatori), le due superpotenze ebbero un ruolo decisivo nell’avviare la decolonizzazione.
- Tanto più che il principio di autodeterminazione dei popoli, uscito dalla Carta atlantica del 1941, si imporrà come nuovo codice etico-politico internazionale.
Le forme della decolonizzazione:
- il modello inglese: graduale abdicazione al proprio dominio e trasformazione dell’Impero in una comunità volontaria di nazioni sovrane
- il modello francese: tenace resistenza ai modelli indipendentistici e tentativo di riunire le colonie in un unico Stato.
La persistenza del rapporto con l’Europa anche a decolonizzazione avvenuta: fondamentale sul piano culturale (lingua, costumi, ecc.), meno decisiva sul piano politico, difficilmente la democrazia di stampo occidentale si impose nelle colonie nelle quali si affermarono piuttosto regimi autoritari, per varie ragioni:
- il peso di una tradizione culturale differente che non rappresentava un terreno fertile per la democrazia
- il peso dell’eredità del governo Europeo, che era stato di tipo autoritario nelle colonie
- il carattere delle dirigenze locali, spesso cresciute nelle forze armate, e non espressione di borghesie radicate nella società
- grave arretratezza economica
- L’emancipazione dell’Asia (anni ‘40 e ’50)
L’Asia è il continente che si emancipa per primo (precede di dieci anni l’Africa) per varie ragioni:
- carattere avanzato della struttura politica e sociale: sede di culture e religioni millenarie, importante patrimonio filosofico
- maggiore consuetudine, rispetto all’Africa, ai contatti con gli europei, produce elités locali educate in università occidentali ma profondamente legate alla propria tradizione culturale (come è il caso dell’India).
Il caso dell’India: crescita del Partito del Congresso che con Gandhi riesce a ottenere importanti concessioni, come la Costituzione federale (1935). – Con Nehru, successore di Gandhi, l’India ottiene l’indipendenza nel 1947, dividendosi dal Pakistan musulmano (da cui nel 1971 si staccherà il Bangladesh). Il conflitto tra indù e musulmani (due guerre tra India e Pakistan per il controllo del Kashmir) e l’uccisione di Gandhi. – La tenuta della democrazia indiana nonostante i problemi dell’India indipendente: povertà, sovraccarico demografico, tensioni fra gruppi etnici e religiosi, permanenza di abiti mentali arcaici e divisione in caste.
Il Sud-Est asiatico: la decolonizzazione è caratterizzata dal confronto tra nazionalisti e comunisti, come in Cina. – In Birmania, Malesia, Indonesia, Thailandia (ex Siam) e Filippine, prevalgono le forze nazionaliste. – Negli Stati sorti dalla dissoluzione dell’Indocina francese prevalgono invece i comunisti: in Vietnam, i comunisti raccolti dal 1941 nella Lega per l’indipendenza (Vietminh), proclamano nel 1945 la Repubblica democratica del Vietnam. – I francesi non riconoscono il nuovo stato, occupano la parte meridionale del paese, ma vengono sconfitti a Dien Bien Phu nel 1954. Il Vietnam viene successivamente diviso in due Stati.
- Il Medio Oriente e la nascita di Israele
La decolonizzazione comincia agli inizi del Novecento e porta alla creazione della Lega degli Stati arabi. Inizi del ‘900: comincia a svilupparsi un movimento nazionale arabo. – In esso confluiscono due componenti: una tradizionalista (“integralismo islamico”), l’altra laica. Prevale la seconda. – Con la Seconda Guerra Mondiale, si accentua il processo di emancipazione e viene riconosciuta l’indipendenza degli stati creati dopo la Grande Guerra: Transgiordania, Siria, Libano (l’Iraq era già indipendente dal ’32). – Questi Stati, assieme all’Egitto, all’Arabia Saudita e allo Yemen, formeranno nel 1945 la Lega degli Stati Arabi. –
Resterà da sciogliere il nodo della Palestina. Resta da sciogliere il nodo della Palestina: non ancora indipendente dalla Gran Bretagna, era stata meta di emigrazione ebraica a durante la Seconda Guerra Mondiale e ciò alimentava la causa del Sionismo, appoggiata dagli Usa, ma ostacolata dagli inglesi. – Le organizzazioni militari ebraiche in Palestina passano alla lotta armata e gli inglesi si ritirano nel 1948, lasciando all’Onu il compito di trovare una soluzione al problema. – La risoluzione dell’Onu, la prima guerra arabo-israeliana, il dramma palestinese. – Caratteristiche di Israele: Stato moderno e occidentale dotato di forza insospettata: risorse esterne; preparazione e intraprendenza dei suoi dirigenti; forte motivazione patriottica dei suoi cittadini.
Le quattro guerre arabo-israeliane:
1948, Israele vince e si espande oltre i confini decisi dall’Onu
1956, Sinai
1967, 6 giorni (occupazione di Gaza)
1973, Kippur
- La rivoluzione nasseriana in Egitto e la crisi di Suez
La rivoluzione nasseriana (di impostazione socialista) elimina la sostanziale dipendenza dell’Egitto dagli Inglesi. L’Egitto nel corso degli anni ’50 diventa centro indiscusso e guida del nazionalismo arabo. – Formalmente indipendente nel ’22, il paese sembrava essersi accontentato del compromesso con gli inglesi del ’30 (che lasciava a loro il controllo del Canale di Suez), che di fatto faceva dell’Egitto una monarchia corrotta e inefficiente, di fatti in mano agli inglesi, contestata sia dalle forze progressiste sia dagli integralisti. – La scossa decisiva venne dall’esercito: un comitato di ufficiali capeggiato da Nasser rovesciò la monarchia. – La rivoluzione nasseriana: una serie di riforme in senso socialista, avvio di un industrializzazione; ambizione di assumere la guida dei paesi arabi nella lotta contro Israele; affrancamento da ogni condizionamento da parte di potenze ex coloniali (nazionalizzazione del Canale di Suez) e accordi ccon l’Urss per aiuti economici e militari.
La reazione delle potenze occidentali le porta ad appoggiare Israele nella guerra del ’56, durante la quale viene occupato il Sinai. Si diffonde per reazione il panarabismo, che però non avrà molto successo. Si aprì così una crisi internazionale e nel ’56, d’intesa con Francia e Inghilterra, Israele attaccò l’Egitto e lo sconfisse occupando il Sinai, mentre Francia e Inghilterra rioccupavano la zona del canale. Il mancato appoggio americano fece fallire le iniziative dei tre stati contro l’Egitto. – Effetto immediato della guerra: diffusione del panarabismo e del nasserismo nel mondo islamico: nel ’58 la Siria accetta di fondersi all’Egitto, mentre in Iraq prendono il potere i militaristi nazionalisti (tentativi analoghi falliscono in Libano e Giordania). Il panarabismo nella versione nasseriana tuttavia non avrà successo (gelosie nazionali e divisioni interetniche), anche se il suo richiamo rimase molto forte. – Di ispirazione nasseriana fu ad esempio la rivoluzione che nel 1969 portò al potere Gheddafi in Libia: espulsione degli italiani, nazionalizzazione del petrolio, forma inedita di “socialismo islamico”, dinamismo in politica estera.
- L’indipendenza dei paesi del Maghreb
Gli anni ’50 sono anche gli anni dell’indipendenza del Marocco e della Tunisia e di quella ben più cruenta dell’Algeria. Negli anni ’50 avviene l’emancipazione dei paesi del Maghreb. – Nel ’56 – dopo una serie di repressioni militari – diventano indipendenti dalla Francia Marocco e Tunisia, che manterranno una posizione moderata e filo-occidentale in politica estera.
Ben più cruenta invece la vicenda dell’Algeria, dove erano presenti oltre un milione di francesi che detenevano privilegi rispetto agli algerini. – Soprattutto dopo il successo della rivoluzione nasseriana, i nazionalisti si mostrano meno inclini alle soluzioni moderate e fondano l’Fln, il cui capo è Ben Bella. – Lo scontro culmina nel ’57 nella battaglia di Algeri, con drammatici episodi di guerriglia urbana, che dura quasi nove mesi. Temendo un cedimento da parte del governo di Parigi, i coloni più oltranzisti fondarono un Comitato di salute pubblica. Ciò mise definitivamente in crisi la Quarta repubblica e spianò la strada al ritorno al potere di De Gaulle, che pose fine alla questione algerina nel ’62, con gli accordi di Evian. I coloni francesi in Algeria abbandonarono in massa il paese.
- L’emancipazione dell’Africa nera – Il 1960, anno dell’Africa
Quando. L’emancipazione dell’Africa subsahariana comincia nel 1957 con il Ghana (Costa d’Oro) e poi la Guinea nel ’58. – Il 1960 viene definito “anno dell’Africa” perché numerosi stati ottennero l’indipendenza, fra questi: Nigeria, il Congo belga (Zaire), Senegal, Somalia.
Carattere generalmente pacifico, tranne quando sono in gioco interessi economici forti che creano conflitti. In generale si trattò di processi di emancipazione pacifici e pilotati dalle stesse colonie che poi mantennero rapporti con le ex colonie; tuttavia, in alcuni casi in cui erano in gioco interessi più forti o erano presenti conflitti etnici, tribali, politici e religiosi, il cammino fu più lento e difficoltoso. Si vedano ad esempio i casi del 1) Kenya (1963), dove agivano i Mau-Mau; 2) della Rhodesia del Sud (1980, Zimbabwe), dove era presente una minoranza bianca decisa a mantenere le proprie posizioni e i propri privilegi; 3) dell’Unione Sudafricana (uranio, oro e diamanti; contrasti politici e tribali; consistenza della comunità bianca), dove era presente il regime dell’apartheid, che fu addirittura inasprito negli anni ’50 e ’60. 4) del Congo, lasciato in una situazione di grave arretratezza dalla dominazione belga (sanguinosa guerra civile e tentativo di secessione del Katanga, ricca provincia mineraria); 5) della Nigeria (sanguinosa repressione del tentativo di secessione del Biafra); 6) dell’Etiopia (indipendentisti eritrei).
I conflitti si spiegano anche alla luce della fragilità delle strutture politiche africane, che sebbene rafforzate dai colonizzatori restano fragili. Tutti questi conflitti si spiegano alla luce della fragilità delle istituzioni statali africane: rispetto alla frammentazione delle società tradizionali africane (che impedivano il reale successo di ideologie come il “panafricanismo”, la “negritudine” teorizzata da Senghor o “il socialismo africano” presente soprattutto in Tanzania) l’organizzazione statale e le frontiere ereditate dall’età coloniale, sebbene fonte di discordie e divisioni, offrivano comunque un principio di aggregazione più avanzato. D’altra parte anche questo principio di aggregazione si scontrava con l’eterogeneità di lingue, popolazioni e culture, determinando difficoltà formidabili nella stabilità di regimi democratici, che nel giro di pochi anni lasciarono spazio a dittature: Idi Amin (Uganda, ‘71-79).
La seconda decolonizzazione degli anni ’70 dovuta alle nuove forme di dipendenza economica instauratasi dopo la prima decolonizzazione. All’instabilità politica si aggiungeva la debolezza economica che rischiava di provocare una nuova dipendenza dai paesi industrializzati (neocolonialismo) e fu per questo che alcuni paesi africani imboccarono – senza però conseguire risultati significativamente differenti – la strada del socialismo marxista, appoggiata dall’Urss: Tanzania, Congo Brazzaville, Benin. E infine l’Etiopia di Menghistu, l’Angola e il Mozambico, che furono protagonisti di una “seconda decolonizzazione africana” intorno al 1975.
- Il Terzo Mondo, il “non allineamento” e il sottosviluppo
I nuovi paesi decolonizzati, sentono di costituire un nuovo soggetto politico sulla scena internazionale è non vogliono assoggettarsi agli interessi dei due blocchi dominanti (costituiscono così il “terzo mondo”): la loro parola d’ordine è “non allineamento”. I paesi di nuova indipendenza si affacciano sulla scena internazionale convinti di condividere un’eredità comune che li fa portatori di interessi comuni: garantirsi dalle tendenze egemoniche delle superpotenze. – Sulla scena politica internazionale, la loro parola d’ordine è “non allineamento” rispetto ai due grandi blocchi, americano e sovietico, nel tentativo di costituire un “Terzo mondo”, distinto sia dal capitalismo che dal comunismo. – La consacrazione ufficiale di questo indirizzo si ha nella conferenza di Bandung in Indonesia (1955).
Nacque allora e si diffuse, anche nella sinistra occidentale, il “terzomondismo”, ideologia che identificava nei paesi decolonizzati il principale fattore di mutamento a livello mondiale, destinato a erodere l’egemonia delle superpotenze. In realtà le divisioni e le differenze tra i paesi non allineati li portarono comunque a effettuare scelte di campo per motivi ideologici o di convenienza politica; ciò non toglie che essi abbiano impresso una nuova fisionomia alla comunità internazionale, rendendola non più irriducibile alla contrapposizione tra i due blocchi.
Dal punto di vista economico, però, sono caratterizzati dal sottosviluppo. Se dal punto di vista politico il non allineamento era il comune denominatore del Terzo Mondo, il sottosviluppo era il comune denominatore economico. Non si trattava di un sottosviluppo nuovo e sconosciuto, ma nuova ne fu la percezione, sotto l’influenza dell’allargamento dell’orizzonte mondiale provocato dalla decolonizzazione e grazie all’atteggiamento “rivendicazionista” assunto dalla maggior parte dei paesi del Terzo mondo nei confronti dell’Occidente.
- Dipendenza politica e instabilità economica in America Latina
Un discorso a parte va fatto per l’America Latina: la sua indipendenza politica era da tempo consolidata e lo sviluppo in parte già avviato; essa scontava ancora tuttavia il peso di una diffusa arretratezza economica e della dipendenza dagli Usa, che agli inizi del ‘900 si erano sostituiti alla Gran Bretagna. – L’influenza degli Usa era differente secondo le situazioni: nel caso del Messico, ad esempio, i capitali americani concorsero alla crescita industriale; in altri casi, invece, come nel Centro America, gli Usa erano diventati alleati delle oligarchie terriere locali che si arricchivano sfruttando la monocoltura. Gli Usa inoltre perseguivano nel continente una funzione di tutela dalla penetrazione comunista (politica panamericana). – Con la seconda guerra mondiale e con la guerra di Corea, si era avuto un notevole sviluppo economico dei paesi dell’America Latina (che si erano avvantaggiati delle diminuite capacità esportative degli Usa e degli altri paesi occidentali). Ciò aveva fatto crescere un ceto medio urbano di sentimenti nazionalisti, aspirante al rinnovamento e preoccupato di garantirsi contro le spinte dal basso (classi subalterne). Ne derivò una situazione politica complessa, da cui emersero soluzioni differenti oscillanti fra liberalismo, populismo e autoritarismo. Si vedano l’Argentina di Péron, il Brasile di Vargas e altri Stati del Sud America che fra il ’50 e il ’60 soffrirono di elevata instabilità politica. – In un quadro di generale debolezza delle forze di sinistra, assunse enorme rilievo la rivoluzione castrista a Cuba. Castro rovesciò, senza ostacoli da parte Usa, la dittatura di Batista nel ’59; ma quando tentò di colpire il monopolio esercitato sullo zucchero dalla United Fruit (una compagnia americana?), gli Usa assunsero un atteggiamento ostile. Castro si rivolse all’Urss, che lo appoggiò, e il regime cubano andò orientandosi sempre più verso il socialismo, mirando a esportare il suo modello rivoluzionario in tutto il mondo (Che Guevara cercò di suscitare la rivoluzione in tutta l’America Latina). Per cercare di attenuare la portata della sfida cubana, gli Usa risposero con un programma di aiuti all’America Latina (l’Alleanza per il progresso), che però non bastava a bilanciare il loro strapotere economico su buona parte del continente.
Fonte: http://digidownload.libero.it/davide.cantoni/Filosofia%20e%20storia/Storia%20CONTEMPORANEA.zip
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