Dopoguerra italiano

 


 

Dopoguerra italiano

 

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Dopoguerra italiano

 

IL DOPOGUERRA ITALIANO

Glia anni 1919 e 1920 vengono chiamati “biennio rosso” per l’apparente prevalenza di una presenza di socialisti e di grandi fermenti anche a carattere rivoluzionario.
Il biennio 1921 e 1922 viene definito in contrapposizione “nero” per l’insorgenza dell’ideologia fascista che attraverso l’uso di sistemi legali o meno rompe l’egemonia socialista e si instaura con il regime fascista.
Il periodo tra il 1923 e il 1924 invece porta alle elezioni dell’aprile del 1924 quando viene ucciso il deputato di sinistra Matteotti. Questo assassinio porta dei problemi a Mussolini che ne esce con il discorso del gennaio del 1925 e le leggi fascistissime del 1926 che danno l’avvio al regime.
In questi anni si alternano al potere Vittorio Emanuele Orlando fino al giugno del 1919, poi in ordine Nitti, Giolitti, Bonomi e i due governi Facta.
Nel gennaio del 1919 nasce il Partito Popolare italiano.
In precedenza la presenza cattolica era molto forte in campo sociale, ma in quello politico si era schierata contro lo Stato assumendo una posizione antisistema. Nel periodo tra il 1904 e il 1913 questa tendenza diminuisce gradualmente fino a diventare un’alleanza con i liberali contro i socialisti durante le elezioni del 1913. Anche questa però fu un’operazione conservatrice che continuava la mancanza dei cattolici nella vita politica.
Ora invece i cattolici si riuniscono in un organo di parte all’interno della democrazia. In realtà la situazione democratica dura poco perché all’interno del partito esiste un’ala legata alla concezione gerarchica della politica.
Il programma del partito mischia rivendicazioni cattoliche come quelle contro il divorzio e per la scuola privata, a rivendicazioni più democratiche come la richiesta di un nuovo sistema elettorale.
Il partito popolare nasce per volontà di don Luigi Sturzo, il quale colloca il partito su un piano non del tutto scisso dalla vita ecclesiastica.
Il partito è autonomo rispetto alla Chiesa sia per organizzazione che per principi.
La figura di Sturzo è unificante perché egli è sia sacerdote, sia segretario di un partito.
Inizialmente la Chiesa non si schiera contro il partito perché questo era utile nella guerra contro i socialisti. In realtà la Chiesa crede che il partito sia un’ipotesi perché l’idea fondamentale era quella di creare una società autoritaria e non democratica.
Nel luglio del 1923 don Sturzo si dimette perché la Chiesa preferisce accordarsi direttamente con il fascismo perché condivide l’idea di una società gerarchica e militare.
Il compromesso con il partito porta una politica a favore della Chiesa a volte simbolica e a volte rilevante. Per esempio viene introdotto il crocefisso nelle scuole che assume un valore forte quando nel 1924 si istituisce la festa di Cristo re, un’idea indiretta del governo della nazione da parte della Chiesa; la riforma della scuola “Gentile” che porta l’istruzione della religione nelle scuole….
Uno dei punti di maggiore debolezza del partito è la limitata laicità e la dipendenza dalla Chiesa.
Dopo le dimissioni di Sturzo il partito è preso da De Gasperi.
Un altro elemento di debolezza è la presenza di più anime che hanno idee differenti: c’è la presenza di una corrente capitanata da Miglieri di estrema sinistra e una di destra che finisce per staccarsi e unirsi al fascismo.
Il partito socialista nasce nel dicembre del 1918 e viene attratto dal modello leninista che viene adottato come fine ultimo. In questo modo il partito si condanna a rimanere al di fuori del gioco politico delle alleanze. In realtà all’interno del partito ci sono anche dei riformisti che sono il gruppo più numeroso in  parlamento.
La presenza di due idee differenti porta varie scissioni. La prima è la nascita del partito comunista italiano nel gennaio del 1924 a Livorno. Questo avviene perché nel 1920 la III^ Internazionale aveva posto delle condizioni ai partiti socialisti che volevano aderire: o cambiare il proprio nome in partito comunista o espellere i riformisti.
Le condizioni non vengono accettate dal partito socialista e quindi una parte con a capo Bordige si stacca e dà vita al partito comunista.
Nel vecchio partito socialista i riformisti vengono emarginati e si uniscono a formare il partito socialista unitario PSU.
Ci sono però delle contraddizioni all’interno del partito socialista, si voleva la rivoluzione ma non si era preparati e organizzati. Questo si nota nei riguardi della violenza fascista, salvo alcuni casi come a Sarzana nel 1921.
Nel marzo del 1919 nascono i fasci di combattimento con un impasto di istanza socialiste e autoritarie, un miscuglio di rivoluzionarismo e nazionalismo.
I primi momenti non sono molto significativi perché i gruppi fascisti sono pochi e poco organizzati.
Alle elezioni del novembre 1919 infatti ricevono poche migliaia di voti, ma la sopravvivenza è resa possibile grazie al fatto che i gruppi fascisti erano composti da militanti giovani.
Nel corso dell’estate del 1919 viene approvata una nuova legge elettorale proporzionale con scrutinio di lista, cioè venivano presentate liste con un certo numero di candidati e gli eletti erano scelti in base ai voti della lista.
La riforma favorisce i partiti di massa, perché in circoscrizioni più ampie il rapporto tra candidato e elettore era ideologico.
Questo mette in crisi i liberali che si ritrovano con quattro gruppi parlamentari e non dispongono della maggioranza.
Questa legge fu favorita da Nitti il quale voleva essere la cerniera tra i popolari e i liberali.
L’Italia è spaccata in due geograficamente: al centro nord vincono popolari e socialisti, al sud i liberali. Esistono quindi tre classi politiche che non hanno però la maggioranza. Un’alleanza tra socialisti e popolari appare impossibile e l’unica possibilità è l’unione tra popolari e liberali che però dura poco.

Nel 1919 avvengono movimenti sociali che assumono un aspetto quasi rivoluzionario.
Per prima cosa ci furono le lotte contro il caro viveri; la guerra aveva provocato l’inflazione che agiva sui beni di consumo dei ceti più deboli. I ceti popolari urbani assaltano i forni e chiedono il prezzo politico del pane, infatti quando Nitti abolisce il calmiere sul pane cade il governo.
Il quadro di incertezza economica forte è gravato dalla smobilitazione, che fu uno dei motivi dell’impresa di Fiume. Masse ingenti di soldati tornarono a casa e trovarono disoccupazione e una vita nei campi sempre più dura.
Dopo Caporetto erano state fatte delle promesse ai contadini di riforme sociali al ritorno dalla guerra, come per esempio la promessa di nuove terre.
Le forti agitazioni sociali in campo agrario so o tipiche del centro sud e sfociano in occupazioni guidate da associazioni di combattenti e reduci che assumono anche un valore politico come democratici di sinistra. Nel settembre del ’19 un decreto governativo legittima queste occupazioni.
L’altro settore di malessere era quello operaio legato alle tensioni rivoluzionarie, soprattutto a Torino dove vengono teorizzati consigli operai simili ai RETE in Germania.
Questo non è accettabile né per i sindacati né tanto meno dagli industriali.
Nel 1920 avviene lo sciopero delle lancette; gli operai chiedevano di togliere l’ora legale imposta durante la guerra, i padroni si rifiutano e gli operai spostano le ore e vengono licenziati.
Nell’estate del 1920 nelle grandi città industriali come Milano e Torino avviene  l’occupazione delle fabbriche per rivendicazioni salariali. Questa occupazione fu armata perché le armi dopo la guerra erano facilmente reperibili.
In questo momento è già in atto il governo Giolitti, il quale gestisce la situazione, che sembrava un atto rivoluzionario che andasse contro la proprietà privata.
Giolitti inizia delle trattative con gli operai e il padronato giungendo ad un accordo salariale e un accordo generico sul controllo da parte degli operai dell’andamento delle fabbriche, tramite una commissione. Questa idea riceve l’appoggio dei sindacati che hanno interesse nell’evitare una radicalizzazione della situazione, per non perdere il potere che avevano acquistato in fabbrica nei confronti degli operai.
Con la fine del 1920 si ha un periodo di svolta che culmina con l’insorgenza fascista.
La crisi del movimento operaio è legata alla crisi economica che fa aumentare la disoccupazione.
Il fascismo però si sviluppa in un’area che non è propriamente industriale, cioè la bassa padana, zona rurale, dopo che termina lo sciopero agrario del bolognese.
Il fascismo prende il via dopo la strage a Palazzo d’Accursio, il municipio di Bologna, governato come la maggior parte dei comuni emiliani da socialisti.
La pressione dell’amministrazione comunale e delle leghe agrarie hanno effetti politici e sociali forti: i socialisti hanno un’egemonia sui lavoratori agrari.
Dal punto di vista amministrativo imponevano tasse ai proprietari benestanti e i proventi venivano dati ai più deboli. Inoltre grazie alla lega agraria vigeva l’imponibile di manodopera che permetteva ai braccianti temporanei di lavorare per un periodo più lungo nell’anno e avere un salario meno misero.
Inoltre era imposto il controllo sulla manodopera e quindi l’iscrizione ai sindacati.
I padroni della zona non erano molto favorevoli al socialismo e cominciarono a finanziare chi poteva sciogliere leghe e municipi rossi.
Dopo le elezioni del 1920 cominciano quindi le scorrerie fasciste che non potevano essere fermate dai socialisti, perché non erano organizzati sul territorio.
Il primo fascismo è quindi agrario, con epicentro nella pianura padana ed è favorito dai proprietari terrieri anti socialisti e dalle autorità statali periferiche.
Il presidente del consiglio Giolitti da una parte chiede ai prefetti di disarmare le bande e mantenere l’ordine, ma usa i fascisti per i propri scopi. La sua idea è quella di usare il fascismo contro i socialisti per rafforzare l’egemonia liberale. Chiede quindi nuove elezioni che si tengono nella primavera del 1921 facendo delle alleanze locali con i fascisti per avere nel partito maggiore organizzazione.
Alle elezioni i socialisti perdono molti voti, anche perché nel gennaio era nato il partito comunista; i popolari guadagnano alcuni seggi, mentre i fascisti entrano in parlamento con 35 seggi, che costituiscono una forte legittimazione al movimento che più tardi diventerà partito con una base parlamentare.
Giolitti abbandona quindi il posto a Bonomi, il quale costituisce un governo debole basato sul patto di pacificazione tra socialisti, sindacati e fascisti. Questo patto stipulato nell’agosto del 1921 serviva ad evitare nuove violenza da parte dei fascisti.
La situazione però deteriora, perché il patto indica una abdicazione dello stato che non è capace di reprimere i disordini interni e inoltre le violenze continuano.
Mussolini accetta il patto per dare una legittimazione al movimento, mentre i RAS, i dirigenti politici più estremisti, non vorrebbero accettarlo. Si trova quindi un compromesso tra le due parti e il 21 novembre del 1921 il movimento diventa partito.
Intanto la crisi colpisce quelle industrie siderurgiche e dell’acciaio che erano state favorite durante la guerra. Insieme alle industrie crollano anche quelle banche che avevano finanziato le grandi imprese.
In particolare fallisce la Banca di sconto, che viene aiutata dall’intervento di Bonomi.
Per questa mossa il governo Bonomi cade e si pensa  ad un ritorno di Giolitti, che però viene ostacolato dai popolari i quali non accettavano la politica filofascista di Giolitti e neanche la sua finanziaria che andava a toccare gli interessi del Vaticano.
Alla fine di febbraio si sceglie come presidente del consiglio Facta, un luogotenente di Giolitti. Il primo governo Facta dura fino a che l’ordine del giorno della Camera non vuole cambiarlo per le continue violenze fasciste. Si entra in una situazione in cui l’autorità statale comincia a perdere la sua importanza. Non riuscendo a trovare un sostituto nel luglio del 1922 viene richiamato Facta al governo, ma i socialisti reagiscono proclamando uno sciopero generale che viene fermato dopo 48 ore dalle minacce dei fascisti.
Davanti allo sciopero anche i liberali si schierano con i fascisti provocando una rottura definitiva del partito socialista che si trova diviso in partito comunista, partito socialista e PSU.
Mussolini sa che i liberali lo avevano sostenuto perché il loro scopo era proprio quello di sconfiggere i socialisti e ora la missione era compiuta. Così a metà ottobre Mussolini decide di puntare su Roma sia con trattative politiche sia con la minaccia della violenza.
Mussolini fa balenare l’ipotesi di un governo nel quale i fascisti mantenessero una posizione subordinata, ma in realtà il suo scopo è quello di comandare il governo da solo.
Tra il 27 e il 28 ottobre Facta fa firmare al re lo stato d’assedio e manda la notizia ai prefetti, ma il sovrano non firma il proclama. Questo avviene per diversi motivi, forse Diaz consiglia a re di non far intervenire le truppe a sparare contro gli italiani o forse perché Vittorio Emanuele II vuole coinvolgere i fascisti al governo per evitare una guerra civile. Il re quindi convoca Mussolini che si trova a Milano e lo fa arrivare a Roma. Il giorno 30 entrano a Roma anche le milizie fasciste e Mussolini diventa presidente del consiglio, di un governo al quale partecipano fascisti, popolari e Diaz come garante della monarchia.
Il primo problema di Mussolini è quello di crearsi una maggioranza.
Due elementi  testimoniano la presa di potere del fascismo: la creazione del Gran Consiglio del fascismo e della milizia volontaria per la sicurezza nazionale.
Il Gran Consiglio era un organo di partito nel quale confluivano anche altri ministri, per cui diventa una commistione tra stato e partito. Nel 1928 diventerà un organo di stato.
Il fascismo ora può insidiare direttamente la monarchia perché nonostante si riunisca poche volte, si occupa della successione dei Savoia. Potendo cambiare la successione si altera un elemento fondamentale su cui si basa la monarchia, la quale non può più sganciarsi dal fascismo.
La milizia volontaria per la sicurezza nazionale era formata dalle squadre fasciste in divisa, che dava loro un valore ufficiale. Sciolta la guardia regia del 1919 si crea un organismo statale che in realtà è anche di partito.
Rimangono i carabinieri come arma che si riconosce nella monarchia. Durante la crisi del 1943 i carabinieri mostrarono fedeltà al re.
L’esercito viene fascistizzato così come a tutti gli impiegati pubblici viene imposto un giuramento al fascismo. Negli anni 30 l’elemento fondante è la volontà imperialista, ma l’esercito non è pronto.
Anche l’aviazione viene potenziata da Balbo, che organizza la trasvolata dell’Atlantico. Un terzo momento è quello del cambiamento della legge elettorale. Nelle elezioni del 21 il fascismo ottiene 35 seggi, ma sono pochi per un partito che vuole rimanere al governo. Mussolini cambia la legge per avere la maggioranza. Nell’estate del 23 la legge Acerbo decreta la maggioranza di circa due terzi dei seggi per la lista che abbia il 25% di voti a livello nazionale.
Nell’aprile del 23 durante un congresso di popolari Mussolini chiede ai ministri popolari di uscire dal governo. Inoltre fa pressione sul Vaticano per estromette Sturzo il quale si dimette lasciando il partito popolare ingovernabile. Con De Gasperi il partito popolare non conterà più nulla.
I liberali vengono convinti in vari modi, con la promessa di inclusione nelle liste elettorali. Si creano 15 circoscrizioni ma in realtà esiste un’unica circoscrizione nazionale. Nel listone confluiscono i fascisti e i sostenitori. Nella primavera del 21 i blocchi nazionale includevano la maggior parte dei liberali, nel 24 ci sono per la maggioranza fascisti. Questo significa che per il premio di maggioranza i fascisti avrebbero avuto politicamente la maggioranza assoluta.
Per i liberali e i popolari sarebbe difficile unirsi: i fascisti erano l’unico partito organizzato.
Viene creata un’altra lista filogovernativa che serviva a coprire i seggi distribuiti con la proporzionale. Gli altri partiti erano i socialisti unificati, i comunisti: liste di opposizione che contavano poco.
Nell’aprile del 24 i fascisti ottengono il 65% dei voti, questo risultato si spiega con il fatto che gli altri partiti erano divisi al loro interno e non avevano il re dalla loro parte; un elemento fondamentale fu l’uso della violenza durante la campagna elettorale.
Durante la convalida degli eletti il segretario socialista Matteotti denuncia le violenze fasciste e nel giugno del 1924 Matteotti scompare. Alla fine di agosto viene ritrovato il cadavere e si apre un caso giudiziario e politico che fa discutere gli storici. Probabilmente Matteotti viene ucciso non per quello che ha detto ma per la denuncia che vuole fare verso Mussolini.
Quello che è sicuro è che sia un delitto politico e volontario. Il dubbio è sul mandante dell’omicidio.
Si fanno due ipotesi: una che sia stato Mussolini a ordinare il delitto, ma non potrà mai essere confermato; la seconda è l’ipotesi Beckett cioè forse qualcuno vicino a Mussolini ha ritenuto di interpretare certe parole del duce.
Quello che è importante è la crisi politica che si apre con l’omicidio e che mette in grave difficoltà Mussolini per mesi tra il giugno e il dicembre 1924. Si apre una questione morale: è accettabile che il capo del governo possa essere sospettato di aver accettato l’assassinio di un avversario politico?
La risposta è la freddezza dei fiancheggiatori e l’atteggiamento “dell’Aventino”  degli oppositori, che si astengono dai lavori parlamentari.
Sembra che l’unico risultato sia la vittoria del fascismo alle elezioni e la morte di Matteotti.
L’unica soluzione della crisi sarebbe stato il ritiro del sovrano, ma questo avrebbe portato ad una crisi politica.
Nelle prime settimane Mussolini rimane come paralizzato, poi nomina ministro degli interni Federzoni, un nazionalista che aveva le idee chiare sull’idea di governo autoritario e che è la garanzia  che le illegalità verranno contrastate dal governo conservatore.
La crisi si trascina fino a quando appare un memoriale difensivo di Cesarino Rossi, implicato nel caso Matteotti, sulle “Pagine del popolo”, giornale diretto dal popolare Donati.
Mussolini premuto dalle frange più estremiste chiarisce la vicenda nel discorso del 3 gennaio del 1925 nel quale sostiene che se il fascismo è una banda di malviventi, allora lui è il capo della banda.
E’ chiaro che Mussolini ha in mano la situazione e le opposizioni sono destinate a perdere.
Da un punto di vista politico comincia la dittatura.
L’agibilità politica dei partiti oppositori è minima e la propaganda è a rischio di vita.
Vengono varate alcune norme che innovano la struttura dello stato. Le leggi sulla stampa mettono a rischio di sequestro le pagine che diffamano il governo anche dinanzi all’estero. Il fascismo opera anche per cambiare proprietà, direzione e redazione ai giornali non allineati col regime.
Viene introdotto un podestà che è un funzionario di nomina regia che comanda nei vari paesi al posto dell’organo elettivo.
A Bologna avviene un attentato contro Mussolini da parte di un ragazzo, Zamboni che spara al duce mancandolo. Questo fu il pretesto per il proclama delle leggi fascistissime che sciolgono ogni organizzazione politica e fanno decadere i parlamentari antifascisti. Inoltre vengono presi provvedimenti restrittivi rispetto alla libertà di parola, di movimento…
Viene ordinato un tribunale speciale per la difesa dello stato che ha competenza su alcuni reati e agisce in senso repressivo.
Viene istituita l’OVRA, la polizia segreta che ha il compito di smascherare oppositori o gruppi dissidenti.
Il problema del consenso del fascismo viene affrontato negli anni ’70 dopo la pubblicazione della biografia di Mussolini dello storico De Felice e di un altro volume nel quale lo stesso De Felice afferma che il fascismo aveva avuto un grande consenso da parte degli italiani.
Bisogna guardare al fascismo nelle sue varie fasi: a seconda del momento e dell’ambito si ha la prevalenza della violenza o del consenso.
Durante gli anni trenta ci sono momenti in cui il consenso sembra molto forte.
L’11 febbraio 1919 vengono stipulati i Patti Lateranensi, trattative tra Stato e Chiesa che comportano tre documenti.
Il Trattato prevede la risoluzione della questione romana, iniziata con la breccia di Porta Pia, attraverso la creazione di uno stato indipendente all’interno del territorio della Chiesa: il Vaticano.
Lo Stato italiano stipula un trattato internazionale nel quale riconosce l’indipendenza del Vaticano.
Il Concordato è un documento nel quale la Chiesa e lo Stato decidono accordi comuni su materie di competenza di entrambi. Per esempio si ammette che il matrimonio religioso abbia anche valore civile, si stabilisce il cattolicesimo come religione di stato…..
E’ un documento politico.
La Convenzione finanziaria.

 

Lettura 7: “Elementi caratterizzanti del fenomeno fascista: il rapporto con i ceti medi” 

R. De Felice

Questo brano è l’introduzione di un volume che dà una interpretazione sul fascismo nel 1970 quando l’opera di De Felice era ancora agli esordi.
Il fascismo è visto come un prodotto di circostanze, un fenomeno storicamente e geograficamente ben determinato. A seconda del tipo di fascismo si può estendere il concetto anche a fenomeni europei posteriori.
Se il fascismo è visto come modello sempre attivo si è portati a vedere il fascismo in zone dove non è mai stato conosciuto storicamente, se si rimane entro determinati limiti invece si intendono i regimi in altro modo.
Sono tesi storiografiche che però hanno valore politico.
Il fascismo è un fenomeno concluso che vale per l’Italia e per la Germania e non è possibile attribuire gli stessi caratteri ad altri regimi autoritari.
L’analisi sul fascismo è condotto su un piano sociale e non politico. Si punta l’attenzione sui ceti medi e sul loro ruolo nell’avvento del fascismo.
Nel dopoguerra era avvenuta una proletarizzazione dei ceti bassi della borghesia che fanno aderire i ceti medi ad una linea politica che li risollevi dalla situazione.
La tesi di De Felice vede il fascismo come movimento rivoluzionario che vuole affermare i ceti medi contro il proletariato e la grande borghesia. In questo caso si considera ciò che ha fatto il fascismo come un cambiamento profondo imparentato con il socialismo.
Il socialismo aveva spaventato i ceti medi sia in quel periodo sia per i partiti comunisti che attivavano una politica di convergenza con i partiti radicali dal 1934 dando origine al frante popolare come in Spagna.
All’interno degli anni tra le due guerre non tutti i regimi di destra erano fascisti. De Felice tende a creare una tipologia del fascismo dividendo e distinguendo i regimi politici l’uno dall’altro. Si arriva così a dire che il regime italiano è unico e senza modelli.
Se si selezionano certi elementi il fascismo assomiglia a tanti fenomeni e non può esistere l’antifascismo, se invece si sostiene che esista un solo fascismo con delle differenze interne la storia del XX secolo può essere vista come lotta tra fascismo e antifascismo.
Lo stesso vale per il totalitarismo.
In un regime autoritario classico la popolazione non si deve occupare di politica come durante il franchismo, ma il fascismo tende a mobilitare le masse in uno schema determinato e questa è una caratteristica dei regimi totalitari.
Il fascismo vuole iniziare una nuova era con cambiamenti radicali.
C’è un rapporto diretto con il capo, dialoghi con la folla che danno l’idea della partecipazione politica. Il consenso della massa è molto spesso attivo, spontaneo in alcuni momenti più che in altri, come nel ’29 dopo il concordato con la Chiesa e con la guerra di Etiopia che fa nascere l’orgoglio nazionale di essere una società imperiale.
Secondo De Felice non si può limitare il fascismo solo in chiave antisocialista.
Le caratteristiche del fascismo sono le differenze con gli altri regimi e come il fascismo abbia trovato il consenso. Ciò che spiega queste differenze è la mobilitazione delle masse.
I diversi rapporti con la folla si possono trovare anche in altri regimi, perfino nei governi democratici.
Mussolini non chiede alla popolazione la semplice obbedienza, ma politicizza le masse, mentre gli altri regimi autoritari classici richiedevano solo l’obbedienza.
Il consenso segna la differenza con gli altri regimi ed è ottenuto attraverso il monopolio dei mezzi di comunicazione e con l’uso della repressione.

Lettura 8: “Il fascismo e la grande borghesia” G.Quazza
Quazza era un partigiano del Piemonte che aderiva al Partito d’Azione e dopo la scissione si mantenne su posizioni socialiste.
Fu autore negli anni 70 di “Resistenza e storia italiana” dove critica il comunismo da sinistra.
Questo brano è l’introduzione di un volume di autori vari sul fascismo e la società italiana.
Il brano si apre con l’affermazione che il problema storico debba essere studiato dallo storico e affrontato dal politico.
Bisogna prendere in considerazione un lungo periodo, cioè l’Italia liberale dal 1861 alla prima guerra mondiale, e quella del capitalismo che parte con la rivoluzione industriale.
Inoltre bisogna tenere conto delle forze che intervengono nella lotta per il potere.

 

Se il 1926 è la data di inizio del regime fascista è difficile da stabilire la data del suo tracollo. Una ipotesi potrebbe essere il 1945 con la dissoluzione delle strutture e il 28 aprile la morte di Mussolini.
Agli inizi degli anni 50 nasce il movimento sociale italiano che recupera la simbologia fascista, come la fiamma tricolore.
Nel settembre del 1943 viene proclamata la Repubblica sociale italiana, quando Mussolini viene arrestato dai carabinieri del re e poi liberato dai paracadutisti tedeschi.
Nel 1943 muore quindi il fascismo legato alla monarchia e nasce un nuovo fascismo repubblicano con forti riferimenti antimonarchici.
La repubblica è detta sociale perché recupera alcuni valori “di sinistra” prima abbandonati.
Tra il 1939-40 scoppia la seconda guerra mondiale e per l’Italia inizia il periodo di non belligeranza.
Il 10 giugno l’Italia entra in guerra dopo il crollo della Francia.
Il momento finale dell’analisi del regime è proprio questo perché la guerra cambia sia le strutture interne al regime che la politica estera.
Nel 1939 il regime fallisce perché perde il consenso ed appare molto strano che questo avvenga proprio per un valore tanto inneggiato nella propaganda, cioè il militarismo.
Nel periodo tra il 1926 e il 1939 ci sono vari elementi che caratterizzano il regime: la repressione, il consenso.
Ci si chiede poi in quale misura il regime fu totalitario, cioè quanto il fascismo non ebbe oppositori e concorrenti al potere e quindi quanto poté dominare sulla società.
La repressione ha assunto caratteristiche diverse a seconda dei vari cambiamenti del fascismo.
Dal 1922 al 1926 c’è una combinazione tra la repressione ordinata dall’alto e lo squadrismo e questo consente al fascismo di stabilizzarsi. Vengono istituiti organi atti alla repressione che non lasciano alcuno spazio agli oppositori che sono costretti o all’esilio, o all’abbandono dell’attività politica, o con la galera. Questo dipende dal tipo di opposizione, se era radicale era punita con la galera, se era potenziale invece con il confino (Levi), o erano costretti a emigrare all’estero: Parigi, Londra (Sturzo), America (Salvemini).
Pochi erano gli oppositori, gli esponenti del partito comunista, che però subiscono una serie di sconfitte e si riuniscono ancora solo dopo il 25 luglio 1943.
Per esempio Rosselli, antifascista non comunista che partecipa alla guerra di Spagna con il programma “oggi in Spagna, domani in Italia”. Verrà ucciso in Francia da alcuni sicari forse so ordine di Roma.
Altri come De Gasperi invece passano in ventennio fascista in Vaticano.
La repressione tocca quelli che hanno a che fare con  l’antifascismo storico.
Ci sono infatti due tipi di antifascismo: uno politicizzato e uno esistenziale, che è quello dei giovani che dopo la guerra criticano il fascismo e entrano a far parte della resistenza.
Il fascismo si basò soprattutto sulla repressione, ma non bisogna trascurare il consenso, cioè l’adesione al fascismo dei vari strati della società.
La presa del fascismo sulla società aumenta progressivamente. Prima di tutto la durata del fascismo fa accettare come inevitabile il regime e inoltre il fascismo elabora strumenti organizzativi che inquadrano la società ottenendone il consenso.
Ci sono due momenti in cui questo consenso è più evidente: il 1929 e il 1936.
L’11 febbraio 1929 vengono firmati i Patti Lateranensi tra Stato e Chiesa e questo comporta attraverso il Concordato un vantaggio per la Chiesa, mentre attraverso il Trattato un vantaggio per il regime.
Con il trattato cade la questione romana e il regime acquista maggior prestigio, ma con il concordato la Chiesa acquista un maggior spazio di manovra. La Chiesa agisce nella società facendo cadere il carattere totalitario dello Stato.
Questo comporta dei problemi soprattutto a partire dal 29 settembre quando si apre una crisi locale a Como all’interno dell’Azione cattolica.
Nel 1931 questo screzio assume dimensioni nazionali.
L’Azione cattolica era un’organizzazione creata nel 1922 con lo scopo di portare la testimonianza cattolica nella società. Era formata da laici, ma anche da ecclesiastici e copriva molte fasce di popolazione dai giovani ai laureati alle associazioni professionali.
Questa associazione interveniva nella società soprattutto nell’ambito dell’educazione e dell’intrattenimento dei giovani.
Il fascismo voleva la sovranità totale mentre i cattolici chiedevano al sovranità di Cristo istituendo per esempio la feste di Cristo re.
Nella richiesta dei cattolici rientrava anche la proposta di evitare da parte delle autorità civili ogni occasione di divertimento. In realtà non era una proposta, ma i cattolici volevano l’impegno dello Stato. Le due mentalità quindi entrano in collisione.
Lo stato proibisce le associazioni dell’Azione cattolica fino a che in settembre si arriva ad un compromesso. Le associazioni vengono suddivise in organizzazioni a livello provinciale per limitare gli spazi di azione.
Gli esponenti più compromessi nelle attività non antifasciste, ma afasciste vengono allontanati, per esempio Montini.
Verso il 1938 si arriva ad una sistemazione soprattutto grazie alla guerra di Spagna che accomuna le due mentalità in una visione anticomunista.
Ma nell’anno 1938 le cose cambiano.
All’interno della chiesa c’era qualche dissenso, ma molto marginale a livello di personalità come Sturzo e don. Primo Mazzolari.
Tra la Chiesa e il fascismo ci sono elementi in comune: l’anticomunismo, la contrarietà ai caratteri di modernità incarnata negli USA, la concezione della famiglia, della demografia e della donna.
La famiglia per esempio è vista dalla chiesa come nucleo della società in senso morale, mentre il regime afferma l’importanza della famiglia per una politica di potenza.
Le differenze si accentuano nei confronti della guerra..
Ma il culmine delle differenze si ha nel 1938 quando vengono promulgate le leggi razziali antisemite.
Nella Chiesa vigeva una concezione antigiudaica, ma solo ideologica.
Le leggi razziali erano un aggravamento di quelle tedesche e questo è un indice dell’egemonia nazista sull’Italia. La chiesa voleva una cattolicizzazione del fascismo, ma non era possibile farlo con il nazismo. La chiesa si stacca dal fascismo nel momento in cui il nazismo si avvicina al fascismo.
Un altro momento di consenso è il 1935-36 quando inizia la guerra di Etiopia. Il 9 maggio 1936 viene proclamato l’Impero. Questo valore della romanità imperiale tanto osannato serve a riscattare le sconfitte dell’Italia liberale.
L’Italia con questa manovra offensiva viene isolata dalla politica internazionale ed è costretta a pagare delle sanzioni decretate dalla Società delle nazioni.
L’Italia non paga le sanzioni e continua la sua offensiva in Etiopia e inoltre sfrutta il motivo delle sanzioni per intraprendere una propaganda che vedeva  questo provvedimento come una manovra anti italiana.
Il consenso quindi aumenta quando viene proclamato l’Impero.
L’Etiopia era vista come una valvola di sfogo per la manodopera meridionale in eccesso, ma si rivelò un fallimento perché fu molto costoso in termini militari.
La politica che si attua nella colonia è una politica di repressioni violente, dovute anche al forte sentimento razzista.

Il regime fascista non può essere quindi definito totalitario perché è sottoposto alla presenta opprimente della Chiesa e della monarchia. Anche la monarchia ha un ruolo fondamentale perché incarna i valori della tradizione e gli italiani ne riconoscevano un valore pari al fascismo.
Nel 1943 sarà proprio la monarchia determinare la caduta del fascismo.
La monarchia è vista come simbolo dell’unità dello stato e ha dalla sua parte alcune forze armate come la marina e i carabinieri.
Quando il fascismo si incrina la monarchia torna a fare politica e nonostante il 25 aprile il Gran Consiglio diede la minoranza al fascismo solo l’intervento della monarchia fu decisivo.
Le colpe attribuite alla monarchia sono quelle di aver accettato nel 1922 la marcia su Roma e nel 1938 la leggi razziali; inoltre non si oppose all’entrata in guerra.
Tra il 1943 e il 1946 la monarchia viene attaccata da alcune forze politiche che provocheranno il rovesciamento.
Il fascismo non è autoritario perché cerca la politicizzazione delle masse e non è totalitario perché deve fare i conti con la Chiesa e il re.

 

Fonte: http://www.webalice.it/forluca/materials/appunti/STORIA.DOC

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