Storia usi e costumi degli indiani d’ America

 


 

Storia usi e costumi degli indiani d’ America

 

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Storia usi e costumi degli indiani d’ America

 

Usi e costumi degli indiani d’ America

 

L'uso del termine Indiani, risale alle prime fasi dell'esplorazione del sub-continente nordamericano. Si giustificava col fatto che Cristoforo Colombo, col suo viaggio transoceanico intendeva trovare una rotta alternativa per giungere sulle coste del subcontinente indiano.

Il territorio degli Stati Uniti non vide la nascita delle grandi civiltà precolombiane del Centro-Sud America (Maya, Aztechi), ciò nonostante in questi territori vissero per millenni tribù organizzate sulla caccia e sull'agricoltura.

 

Nel Sud Ovest vissero tanto popoli di cacciatori-raccoglitori (fra cui gli Apache) quanto popoli di orticoltori, come i Mojave, i Navajo. Nonostante la sua aridità, la regione offriva considerevoli quantità di cibi selvatici, sia animali che vegetali, che fornivano il sostentamento necessario ai numerosi insediamenti, organizzati patrilinearmente o matrilinearmente. Erano frequenti le incursioni

contro gli orticoltori vicini.

 

La zona delle Pianure (ovvero le praterie che si estendono dal Canada centrale fino al Messico e dal Midwest alle

Montagne Rocciose) è sempre stata abitata da popolazioni che vivevano in piccoli gruppi nomadi al seguito delle grandi mandrie di bisonti, in quanto la caccia ha costituito la principale risorsa alimentare fino al 1890, anche se lungo il Missouri e altri fiumi delle pianure erano presenti forme di agricoltura stanziale.

Ma chi erano gli indiani delle pianure? Trenta tribù in tutto, tra cui le più conosciute erano Arapaho, Piedi Neri, Cheyenne, Comanche, Crow, Sioux e Wichita. La più grande e potente di tutte le tribù era quella dei Sioux, a volte chiamati anche Dakota.

Per i SIOUX nella scala di valori comportamentali il coraggio occupava il primo posto. Sin dalla prima infanzia, il coraggio di un uomo veniva costantemente messo alla prova dai membri più anziani della tribù. Piangere per la sofferenza, mostrare i sentimenti (anche amore e amicizia) troppo apertamente veniva considerato in maniera negativa. Poi, c'era la generosità. I membri della tribù che possedevano beni materiali dovevano dividerli con coloro che non possedevano nulla. Per i Sioux non era la ricchezza a definire lo status ma la generosità, specialmente nei confronti degli orfani, dei disabili e degli anziani.

Erano Sioux molti personaggi famosi, alcuni conosciuti tanto quanto i loro avversari bianchi. Tra questi Toro Seduto, Cavallo Pazzo, Nuvola Rossa.

Più a ovest dei Síoux c'erano i Cheyenne. Tra di loro molti. erano giovani audaci agguerriti; furono forse loro gli indiani che cercarono dì fermare il passaggio della ferrovia attraverso le loro terre, facendo deragliare una locomotiva e assaltando un treno in corsa. Nel corso del XIX secolo i Cheyenne rischiarono di estinguersi. I cacciatori di pelli avevano portato il vaiolo, che contagiò la popolazione, decimandola. Nel 1849 fu poi la volta del colera, portata dagli emigranti che infettarono più di un terzo della tribù.

Le pianure del Nordest erano territorio dei Crow e dei Piedi Neri. Le tribù Crow e Piedi Neri erano aggressive, in continua lotta tra loro e con molte tribù vicine; l'arrivo dei cavalli e il commercio delle pellicce, poi, contribuirono decisamente all'intensificarsi delle ostilità.


LA SOCIETA' INDIANA

L'organizzazione sociale degli indiani d'America era quasi ovunque incentrata sulla famiglia. Le popolazioni vivevano in villaggi spesso alleati tra loro; ogni villaggio era governato da capi che per decisioni importanti si riunivano in consiglio. In molte aree, le famiglie erano legate in clan.

 

Con tutte queste tribù che si spostavano nelle grandi pianure e parlavano dialetti diversi, fu necessario sviluppare un comune linguaggio dei segni. Il semplice sistema di comunicazione per mezzo di gesti era usato da tutti gli indiani dei Nordamerica, ma fu nelle pianure che questo tipo di comunicazione raggiunse la sua massima diffusione. Come qualsiasi altra lingua, cambiò continuamente e si diffuse sempre più finche la civiltà indiana delle pianure non venne distrutta.

Falco di Ferro rispose che era stato un dono del Grande Spirito. «Ai bianchi è stata data la capacità di leggere e scrivere» aggiunse. «A noi il Grande Spirito ha dato la capacità di parlare con le nostre mani e con le braccia, di mandare informazioni con gli specchi, le coperte e i cavalli; così, quando incontriamo indiani che parlano una lingua diversa dalla nostra, possiamo comunicare con il linguaggio dei segni.» Per esempio, per dire: «raggiungerò il mio campo nel giro di un mese» con il linguaggio dei gesti, bisognava dire: «luna finita, io arrivare mio campo».

 

Una delle attività più famose presso gli indiani era la caccia al bisonte, di cui esistevano centinaia di migliaia di esemplari in tutto il territorio, dal Canada fino al Texas.

«Con la pelle di bisonte facevano case, vestiti, scarpe e corde; dalle budella ottenevano matasse di fili che impiegavano per l'abbigliamento e la casa;

con le ossa realizzavano utensili vari; il letame lo usavano come legname visto che nelle pianure di legna non ce n'era molta; gli stomaci diventavano contenitori o borracce per l'acqua. Ne mangiavano la carne arrosto o cruda, strappata a mani nude o con un coltello. Ne ingoiavano grossi bocconi mezzi masticati, mangiavano anche il grasso senza cuocerlo, e quando non avevano altro cibo a disposizione ne bevevano il sangue. »

Come il cavallo, il bisonte entrò nella mitologia e nella religione indiana, diventando un animale sacro. Quasi ogni cerimonia importante includeva alcuni simboli che richiamavano quell'animale. La Danza dei Sole avveniva attorno a un'effigie di bisonte con danzatori che trascinavano teschi di bisonte legati ad aste a raggiera attorno ai loro corpi. Inoltre, il pelo del bisonte era di estrema importanza nella preparazione di medicamenti vari. Infine, senza l'aiuto dello spirito di un bisonte, nessun cacciatore aveva possibilità di avere successo nella caccia o in guerra.

 

Prima dell'arrivo dei cavalli, i bisonti venivano cacciati con diverse tecniche. Una delle leggende più famose narra che gli indiani cercavano di ucciderli spingendoli giù da alti dirupi per poi ripulirne la carcassa della pelle e della carne. Questo metodo veniva a volte usato da tribù che vivevano alle pendici delle Montagne Rocciose, dove non mancavano precipizi adatti. Negli spazi aperti delle ampie vallate, invece, non era facile trovare una mandria in prossimità di un burrone. Il metodo usato più comunemente era quello di isolare alcuni animali appartenenti a una mandria con l'aiuto di numerosi cacciatori e tentare di uccidere più bisonti che fosse possibile prima che questi potessero fuggire. Alcune tribù nelle pianure settentrionali misero a punto una trappola che consisteva nell'accatastare rocce e travi in modo da formare una V, ossia un tunnel all'interno del quale si poteva spingere l'animale per sopprimerlo.

Quando i cacciatori si avvicinavano alla mandria, venivano prese precise precauzioni per non spaventare gli animali. L'attacco veniva sempre sferrato controvento affinche gli animali non percepissero l'odore dei cacciatori e, dov'era possibile, colline, canyon o altre formazioni naturali venivano usate come riparo.

Alcuni cacciatori modificarono le armi dei bianchi per renderle adatte alla caccia al bisonte, altri invece preferirono continuare a utilizzare arco e frecce. «Bastava una sola freccia per stendere a terra un bisonte». «Miravano sotto la spalla e scoccavano le frecce con un forza da trapassare i polmoni dell'animale.» Francis Parkman vide un cacciatore Sioux Ogala conficcare una freccia così in profondità da farla scomparire dentro la carne dell'animale.

Di solito, dopo la caccia aveva luogo una grande festa. Verso sera, si accendevano enormi fuochi per cucinare i pezzi di carne migliori: teste, lingue e costole.

 

Quando gli indiani del Sudovest videro per la prima volta i CAVALLI ne furono spaventati e credettero che gli spagnoli che li montavano fossero dei mostri con testa e tronco umani e quattro zampe di animale. Per tutte le pianure si sparse la voce che quegli esseri spaventosi divoravano la gente, anche se tali credenze non durarono a lungo.

Pochi anni dopo l'arrivo dei primi esemplari, i cavalli iniziarono a essere considerati animali sacri inviati dagli dei per il bene degli uomini. Alcune tribù lì introdussero nei loro villaggi coprendo di panni il suolo che calpestavano. Dal momento che non esisteva un nome per il cavallo, dovettero inventarne uno. La parola cane era usata molto spesso, perciò dapprima definirono il cavallo «il grande cane dell'uomo bianco». I Sioux usarono le parole sunka wakan, ossia «caní misteríosi», e i Piedi Neri «caní daini».

Sin dalla nascita, gli indiani che abitavano le pianure entravano a stretto contatto con i cavalli. In alcune tribù, dopo il parto, le madri prendevano il cordone ombelicale del neonato e lo legavano alla coda o alla criniera del loro pony preferito; in altre tribù, invece, lo seppellivano sotto le orme lasciate dai cavalli per assicurare ai figli l'armonia con gli animali

 

Abitazioni

Gli indiani d'America vivevano in tende fatte di pelli nei climi più miti. Dove abbondava il legname venivano costruite case di legno, altrove si utilizzava la paglia per coprire semplici capanne: Le case di paglia dei Wichita erano prodigi d'ingegneria realizzati con materiali semplici.

Le attività in cui erano impegnate le donne ruotavano tutte attorno alla tenda. Si occupavano di tutto ciò che riguardava la sua costruzione, conciando le pelli secondo le esigenze. In un giorno solo con l'aiuto degli amici tutte le pelli necessarie per costruire una tenda potevano essere sparse a terra ed essere cucite insieme in forma semicircolare.

Per fare una copertura di medie dimensioni, servivano dalle quindici alle diciannove pelli, o comunque un numero dispari secondo la tradizione. I Cheyenne credevano che una copertura composta da un numero dispari di pelli avrebbe tenuto meglio. La struttura di sostegno della tenda era composta da circa venti pali, preferibilmente in legno di cedro, disposti su un cerchio dì circa quattro o cinque metri di diametro, fissati saldamente al terreno e con le estremità superiori coperte.

Le porte erano costituite da pelli di bisonte attaccate a una struttura di legno di salice. Dentro la tenda, al centro c'era il focolare, dove veniva sempre tenuta della brace accesa; il fumo usciva dall'apposito foro lasciato aperti in cima alla tenda.

In ogni tenda c'erano tre basse panche, usate di giorno come sedili e di notte come giacigli. Venivano coperte con pelli di bisonte per tenere lontana la pioggia che poteva cadere dal camino superiore durante i temporali. Nonostante le tende sembrassero perfettamente coniche, in realtà non lo erano. La parte posteriore veniva lasciata più corta delle entrate rivolte ad est per opporre maggiore resistenza al forte vento proveniente da ovest che soffiava sulle pianure.

 

LO SCALPO

Scotennare il nemico fu una consuetudine diffusa originariamente in alcune vaste zone dell'America del Nord. Lo scalpo era formato solitamente da una piccola parte rotonda del cuoio capelluto, larga 415 centimetri di diametro, che veniva staccata dì netto, a volte aiutandosi perfino con i denti. Se l'esecuzione era eseguita bene si sentiva il caratteristico flop della pelle che si staccava dal cranio; l'operazione era molto dolorosa, ma non mortale. Vi sono stati molti casi di persone scotennate e sopravvissute.

Alcune tribù usavano invece prendere tutta la capigliatura, staccando tutta la pelle: a volte gli scalpi, che avevano un grande valore, perché i parenti dell'ucciso avrebbero fatto di tutto per riaverli, anche pagando profumatamente, se l'uso della forza non era possibile. In molte nazioni scotennare un nemico significava privarlo della possibilità di raggiungere l'aldilà; lo scalpo era considerato un'estensione dell'anima e mantenendo la capigliatura dell'uomo si lasciava la sua anima vagare nella terra.

Gli scalpi dei soldati non avevano valore. II soldato bianco portava i capelli corti e combatteva in maniera diversa dai guerrieri indiani, un modo che non lasciava quasi mai spazio al valore individuale o         a gesti audaci.

I Mescaleros, ad esempio, non scotennavano mai nessuno, perché avevano un sacro timore dei morti e            credevano che per loro ogni occasione fosse buona per tornare a molestare i vivi. Altre tribù Apache sottoponevano i guerrieri che avevano preso scalpi a riti di purificazione, per tenere lontano lo spettro del morto.

La colonia del Massachusetts pagava l'equivalente di 60 dollari, nel 1703, per ogni scalpo indiano. Le capigliature erano quotate a seconda dell'età e del sesso: ciò portò a marcare gli scalpi con alcuni simboli e colori tipici per ogni categoria di persona scotennata. Gli scalpi venivano raccolti da commercianti, che potremmo definire grossisti, impacchettati e imballati in confezioni di un centinaio di pezzi ognuna.

Ogni spedizione contava almeno 7001800 pezzi e veniva spedita via terra o via canoa. Dato l'alto valore in danaro degli scalpi, questo genere di traffico attirava molti individui senza scrupoli che pur di guadagnare non badavano tanto per il sottile a chi appartenesse lo scalpo, se a indiani amici o nemici,

 

le donne I loro compiti erano innumerevoli: scuoiavano animali, affumicavano la carne, confezionavano tutti gli indumenti, anche i mocassini, erano espertissime conciatrici di pelli: riuscivano a renderla morbida come un tessuto (una donna riusciva a conciare 4 pelli di montone all'anno), e poi raccoglievano la frutta, pestavano il mais e il miglio, cucinavano, montavano e smontavano le tende, e, naturalmente, accudivano i figli.

In effetti le donne erano oggetto di p

premure e di attenzioni: a cominciare dal mattino quando il marito spazzolava i capelli alla moglie (con una coda di porcospino attaccata ad un impugnatura decorata), le faceva le trecce e le dipingeva il viso

Il matrimonio era tenuto in grande considerazione presso i Sioux. La celebrazione (se così si può chiamare) consisteva nel fatto che il fidanzato andava a prendere la ragazza nel tepee dove alloggiava con la sua famiglia e la portava nella loro tenda (preparata precedentemente dalle donne imparentate con la sposa). Lei dava subito dimostrazione di essere a casa sua: accendeva il fuoco al centro della tenda, sedendosi al posto della moglie a destra del focolare, di fronte si sedeva il marito, nel posto proprio del capofamiglia. Senza altre formalità erano marito e moglie. Il matrimonio doveva essere consenziente, poteva esserci un accordo tra la famiglia di lei e quella dello sposo oppure si poteva fuggire mettendo entrambe le famiglie di fronte al fatto compiuto o ancora, in casi estremi, la donna veniva rapita direttamente, senza perdere tempo.

Se la cerimonia del matrimonio era piuttosto semplice e diretta, il corteggiamento era invece un rito lungo e complicato: un metodo molto diffuso era quello di mettersi sulla via dell' acqua e aspettare che le donne passassero per attingere l'acqua o per lavare i panni, afferrare la sottana o colpirla a distanza con dei sassolini. Se lei rallentava il passo significava che il corteggiatore aveva il permesso di affiancarsi e parlarle, se non era interessata lo avrebbe ignorato

Altro tipo di corteggiamento era quello della coperta: i corteggiatori si presentavano dopo il tramonto davanti al tepee della famiglia di lei e chiedevano di sedersi accanto alla ragazza, avvolgendola nella coperta. Se lei gradiva, la conversazione si prolungava, e non era raro che ci fosse qualche "approfondimento" reciproco della conoscenza del corpo dell'altro. Ma sempre da seduti. Era vietato sdraiarsi sotto la coperta. Se lei non gradiva, il corteggiatore veniva congedato in fretta.

In genere i divorzi erano dovuti ai tradimenti, ma se un marito infedele non poteva essere punito dalla propria donna (che aveva solo il diritto di andare in collera e di divorziare), per una donna infedele la punizione era peggiore : al primo tradimento il marito aveva il diritto di tagliarle una treccia (due se era particolarmente geloso) e se l'infedeltà era recidiva poteva arrivare a mutilarla tagliandole via il naso.

 

Religione

Gli indiani d'America coltivavano una grande varietà di credenze religiose. La maggior parte delle popolazioni venerava un'entità spirituale, origine di tutte le cose, che veniva identificata in diverse realtà o eventi: come luce e forza vitale (era allora rappresentata dal sole); come fertilità (e quindi aveva sede nella terra); come conoscenza e potere, di cui erano depositari principalmente alcuni animali, quali il giaguaro, l'orso, il serpente.

Alla base di tutta la spiritualità sioux esisteva una forza generale, che animava ogni cosa chiamata Wakan, specie di frammentazione del Grande Spirito della Natura, Wakan Tanka (il Grande Mistero). Fenomeni naturali come il vento, le stelle o la nascita di un bambino venivano considerati Respiro (frammenti) del Grande Mistero.

Wakan Tanka, era concepito come una forza invisibile presente in tutte le cose, ovvero si identificava con la stessa natura. Scrive Eastman:

agli elementi e alle grandiose forze della natura — il Fulmine, il Vento, l'Acqua, il Fuoco e il Gelo — si guardava con sacro timore come a potenze spirituali, ma sempre di carattere secondario e intermedio. Noi credevamo che lo spirito permeasse di sé tutto il creato, e che ogni essere avesse un'anima anche se in gradi diversi, e non necessariamente un'anima consapevole. L'albero, la cascata, l'orso grigio incarnano tutti una Forza, e come tali sono oggetto di venerazione.

 

C'erano complesse pratiche tradizionali come la ricerca della visione, il rito della Capanna dei Sudore e la Danza dei Sole si cercava proprio il contatto con il Grande Mistero . Per provocare visioni venivano spesso somministrati allucinogeni, tra cui ìl peyote, all'intemo di cerimonie caratterizzate da canti e digiuni. Peyote o Mescal Piccolo cactus privo di spine, dalla forma simile al tubero della rapa, diffuso in Messico e nelle regioni sudoccidentali degli Stati Uniti. Le infiorescenze grigiastre della pianta (dette bottoni di peyote o di mescal) hanno la forma di un fungo e contengono diversi alcaloidi, dei quali la mescalina è il più noto; essa è una droga piuttosto potente e pericolosa, che viene consumata sotto forma di diverse preparazioni, ottenute dai bottoni essiccati. La mescalina può provocare, in chi ne fa uso, un'alterazione delle percezioni sensoriali, ansia, eccitazione, tremori, anche se, diversamente da altre droghe

 

Importante era il culto dei morti, di cui erano ministri gli sciamani, un uomo o una donna in grado di avere esperienze extracorporee, di comunicare con gli spiriti e  di recarsi nel loro mondo; lo sciamano ha il potere di guarire dalle malattie, di interpretare i sogni e di predire il futuro, così come di assicurare il successo nella caccia o in guerra. Molte storie si narrano su individui capaci di mutare il proprio aspetto in quello di un animale, grazie a poteri magici o, talvolta, con l'inganno: uno di questi, le cui vicende sono tuttora oggetto di racconti assai diffusi, è Coyote, che riveste un ruolo di eroe culturale, ma che compare anche in veste di imbroglione licenzioso e avido.

 

totem Il termine viene comunemente utilizzato per indicare gli alti pali di legno sui quali alcune tribù indiane d'America, ancora oggi, incidono e dipingono le immagini degli animali-antenati. Il totem rappresentava il più delle volte una serie di animali e più raramente vegetali e fenomeni naturali. In molti casi esso diventava oggetto di culto della tribù che in esso vedeva il proprio antenato cui erano attribuite delle gesta mitiche.

Il totem viene scelto di norma da un individuo (che in questo caso stabilisce con il totem una relazione personale), oppure da un clan, che ne fa il suo emblema per distinguersi da altri gruppi o clan. Il totem è considerato un compagno o un aiutante e spesso gli vengono attribuiti poteri soprannaturali; è rispettato e venerato, ed è diffuso il divieto di cacciare o raccogliere l'animale o la pianta cui è riferito e di cibarsene.

 

La DANZA DEL SOLE veniva praticata quasi esclusivamente dagli indiani delle pianure e variava a seconda del ceppo linguistico. Si trattava di una cerimonia a cadenza annuale, che aveva luogo nella tarda primavera o all'inizio dell'estate, in cui abbondavano i simboli religiosi che rappresentavano la rinascita della tribù. I preparativi duravano circa quattro giorni: i festeggiamenti, che includevano danze, veglie funebri, digiuni, autotorture e visioni rivelatrici, ne duravano altri quattro.

«Per prima cosa le tribù invitate arrivavano al campo» «Ciascuna si accampava per conto proprio. Anche se alcune tribù erano storicamente nemiche, durante le Danze del Sole sospendevano le rivalità, si facevano visita, si stringevano la mano e formavano alleanze, trascorrendo alcune settimane in questo clima di armonia.»

Era diventato il palo che raffigurava il sole. Ai rami rimasti attaccarono dei sacchetti medicinali, un telo scarlatto e due sagome ritagliate dalla pelle del bisonte, una a forma di bisonte e l'altra a forma di uomo; ciascuna delle due figure era dotata di un enorme fallo che doveva rappresentare la vita e la fertilità della stagione estiva. Inoltre, saldamente attaccati alla cima del palo, una dozzina di lacci di cuoio lunghi fino a terra pendevano per i giovani indiani che dovevano compiere i loro voti e che erano in attesa dentro la tenda. "

Attorno al palo, furono piantati paletti di legno a formare due cerchi concentrici.

Alla prima cerimonia parteciparono i capi e gli anziani, marciando attorno al palo e rivolgendo gesti drammatici alle figure poste sulla cima del palo. Un banditore ufficiale della tribù diede poi inizio alle donazioni, invitando tutti a porgere doni alle vedove, agli orfani e alle famiglie povere I restanti giorni della Danza del Sole erano tradizionalmente dedicati ai giovani che dovevano sottoporsi a torture per far fede ai loro voti. Dopo rituali che variavano da tribù a tribù, circa una dozzina di partecipanti coperti solo da un panno sulle parti intime si presentavano al cospetto degli sciamani che incidevano i loro petti evi infilavano spilloni di legno che perforavano i loro muscoli pettorali. Gli spilloni venivano legati alle grosse briglie in pelle di animale che pendevano dalla cima del palo.

Così imbrigliati i danzatori si allontanavano finche il loro laccio non si staccava. A questo punto, con le braccia alzate al cielo e in bocca un fischietto dì osso d'aquila, i danzatori iniziavano a ballare rivolti verso il sole

 

DREAM CATCHER SECONDO LA CULTURA LAKOTA

Nei tempi antichi, quando il mondo era giovane, un vecchio uomo-medicina si trovava sulla cima di un monte ed ebbe una visione. lktome, grande maestro di saggezza ma un po' briccone, gli apparve sotto forma di ragno e gli parlo' in una lingua sacra. Disse al vecchio lakota dei cicli della vita, di come iniziamo a vivere da bambini passando dall'infanzia all'eta' adulta, e alla fine diventiamo vecchi e qualcuno si prende cura di noi come se fossimo diventati un'altra volta bambini, così' si completa il ciclo.

Mentre parlava lktome il ragno prese all'anziano un cerchio che aveva con lui, era un cerchio di salice al quale erano attaccate delle piume e delle crine di cavallo abbellite da perline e c'erano anche attaccate delle offerte sacrificali. Prese il cerchio e inizio' a tessere una rete all'interno, mentre tesseva continuava a parlare e disse: "in ogni periodo della vita vi sono molte forze, alcune buone e altre cattive, se ascolterai le forze buone queste ti guideranno nella giusta direzione, ma se ascolterai quelle cattive andrai nella direzione sbagliata e questo potrebbe danneggiarti. Dunque, queste forze possono aiutarti oppure, possono interferire con l'armonia della natura".

Mentre il ragno parlava continuava a tessere nel cerchio la sua tela, quando finì di parlare Iktome consegnò all'anziano il cerchio con la rete e disse: " la ragnatela è un cerchio perfetto con un buco nel centro, utilizzala per aiutare la tua gente a raggiungere i loro obiettivi, facendo buon uso delle idee, dei sogni e delle visioni. Se crederete in WAKAN TANKA, la rete tratterrà le vostre visioni buone, mentre quelle cattive se ne andranno attraverso il buco centrale".

L'anziano uomo-medicina raccontò questa sua visione alla sua gente e da allora i lakota ritengono l'acchiappasogni un oggetto sacro e lo appendono all'entrata dei loro tepee per filtrare i sogni e le visioni. Quelli buoni sono catturati nella rete e quelli maligni scivolano nel buco centrale e scompaiono per sempre.

Nelle leggende delle tribù diverse l'acchiappasogni è entrato nella cultura dei nativi, queste leggende sono diverse tra loro anche ma è ritenuto da tutti un oggetto sacro e che serve per filtrare i sogni.

 

Per la Nazione sioux, come per altri popoli nativi del Nord america, la pipa ( channunpa ) rappresenta I 'oggetto sacro per eccellenza, presente in tutte le cerimonie.

Secondo Alce Nero venne donata ai Lakota da Whope, Donna Bisonte Bianco, la bella, e anche nei racconti di altri informatori, pur con versioni un poco diverse, viene confermata questa origine. Ella diede precise istruzioni sul modo di usarla e sulle funzioni; assicurò inoltre ai Lakota che sarebbe stata presente ogni volta che la pipa fosse stata usata nel modo sacro e avrebbe portato le loro preghiere a Wakan Tanka (il Grande Mistero).

La pipa è composta di due parti: il cannello, che rappresenta l'albero della vita e il fornello a forma di T o di L, che simbolizza il mondo, la creazione. Quando non è usata, le due parti sono conservate separate in una borsa di pelle di daino o di cervo decorata. Poiché essa è dotata di grande potere e l'atto di collegarla equivale all'unione tra maschile e femminile, tra cielo e terra, tra mondo spirituale e mondo fisico, mantenerla collegata costituirebbe un sacrilegio.

Essa inoltre racchiude in sé altre simbologie: secondo Alce Nero, le penne che pendono dove il cannello si incastra nel fornello rappresentano tutti gli esseri alati, così che " tutti questi popoli e tutte le cose dell'universo si uniscono a voi che fumate la pipa, tutti mandano le loro voci a Wakan Tanka". I sioux fumano una mistura chiamata chanshasa, ottenuta prevalentemente con la corteccia interna essiccata del salice rosso alla quale vengono mescolate delle erbe aromatiche e, a volte, del tabacco. La pipa, offerta alle quattro direzioni, al Cielo e alla Terra, viene passata di mano in mano in senso orario e, seguendo un preciso rituale, fumata da tutti, che in tal modo si uniscono come fossero una cosa sola ed entrano in contatto con il mondo spirituale e allo stesso tempo è il respiro del Grande Spirito.

Nell' immaginario dei bianchi la Sacra Pipa è stata spesso identificata con la cosiddetta "pipa della pace", il che è indubbiamente riduttivo, per quanto la pipa potesse essere intesa anche come strumento di pace e riconciliazione, visto che tenerla in mano collegata e accesa e dire il falso è considerato un sacrilegio, un'offesa a tutto l'esistente.

 

Il rito ínípí o più comunemente chiamata sauna (anche se tale termine è a dir poco impreciso e riduttivo) era ed è uno dei più antichi della tradizione Lakota e di molte altre nazioni indiane del centro nord America. Il Lakota tramite l'inipicerca di rafforzare il proprio ní e simultaneamente di purificare il proprio corpo, ma essenzialmente è una purificazione interiore che permette di sentirsi più vicino al "Grande mistero".

L'inipi è collegato alla base di tutte le cerimonie importanti e in partícolar modo all'uso della pipa sacra. La capanna  è costituita da 12 o meglio ancora 16 rami di salice bianco che conficcati nel terreno e curvati formano una cupola del diametro 2 o 3 metri con l'ingresso generalmente rivolto a Est. Anticamente ricoperta da pelli di bisonte.

Ali' interno dell'inítí viene scavata una buca a forma circolare profonda circa 35-40cm che rappresenta l'universo e dove poi vengono deposte le pietre che rappresentano la terra progenitrice. Una volta che i partecipanti 0 maniera rituale e secondo precise regole entrano nella capanna, vengono introdotte le pietre arroventate (da un minimo di 7 fino a un massimo di 40) con un bastone biforcuto, una volta chiusa la capanna viene versata l'acqua sopra le pietre da colui che dirige la cerimonia e il calore che se ne sprigiona è molto elevato.

 

Fonte: http://parolevoci.altervista.org/materiali/indiani%20tradizioni.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Parola chiave google : Storia usi e costumi degli indiani d’ America tipo file : doc

 

Storia usi e costumi degli indiani d’ America

INDIANI, FUORI ...!!!!

 

1868, Generale Sherman: "Meglio buttarli fuori al più presto possibile, e non fa

molta differenza se ciò avverrà mediante l'imbroglio o uccidendoli".

Generale Sheridan "… l'unico indiano buono che io conosca è l'indiano morto"

 

E NELLE PRATERIE AMERICANE  INIZIÒ L'ECCIDIO DEL POPOLO ROSSO

 

  "… se permetteremo anche a solo 50 indiani di rimanere dovremo far proteggere ogni treno, ogni cantoniera, ogni gruppo di

  persone che lavora alla ferrovia. In altre parole, 50 indiani "ostili" possono

  tenere in scacco 3000 soldati. Meglio buttarli fuori al più presto possibile,

  e non fa molta differenza se ciò avverrà mediante l'imbroglio da parte dei

  commissari per gli affari indiani o uccidendoli".

  generale William T. Sherman

 

  "… Voi siete munito di pieni poteri per attuare la sistemazione definitiva

  delle tribù indiane nomadi su territori ad esse graditi e porle pacificamente

  sotto il controllo dei funzionari a ciò incaricati dal Dipartimento per gli

  Affari Indiani".

Presidente degli   Stati Uniti, Ulysses S. Grant,   1871

 

  "Io… farò in modo di ridurre ciascuno di loro alla fame più nera se gli

  indiani non vorranno lavorare... " agente per gli indiani Ute, 1878

 

 

La guerra delle colonie contro gli indiani  si svolgerà sull'arco temporale di circa un secolo, dalla   fine del 1700 al 1890, anche se l'insediamento europeo nei territori che   avrebbero poi costituito il nucleo di partenza della nuova nazione americana risale a un paio di secoli prima.

La penetrazione verso i territori dove vivevano le tribù

  indiane iniziò già da quei tempi, ma in termini commerciali più che di

  occupazione vera e propria e i rapporti col popolo rosso si mantennero in

  accettabili equilibri.

 

  Comunque l'equilibrio fra uomini bianchi e uomini rossi si mantenne fino

  all'ultimo decennio del 1700; la fine della guerra per l'indipendenza delle

  colonie inglesi dalla madrepatria e la nascita della nuova nazione. La nuova nazione americana, terminato   il periodo dell'edificazione, cercava uno sviluppo

  territoriale e questo non si poteva realizzare che verso Ovest.

 

  Ciò che si perpetrò contro gli indiani non fu solo l'eliminazione fisica degli individui che compongono   il gruppo etnico, ma anche l'eliminazione di tutti quei fattori che costituiscono l'identità stessa di un popolo .

 

 

Fu con la nomina a Presidente proprio di quel generale  Andrew Jackson, avvenuta nel 1829, che la politica americana avrebbe iniziato  a mostrare il suo metodo violento nei confronti dei pellirosse. Uno dei primi atti del

  neo presidente fu l'emanazione del "Removal Act" che era, nella sostanza,

  null'altro che l'ordine di deportazione di cinque "nazioni indiane", i Creek,

  i Choctaw, i Chicasaw, i Cherokee e i Seminole dalla neo acquisita Florida, al

  di là del Mississippi, nella regione dell'odierno Oklahoma, che sarebbe in

  seguito divenuta il "territorio indiano".

 Il Capo Falco Nero riuscì ad   organizzare una ribellione corale che tenne in scacco per oltre tre mesi le   truppe federali.

  Per la cronaca, in questi fatti d'arme si distinse un giovane capitano, che

  avrebbe ancora fatto parlare di sé: si chiamava Abramo Lincoln.

La prima guerra indiana mostrò anche il fianco debole delle forze armate degli Stati Uniti, che pur ben equipaggiate ed addestrate, avevano dovuto combattere per  tre mesi per  avere ragione di un gruppo di selvaggi.

 

  Intanto g li Apache Mimbreno si trovarono all'improvviso il loro territorio, l’ Arizona,  invaso da  diecine di migliaia di cercatori d’oro, con l'immancabile codazzo di giocatori, prostitute, parassiti e trafficanti d'ogni tipo; gli indiani riuscirono a   mantenere comunque rapporti tranquilli con i bianchi, pur non capendo bene   cosa facessero.  Quando tentarono di ribellarsi i soldati gli si opposero duramente.

 

  Mentre accadevano questi avvenimenti, nelle Grandi Pianure la vita e le usanze

  degli indiani non sembravano minacciate. Nella prima metà del XIX secolo tra

  uomini rossi e uomini bianchi si era avviata una sorta di convivenza "quasi

  pacifica", basata principalmente sull'attività commerciale e i traffici che i

  due gruppi intrattenevano. Gli scontri armati erano stati di scarso rilievo;

  del resto, pareva ancora che lo spazio a disposizione fosse talmente tanto.

  Continuavano invece gli scontri tribali, inizialmente quasi inavvertiti dai bianchi, che avevano   preso a disturbare sempre più sia lo sviluppo dei traffici, sia i movimenti  dei coloni .

 I reparti dell'esercito avevano percorso,

  nel decennio tra il 1830 e il 1840, a più riprese le Grandi Pianure,

  suscitando l'ammirazione dei pellirosse, che ne apprezzavano l'armamento,

  l'equipaggiamento, il colore delle uniformi e che non avevano mai cercato lo

  scontro con i grossi coltelli, come da loro venivano chiamati i soldati di

  cavalleria, armati di sciabola.

 

  Il primo incidente grave fu generato da un motivo quanto mai futile: un Sioux

  Minneconjou aveva ucciso una malandata vacca per prendersene la pelle.

Gli indiani offrivano 10 dollari, il colono ne pretendeva  25. Un tenente del Forte si recò allora al campo Sioux per arrestare   l'uccisore della vacca, con una scorta di 32 soldati. L'ufficiale uccise con un colpo di pistola il capo. Gli indiani avevano reagito e non uno  solo dei soldati aveva salvato la vita.

 

  Era il primo sangue versato da soldati americani e l'opinione pubblica aveva

  chiesto a gran voce vendetta. In una successiva spedizione, nell'estate del

  1855, un reparto di 1300 soldati aveva attaccato e distrutto un villaggio di

  Brulè, uccidendo 86 indiani. Ad una conferenza di pace, tenuta nella primavera

  dell'anno successivo, gli indiani avevano infine promesso di consegnare

  l'uccisore della vacca.

 

 

  L'IMPERO AMERICANO COSTRUITO

  PORTANDO VIA LA TERRA AGLI INDIANI

 

  La scoperta di pochissimo oro alle sorgenti del fiume Arkansas, nella

  primavera del 1858, aveva scatenato una nuova corsa all'oro, che aveva poi

  conosciuto un penoso riflusso, quando si era palesata l'inconsistenza dei

  giacimenti scoperti.

 

A metà ‘800 la giovane nazione americana si

  apprestava a una feroce lotta interna (1861-65): l'attacco sudista alle truppe nordiste,  asserragliate a Forte Sumter, nella Carolina del Sud, segnò, il 12 aprile del  1861, l'inizio di quattro anni di guerra civile, che avrebbe contrapposto gli

  stati del Nord, Unionisti, agli stati Confederati del Sud.

  Le operazioni militari di maggior rilievo

  non interessarono mai le "Grandi Pianure", che erano totalmente sotto il controllo dell'Unione,   l'interesse era quello di mantenere la massima tranquillità tra popolazione e   indiani, per non turbare il flusso di rifornimenti provenienti da quei   territori.

 

  Negli  Stati del sud gli indiani si trovarono nel mezzo della guerra

  e vi parteciparono, schierandosi decisamente con la Confederazione. Le cinque

  nazioni indiane (Creek, Choctaw, Chicasaw, Cherokee e Seminole) che poco più

  di trent'anni prima avevano subito il Removal Act, la deportazione dalla

  Florida, presero le armi contro il governo di Washington, con la promessa di

  tornare nelle loro terre d'origine in caso di vittoria delle armi del Sud.

gli Apache fecero terra bruciata degli insediamenti  dei bianchi, che dovettero abbandonare ogni cosa, le fattorie, le miniere, persino le città.

 

Il 1862, a causa delle uccisioni e delle rapine

  commesse dalle tribù indiane, segnò l'avvento di quella che fu chiamata, a

  ragione, "politica di sterminio". In quello stesso anno, evidentemente segnato

  dalla malasorte, si spezzò anche l'equilibrio tra uomini bianchi e uomini

  rossi nel Nord. Per molte  necessità gli indiani di questa regione si appoggiavano alle agenzie   costituite dal governo come previsto da alcuni trattati di pace (rifornimenti di cibi, bestiame, oggetti d’artigianato).

Ma a Piccolo  Corvo, e garante di pace con i popoli rossi

  del Minnesota, da tempo giungevano troppe lamentele dalle tribù, che

  invocavano il suo intervento: mercanti disonesti anziché consegnare agli

  indiani le merci concordate con il governo le trattenevano per poi rivenderle

  a prezzi esorbitanti; bianchi degenerati seducevano o violentavano donne

  Sioux, facendo aumentare a dismisura le nascite di sanguemisti, che erano

  ormai divenuti una macchia per il buon nome dei Sioux.

 

  Il mercante concessionario del servizio governativo, Andrew J. Myrick, che di

  quelle provviste aveva già fatto commercio, si era limitato a rispondere

  sogghignando ai capi Sioux: "… se i vostri sono affamati, per quello che me ne

  importa possono mangiarsi l'erba della prateria". Era la goccia che fa

  traboccare il vaso. I Sioux, come era loro abitudine, non avevano risposto

  nulla.

 

  Il mattino di domenica 17 agosto 1862, come a un segnale convenuto, lungo

  tutto il Minnesota bande di guerrieri Sioux si lanciarono all'attacco degli

  insediamenti dei bianchi, uccidendo, rapinando e bruciando ogni cosa. Il

  giorno successivo fu il turno del villaggio dell'agenzia, e il mercante Myrick

  fu ucciso per primo.

Contro i  guerrieri Sioux, armati in modo disorganico e non tutti provvisti di armi da  fuoco, dovette intervenire il colonnello Henry H. Sibley, con una forza di

  1.600 uomini.

 

 Si concludeva così nel peggiore dei modi il 1862 per gli indiani delle Grandi

  Pianure. I bianchi trassero da questi eventi la convinzione che non era

  possibile fidarsi dei pellirossa, nemmeno dopo lunghi periodi di pacifica

  convivenza e che solo la forza poteva risolvere la questione indiana. Gli

  indiani a loro volta si sentirono sempre più oppressi da una razza di invasori

  che non solo non rispettavano la parola data né i trattati stipulati, ma

  imprigionavano i guerrieri, li giudicavano e li condannavano in base a leggi

  per loro incomprensibili e sconosciute.

 

  Intanto in Arizona si era confermato che c'era oro in abbondanza. Per garantire maggior sicurezza ai  cercatori che affluivano, il generale nordista Carleton disponeva, per   il dipartimento militare del Sud Ovest, "l'uccisione di ogni Apache adulto di   sesso maschile, dovunque trovato e indipendentemente dal fatto che la sua   tribù fosse o non fosse in guerra".

Per le donne e i bambini Apache non veniva

  ordinata esplicitamente l'uccisione, limitandosi l'ordine a prescrivere che

  essi potevano essere catturati.

 

  Toccò poi ai Navajo sentire il peso della "politica di sterminio". Per loro

  fortuna fu mandato a combatterli il colonnello Kit Carson, leggendaria figura

  della frontiera, uomo valoroso che conosceva gli indiani, li combatteva, ma

  mantenendo fede all'etica militare. Carson andò a scovare i Navajo nel loro

  stesso territorio, il nord est dell'Arizona; se avesse eseguito gli ordini

  avrebbe dovuto sterminarli; fece invece un gran numero di prigionieri, che

  avviò alla riserva di Bosque Redondo, sul fiume Pecos, dove aveva già

  confinato gli Apache Mescalero, anch'essi in teoria da uccidere tutti, in base

  agli ordini del generale Carleton. Kit Carson era estremamente popolare e

  questo gli permise di disattendere, senza conseguenze, gli ordini di massacro.

 

  Ma il suo comportamento fu l'eccezione che conferma la regola e la "politica

  di sterminio" venne adottata anche nel grande territorio del Nord Ovest, dove

  il 29 novembre 1864 sul Sand Creek, un piccolo corso d'acqua che si getta

  nell'Arkansas, nell'angolo sud orientale del Colorado, si consumò uno degli

  eventi più infami, passato alla storia appunto col nome di "massacro di Sand

  Creek". In questa zona si era accampata per l'inverno la tribù di Cheyenne di

  capo Pentola Nera.

 

  Occorsero diversi anni, e il sacrificio di un gran numero di vite umane,

  perché un uomo più illuminato di altri, il presidente Ulysses Grant (il

  vincitore della guerra di secessione), cercasse di avviare una politica meno

  disumana, anche se, come vedremo, ciò si concretò comunque nella distruzione

  del popolo rosso, attuata non più con mezzi bellici, ma con la cancellazione

  delle tradizioni, degli usi, del modo di vita; in una parola, con la

  cancellazione dell'identità.

 

  Il 9 aprile 1865, domenica, ad Appomattox Court House, un villaggio della

  Virginia settentrionale, il generale Lee, comandante dell'esercito

  confederato, si arrendeva al generale Grant, comandante dell'esercito

  unionista. Era la fine della guerra di secessione e la nazione americana,

  risolto il nodo della sua unità, poteva ora riprendere il suo sviluppo,

  incentrato sulla colonizzazione definitiva della parte occidentale.

Già   durante il periodo di guerra, nel 1862, era stato emanato l'Homestead Act, la legge che offriva ai pionieri le terre dell'Ovest, alla sola condizione di

  occuparle e lavorarle.

fu costituito un nuovo corpo

  dell'esercito, gli U.S. Volunteers, i Volontari degli Stati Uniti, destinato

  esclusivamente all'impiego contro gli indiani dell'Ovest.

la ripresa dei lavori per le ferrovie

  intercontinentali, allo scopo di collegare la costa dell'Atlantico con quella

  del Pacifico.

 

La lotta dei popoli rossi assunse sempre

  di più quei caratteri di orgogliosa disperazione che hanno gli uomini fieri

  della propria libertà, quando sanno di combattere una battaglia persa, in cui

  resta però da salvare un bene più prezioso della ricchezza e della stessa

  vita: la dignità.

  Da parte dei bianchi la politica nei confronti degli indiani si sarebbe

  realizzata con tre principali mezzi: l'esercito, che, come abbiamo già visto,

  risolto il problema della secessione confederata, aveva ora un solo nemico da

  combattere, i pellirossa; lo sterminio dei bisonti, che sconvolgeva le basi

  stesse dell'economia primitiva degli indiani delle pianure, gettandoli

  nell'indigenza; e infine, come vedremo, il confinamento nelle "riserve", dove

  l'indiano era costretto a un nuovo tipo di vita, a credenze religiose per lui

  incomprensibili, alla rinuncia alle proprie tradizioni; dove, in una parola,

  lo si annullava come realtà sociale e culturale distinta da quella del bianco.

 

  In un consiglio tenuto il 2 gennaio 1865 sullo Cherry Creek, un fiumiciattolo

  affluente del Republican, nell'angolo nord occidentale del Kansas,

  contrariamente alle usanze secondo le quali nessun conflitto veniva mai

  iniziato nei mesi invernali, si era deciso di dare inizio ad una serie di atti

  di guerra per vendicare l'infame attacco del Sand Creek. Tra i capi guerrieri

  che avevano preso questa decisione alcuni sarebbero diventati famosi: Nuvola   Rossa, Naso Aquilino e soprattutto Toro Seduto.

 

  L'obiettivo prescelto dai pellirossa fu Julesburg, allora centro di

  smistamento dei servizi postali.

La rivolta vide i

  pellirossa vincitori su reparti militari sempre più numerosi, tanto da

  spingere Washington a cercare contatti di pace con le tribù del Nord Ovest per prendere tempo per una spedizione punitiva.

 

1867 la spedizione comprendeva tra l'altro il 7° reggimento di cavalleria, da pochi mesi al comando del tenente colonnello George A. Custer, lasciò Fort Riley, per iniziare una delle più curiose campagne della storia dell'esercito degli Stati

  Uniti. Infatti per quasi quattro mesi i soldati non riuscirono mai ad avere un

  contatto diretto con i pellirossa che, giocando come il gatto col topo, li

  precedevano o li aggiravano su territori a loro notissimi e dei quali i

  militari non possedevano nemmeno carte topografiche. Il risultato fu che gli

  indiani, messi in allarme comunque dai movimenti di truppe, da loro

  considerati atti aggressivi, si diedero a scorrerie attaccando gli

  insediamenti del Kansas e del Nebraska, distruggendo stazioni di posta e

  fattorie e punzecchiando le colonne militari con continui attacchi di

  guerriglia, soprattutto notturna. I reparti rientrarono stremati e frustrati.

 

  L'inutilità dell'azione militare spinse il Congresso a cercare di nuovo

  soluzioni politiche, che si concretarono nel trattato stipulato il 28 ottobre

  1867 sul Medicine Lodge Creek, nel Kansas meridionale. Con questo trattato si   definiva il territorio indiano ristretto nei limiti dell'attuale Oklahoma,

  entro il quale i pellirossa avrebbero dovuto tenersi senza sconfinare a nord,

  col divieto per i bianchi di valicarne i confini per cacciare.

 

  La restrizione in un territorio definito segnava per gli indiani la fine della

  loro vita di liberi cacciatori e guerrieri e quindi anche il trattato di

  Medicine Lodge non fu altro che un incentivo a ulteriori atti di guerra. Dopo

  la firma del trattato infatti seguirono altri sei mesi di scontri, che si

  chiusero con l'umiliazione subita dal generale Sherman, che dovette scendere a

  patti con Nuvola Rossa il quale, in cambio dell'impegno a non ostacolare la

  costruzione della ferrovia Northern Pacific, che correva molto più a sud dei

  territori di caccia, pretese e ottenne che le truppe abbandonassero Fort

  Kearny, avamposto per la progettata penetrazione nei territori del Montana e

  dell'Idaho.

 

  Il desiderio di rivalsa fece partire la "campagna invernale" voluta dai generali

  Sheridan e Sherman e appoggiata dal governo di Washington, con lo scopo di

  effettuare una spedizione punitiva.

  in questa campagna si "distinse" il tenente colonnello George A. Custer, che

  sul fiume Washita, nel cuore del territorio indiano, il 27 novembre 1868,

  distrusse completamente una tribù, adottando la sua abituale tattica di

  attaccare alle prime luci dell'alba, quando la vigilanza si attenua. Peccato

  che, nell'ansia di raccogliere gloria militare, Custer non avesse controllato

  chi erano con precisione gli indiani che si apprestava ad attaccare. Gli

  indiani uccisi furono oltre un centinaio, contro sette caduti tra i soldati.

  La tribù distrutta era quella degli Cheyenne di capo Pentola Nera, che si era

  sempre tenuto ostinatamente fuori da qualsiasi conflitto e che venne ucciso

  mentre al centro del campo agitava una bandiera a stelle e strisce per far

  capire che lui e i suoi uomini erano "amici" dei bianchi.

 

  ... E IL GRANDE POPOLO INDIANO

  FINI' NEI GHETTI CHIAMATI RISERVE

 

  George Armstrong Custer nasce il 5 dicembre 1839 a New Rumley, Ohio. Il 1°

  luglio 1857 viene ammesso all'Accademia Militare di West Point; ottiene la

  nomina a sottotenente il 24 giugno 1861, con la classifica di 33° su 33

  cadetti.

 

  Gettatosi a capofitto nella guerra, l'ex cadetto indisciplinato aveva fatto

  dimenticare i propri trascorsi poco onorevoli, mettendosi in luce come

  ufficiale energico, instancabile e di grande coraggio personale. La guerra del

  resto non è la situazione ideale per chi ha scelto la carriera delle armi? Ma

  per George Armstrong Custer il destino aveva in serbo una sorpresa

  formidabile: la promozione a generale, all'età di 23 anni!

  Conviene qui chiarire che l'esercito dell'Unione era quasi del tutto privo di

  ufficiali generali.  A questa necessità si rispose con tipico pragmatismo americano, promuovendo

  gli ufficiali in servizio permanente al grado nel quale erano necessari sotto

  il profilo funzionale e adottando per loro una duplice carriera

  di cavalleria, richiedeva tre generali di brigata.

 

The boy general, il ragazzo generale, era ormai

  divenuto un personaggio popolare; fu tra i quattro generali che presenziarono

  alla firma della resa sudista, domenica 9 aprile 1865, nella piccola fattoria

  di Appomattox Court House, quando il generale sudista Lee si arrese al

  generale nordista, e futuro Presidente, Grant.

  Finita la guerra, la smobilitazione dell'esercito prevedeva, oltre lo

  scioglimento dei reparti non più necessari, anche il riordinamento dei quadri

  degli ufficiali. Quelli che non provenivano dall'Accademia (che erano la

  maggioranza) vennero congedati col grado che rivestivano alla fine del

  conflitto. Custer optò per la

  permanenza in servizio, tale regola significava il ritorno al grado di

  capitano. Tuttavia, dati i meriti conseguiti in guerra, gli vennero concesse

  due promozioni e alla data del 28 luglio 1866 fu definitivamente nominato

  tenente colonnello in servizio permanente.

 

  Questa "retrocessione", peraltro comune a gran parte degli ufficiali rimasti

  in servizio dopo la guerra di secessione, fu vissuta da Custer con un

  bruciante senso di umiliazione, convinto com'era di essere in grado di

  continuare a rivestire il grado di generale

  Appena ripreso servizio col grado di tenente colonnello, assegnato al 7°

  reggimento cavalleria, di stanza a Fort Riley, Kansas, Custer continuò a farsi

  chiamare "generale" e ad indossare le stravaganti uniformi fuori ordinanza

  (sulle quali non di rado apponeva i gradi di generale) che, insieme all'uso di

  portare i capelli molto lunghi sulle spalle, lo avevano reso popolare tra i

  volontari che aveva comandato in guerra.

  E i nemici erano lì, pronti: i pellirossa. In quel periodo, come già

  accennavamo, nelle regioni del Nord Ovest erano in pieno svolgimento la

  rivolta dei Sioux di Nuvola Rossa e la guerriglia condotta dagli Cheyenne

  guidati da Naso Aquilino.

 

  Nella primavera del 1874 incominciò però a palesarsi per gli indiani delle

  Pianure una nuova sconvolgente realtà: le mandrie dei bisonti non seguivano

  più le piste abituali e le mandrie ancora esistenti erano sempre più esigue.

  Il bisonte era essenziale per la vita degli indiani delle Pianure, che

  utilizzavano tutte le parti del corpo del grande animale per far fronte alle

  esigenze di cibo, vestiario, armi e casa (il tipico tepee, la tenda dei

  pellirossa nomadi, era costruita con le pelli di bisonte). Con grande ira gli

  indiani attribuirono subito ai visi pallidi la colpa: con le strade, le

  ferrovie, con la loro stessa presenza avevano di sicuro spaventato gli

  animali, che avevano abbandonato gli antichi territori di caccia.

 

  La realtà era diversa e ben peggiore. La strage dei bisonti era in atto già da

  un paio d'anni, ed ora se ne vedevano le conseguenze. Anzitutto le compagnie

  ferroviarie avevano assoldato numerosi cacciatori, col preciso scopo di

  procurare la carne per il vitto di migliaia di operai dei vari cantieri

  disseminati nel grande Ovest; la caccia indiscriminata aveva poi fatto nascere

  un nuovo lucroso commercio con il mercato dell'Est, quello delle pelli di

  bisonte e delle parti più pregiate della carne, col risultato che il numero di

  cacciatori, attratti da questa nuova forma di guadagno, era enormemente

  aumentato.

 

  Il fenomeno non era sfuggito alle autorità politiche e militari, sempre

  preoccupate per la soluzione della questione indiana. Il generale Sheridan,

  uomo di punta nel Nord Ovest di ogni iniziativa che avesse come risultato

  quello di mettere in ginocchio i pellirossa, perseguì addirittura l'obiettivo

  di uno sterminio totale del bisonte, e comunque diede ai reparti dipendenti

  istruzioni per concedere ogni possibile agevolazione ai cacciatori. Tra il

  1872 e il 1874 i bisonti abbattuti furono circa 3 milioni e mezzo, di cui solo

  150.000 uccisi dai pellirossa

 Kiowa, Apache della prateria, Comanche e Arapaho si ribellarono

  violentemente quando, come la classica "ultima goccia" che fa traboccare il

  vaso, accadde che alcuni gruppi di cacciatori si spingessero dentro al

  territorio indiano, per inseguire le poche mandrie di bisonti ancora

  esistenti, oltretutto senza che i militari (che in base ai trattati avrebbero

  dovuto garantire l'integrità del territorio indiano) facessero nulla per

  impedirlo. La rivolta durò con alterne vicende fino all'ottobre 1874 e costò

  la vita di oltre 300 bianchi.

 

 

  Restavano ancora relativamente liberi gli indiani del Nord Ovest, in quella

  regione costituita dall'attuale Dakota del Nord e del Sud. Il governo

  americano, con la firma del trattato di Fort Laramie, si era impegnato a

  mantenere libero questo territorio, nel quale vivevano principalmente i Sioux,

  e in particolare a difendere l'inviolabilità delle Black Hills, le Colline

  Nere, considerate dai pellirossa luogo sacro. La vita degli indiani in quella

  regione scorreva abbastanza tranquilla, con l'appoggio delle agenzie di Pine

  Ridge, alla confluenza tra i fiumi Rock e Missouri, e di Standing Rock, su un

  affluente del White.

 

La scoperta, proprio sulle Colline Nere, di grossi giacimenti

  auriferi causò nel territorio il consueto assalto incontrollato di

  avventurieri, minatori, cercatori più o meno dilettanti, con l'immancabile

  codazzo di sfruttatori, prostitute, giocatori di professione, venditori di

  whisky.

  La vita dei Sioux ne rimase sconvolta; l'invasione causò la fuga degli animali

  di montagna, l'orso, il cervo, l'alce, che venivano abitualmente cacciati. I

  cercatori abbattevano alberi per costruire le abitazioni, si auto -

  concedevano concessioni minerarie, mentre le autorità governative non erano in   grado, o non volevano esserlo, di fermare tutta quell'orda, che, in base ai

  trattati, non avrebbe mai dovuto penetrare nel territorio indiano.

 

  Nuvola Rossa non voleva fare guerre inutili, sapendosi già sconfitto in

  partenza, anche se era ben conscio dell'ennesimo tradimento subito dagli

  indiani. Una gran parte delle tribù però non volle o non seppe comprendere le

  argomentazioni di Nuvola Rossa e all'inizio dell'estate del 1875 abbandonò le

  agenzie andando ad accamparsi nel bacino del fiume Powder, tra le Big Horn

  Mountains e le Black Hills, nella parte più remota del territorio, dove i visi

  pallidi non erano ancora giunti. E da lì gli indiani cominciarono la solita

  guerriglia contro qualsiasi bianco o gruppo di bianchi tentasse di entrare

  nella regione. Ai Sioux si unirono ben presto i loro tradizionali alleati, gli

  Cheyenne settentrionali che, guidati dal capo Due Lune, abbandonarono in massa   l'agenzia di Red Lodge, nel Montana meridionale. Sul Powder si concentrarono

  così diverse migliaia di indiani, riuniti attorno a due capi che possono

  essere considerati tra i più grandi uomini della razza pellerossa nell'ora del

  tramonto: Toro Seduto, capo politico dei Sioux Hunkpapa e Cavallo Pazzo, capo

  di guerra della tribù Oglala.

  

 

  La campagna contro i Sioux registrò subito un punto a sfavore, perché

  l'elemento sorpresa mancò. Mentre i soldati si inoltravano in un territorio

  pressoché sconosciuto, gli indiani erano in grado di controllarne i movimenti,

  evitando, come era loro costume, lo scontro se non necessario..

 

  Custer aveva come principale preoccupazione quella di riportare una vittoria

  che fosse soprattutto "sua"; imbaldanzito da tante facili azioni contro tribù

  semi inermi, si era convinto della propria buona stella e della propria

  abilità. Era solito dire che gli indiani ormai avevano paura di lui, che la

  sua presenza aveva un effetto tale da demoralizzare il nemico. Con questi

  presupposti Custer, che già aveva interpretato in modo molto personale le

  disposizioni del suo superiore, il generale Terry, quando ebbe notizia dagli

  scout che il suo reggimento era stato avvistato dagli indiani, non fu nemmeno

  sfiorato dal pensiero che questi fossero pronti ad ingaggiare battaglia. Molto

  più forte era la preoccupazione che i pellirossa tentassero di sganciarsi,

  privandolo così dell'occasione di coprirsi di gloria.

 

  Era il 26 giugno 1876. Accecato dalla smania di giungere a uno scontro che

  fosse "suo personale" Custer non si preoccupò di accertare la forza

  dell'avversario, ordinando oltretutto l'attacco frontale su un terreno

  sconosciuto. Quando si rese conto che l'accampamento individuato non era di

  poche centinaia di Apache, ma di circa cinquemila indiani (di cui almeno

  duemila guerrieri) era ormai troppo tardi. L'esito della battaglia del Little

  Big Horn è noto: il gruppo squadroni comandato direttamente da Custer (che

  aveva suddiviso il reggimento in tre gruppi) fu completamente annientato.

  Custer e 238 soldati trovarono la morte, lanciati all'attacco contro oltre

  duemila pellirossa, comandati da Toro Seduto e da Cavallo Pazzo.

Lo choc causato nella pubblica opinione

  dalla sconfitta e dall'uccisione di Custer fu tale da far prendere il

  sopravvento in ambito governativo a quanti sostenevano la necessità di una

  soluzione energica del problema indiano. E poiché la politica dello sterminio

  non poteva comunque essere ripresa, si adottò subito una politica che ebbe

  l'effetto non di uccidere fisicamente gli indiani, ma di distruggerli sempre

  più come civiltà originale e autonoma, con i propri valori da difendere

  secondo le proprie tradizioni.

 

  Il primo provvedimento fu la trasformazione delle agenzie in riserve, col

  risultato che mentre nelle agenzie gli indiani comunque riuscivano a

  conservare il proprio modo di vita, nelle riserve si imponeva loro

  l'integrazione, volenti o nolenti, nella società americana. Il pellerossa che

  viveva nelle riserve era di fatto anche prigioniero, non potendo varcare i

  confini senza autorizzazione, rinunciando al libero esercizio della caccia,

  dipendendo dagli aiuti governativi per tutto.

  Gli anni che seguirono al combattimento del Little Big Horn videro ancora una

  serie di guerriglie, scaramucce, ma ormai il popolo rosso, decimato non solo

  dalle azioni militari ma anche dalle malattie, abbruttito dall'uso degli

  alcolici, smarrito in una società che per lui restava comunque

  incomprensibile, non esisteva più.

 

  Emblematica è la fine di Toro Seduto: la grande autorità che egli esercitava

  ancora sui pellirossa era considerata pericolosa.

  Toro Seduto, che per qualche tempo aveva partecipato anche allo spettacolo

  circense di Buffalo Bill, col quale era in grande amicizia, morì il 15

  dicembre 1890, ucciso durante il tentativo di arrestarlo operato in modo

  maldestro da poliziotti

 

Fonte: http://parolevoci.altervista.org/materiali/INDIANI.doc

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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